DA FRANCO RODANO A MARIO MONTI, DAL CATTOCOMUNISMO ALLA PIA BANCA – di Piero Vassallo

di Piero Vassallo


 

frLa vicenda camaleontica di Franco Rodano è il motore invisibile dell’attuale dibattito politico, che rappresenta l’infanzia cattoprogressista, che si tuffa nel cattolicesimo liberale di Mario Monti.

Il cattocomunismo di Rodano, passando per il salotto lavativo di Raffaele Mattioli e la educatrice rivista di Elena Croce, infatti, trovò beato alloggio nella laicità degasperiana. Come previsto dal copione, scritto dagli iniziati per le coscienze cattoliche affascinate dalla chimera moderna.

Una leggenda democristiana, resa inossidabile dalla ripetizione ostinata, vuole che Alcide De Gasperi abbia salvato l’Italia dal comunismo, affrontando e vincendo un duello politico con il rivale Togliatti. Duello? Tra cattolici e comunisti il vero duello politico si svolse dopo il 1947, quando Pio XII (contro l’opinione De Gasperi, dubbioso e riluttante) incoraggiò e ottenne la rottura del governo tripartito (democristiani, socialisti e comunisti). E nel 1948, quando Pio XII fornì a Luigi Gedda i mezzi necessari ad organizzare i Comitati Civici e a condurre la vittoriosa campagna anticomunista del 18 aprile.

Nella Dc la resistenza a Pio XII si era peraltro organizzata fin dal 1944: Gedda (in perfetto accordo con Pio XII) si rivolgeva agli elettori proponendo De Gasperi come un male minore, e non come un campione di fedeltà alla Chiesa.

I contenuti dei manifesti affissi dai Comitati Civici durante la campagna elettorale del 1948 non lasciano dubbi al proposito. De Gasperi, seguace confesso di Jacques Maritain, non era il campione del cattolicesimo anticomunista.

La verità è che De Gasperi, dopo aver a lungo esitato, prima di attuare i suggerimenti del governo americano e della curia romana e di decidersi alla rottura dell’alleanza con i socialcomunisti, stentava a credere nella vittoria democristiana, essendo forse rassegnato all’ineluttabilità del successo comunista.

Cosa si deve intendere allora per drammatico duello tra Togliatti e De Gasperi? Ed anzi tutto: quali erano le ragioni del (presunto) irriducibile contendere tra De Gasperi e Togliatti?

Ecco il nodo che l’acritica nostalgia democristiana dovrebbe sciogliere, prima di alzare lamenti contro le clamorose rivelazioni di Ettore Bernabei sull’incauto accordo tra De Gasperi e l’iniziato Raffaele Mattioli, e prima di proclamare solennemente che il partito d’ispirazione cristiana non può non definirsi degasperiano osservante.

Giovanni Tassani, autore di un lucido e finora insuperato commento all’avventura cattocomunista, ha dimostrato che Franco Rodano non era più vittima di un abbaglio giovanile, ma lucido funzionario di un progetto laico rivolto contro Pio XII, quando, dopo aver ascoltato le lezioni di Palmiro Togliatti (e di Raffaele Mattioli, il gran banchiere crociano, che, come ricorda Massimo Caprara, si dichiarava emulo di quel Parvus che, nel 1917, organizzò il viaggio di Lenin a Pietroburgo) affermò il superamento della rivalità tra De Gasperi e Togliatti e il implicito loro accordo su una politica laica.

Nel saggio su Rodano, che Tassani ha pubblicato nel lontano 1978, per le Dehoniane di Bologna, si trovano, dunque, le ragioni della diffidenza da più parti manifestata nei confronti del modello degasperiano.

La storia di Rodano rappresenta la metamorfosi dell’ingenua fantasticheria antimoderna (incentivata da febbrili nostalgie medievaliste) dei cattocomunisti in strumento e golem dell’aggressione massonica alla tradizione spirituale e morale del popolo italiano.

Il partito cattocomunista (PSC) si costituì, infatti, all’inizio degli anni quaranta, per l’iniziativa di alcuni giovani della borghesia romana, coinvolti nelle acrobatiche avventure di certo gesuitismo, e perciò “fermamente comunisti in politica, proclamava Franco Rodano nel 1944, ma cattolici, assolutamente e intransigentemente cattolici per la loro fede religiosa”.

La piissima e spericolata peripezia di un frequentatore della gesuitica “Scaletta”, quale era Rodano, arrivava al punto di tentare la separazione della prassi comunista dalla filosofia materialistica di Marx, giudicata “oltre che non indispensabile, dannosa per lo sviluppo di una corretta e incisiva politica rivoluzionaria”.

Rodano era intimamente convinto che solo i progressisti fossero interpreti delle istanze politiche dei cattolici refrattari all’orrendo fascismo e alla suggestione anti-modernista: “Questo significa che il problema politico del mondo cattolico non può essere risolto in Italia che dal Pci e cioè da tutta la classe operaia del nostro paese, non dalla sinistra cristiana e dallo strato cattolico del proletariato italiano”.

Considerata da questo singolare punto di vista, la politica del Pci assumeva l’aspetto di una godibile alternativa al laicismo liberal-massonico, alla sociologia anglosassone, e all’ingiustizia praticata dalla classe borghese modernizzante.

Il giudizio di Pio XII, che condannando ogni forma d’obbedienza comunista, riaffermava l’opposizione assoluta tra la fede cristiana e il comunismo negatore dei fondamenti stessi del diritto naturale, da Rodano non era neppure preso in considerazione.

