DA PARMENIDE A SEVERINO – di P. Giovanni Cavalcoli, OP

di P. Giovanni Cavalcoli, OP

 

 

Nel panorama attuale della cultura cattolica non è assente l’influsso di un filosofo noto ormai dagli anni ’60 del secolo scorso e già docente all’Università Cattolica di Milano: Emanuele Severino, pensatore di robusto spessore teoretico, che nel clima relativistico e storicistico del nostro tempo, già da allora porta avanti le istanze rigorose della pura speculazione, da Parmenide ad Hegel: l