Il fatto è che al movimento rodaniano era soggiacente quel millenarismo incendiario, che, a partire dalle farneticazioni immoralistiche esposte da Léon Bloy nel libello “Dagli ebrei la salvezza” (e ammirate da Maritain, editore del libello) aveva attizzato le scorribande del cattolicesimo francese contro la legge naturale.

Franco Rodano rappresenta una fantastica contraddizione: l’acume intellettuale al servizio dell’encefalogramma piatto.

Gianni Baget Bozzo, in un intervento pubblicato nel volume che raccoglie i saggi di Tassani, ha affermato giustamente che la dimensione politica rodaniana “non ha mai avuto spunti di aggancio con la teoria delle istituzioni e statuali da un lato, con la filosofia e la teologia dall’altro”.

Separati da Marx ma non dalla chimera millenarista, Rodano e gli altri militanti della sinistra cristiana non poterono fare altro che affluire disciplinatamente nel Pci. Nel dicembre del 1945, infatti, fu deciso, con voto quasi unanime, lo scioglimento del movimento e l’adesione al partito di Togliatti.

L’astuzia di Togliatti, invece, aveva consigliato a Rodano di confluire nella Dc, dove le tesi dei cattocomunisti avrebbero dato più consistenti risultati a vantaggio della sovversione. Fu l’ostinata e irragionevole avversione del giovane Rodano a De Gasperi a decidere in senso contrario.

Ma dopo l’adesione al Pci, Rodano cominciò a comprendere le ragioni di Togliatti, ragioni perfettamente coincidenti con quelle del crociano Raffaele Mattioli: il vero ostacolo alla rivoluzione italiana non era De Gasperi, ma Pio XII, che in vista di un argine a difesa del diritto naturale, aggredito dall’immoralità emanata dai laboratori massonici, aveva concepito e affidato alla cura di Luigi Gedda il progetto di un’alleanza a destra.

Per Raffaele Mattioli (e per Palmiro Togliatti) il nemico da battere non era identificato con il gruppo democristiano che seguiva l’indirizzo laico e liberale della politica degasperiana, ma con il partito romano, costituito dai curiali fedeli a Pio XII, che tentavano d’imporre alla Dc la politica dell’attenzione per le tesi della destra interclassista e patriottica.

Rodano fatto accuorto da Togliatti, Mattioli (e forse da don Giusepe De Luca), modificò profondamente il suo giudizio su De Gasperi e su papa Benedetto Croce. Ora la strategia iniziatica di Mattioli-Parvus e di Togliatti non contemplava guadagni per il proletariato ma una radicale secolarizzazione e corruzione dell’Italia. Il disegno tracciato da Antonio Gramsci nei “Quaderni dal carcere”.

La secolarizzazione era infatti il preambolo a quella rivoluzione culturale di segno anarchico e libertino, che doveva scatenarsi nel fatidico Sessantotto, quando le fondazioni dell’oligarchia iniziatica e finanziaria sostennero l’utopia francofortese-californiana.

Tassani chiarisce l’argomento che aveva convinto Rodano a riabilitare e in qualche modo a far propria la linea politica di Togliatti, che apprezzava apertamente il cattolicesimo liberale di De Gasperi: la convinzione che occorreva ripartire dal risorgimento, in altre parole dall’unica rivoluzione riuscita in Italia, quella liberal-democratica, laicista e borghese.

Era da quel punto che occorreva ripartire, dopo la dolorosa parentesi fascista. Di qui la dannazione di Giovanni Gentile e la sciagurata esaltazione del sinistro Benedetto Croce (anche nei desolati circoli intitolati al suicidio della controrivoluzione).

Ripartire dal recupero degli aspetti positivi della rivoluzione liberale attraverso la rilettura di Benedetto Croce, avrebbe reso possibile il pieno innesto nel processo rivoluzionario delle realtà di massa (la comunista e la cattolica) che erano intanto diventate protagoniste della repubblica.

Massimo Caprara ha dimostrato che questo recupero procedeva nella stessa direzione dei saggi del raffinato esoterista cantrabigense Piero Sraffa su Gramsci e di Benedetto Croce su Marx (e su Gramsci).

Nel 1955, Rodano detterà la formula di questo perfezionamento della tradizione liberale e del libertinismo borghese: “Il problema politico del nostro tempo è quello di una fuoriuscita dall’ordinamento liberal-liberalista, che si svolga in termini di organica compiutezza e di superiorità positiva: tale cioè da non cancellare e non perdere quell’aspetto fondamentale e preziosissimo di paragone e di concorrenza, che da quel sistema, appunto, viene formalmente garantito”.

La scena adelphiana del 1974, con Enrico Berlinguer che festeggia, insieme con gli alleati liberali, repubblicani, socialisti e cattocomunisti, la rivincita del risorgimento oligarchico sul popolo cattolico (populace) che aveva avversato la legge divorzista, e sull’orrido fascismo, che aveva realizzato la conciliazione e attuato la riforma corporativa dello stato, spiega il significato ultimo e la finalità della politica di Franco Rodano.

Da un opposto osservatorio, Tassani sostiene dunque la stessa tesi di Augusto Del Noce: in Italia il processo di secolarizzazione – la vera rivoluzione attuata nei cinquant’anni di vita repubblicana – è passato attraverso la Dc, cioè attraverso il rifiuto che De Gasperi oppose alla svolta a destra programmata da Pio XII e da Gedda.

Per questo è da giudicare antistorica e suicidaria l’intenzione dei politicanti che vorrebbero rifondare la Dc nel segno liberale e degasperiano e nel rifiuto di quella cultura politica esposta da Pio XII nei radiomessaggi nel Natale (affermazione della democrazia secondo il diritto naturale nel 1944, apprezzamento della tecnologia nel 1953, rifiuto dell’equilibrio nel terrore, nel 1954).

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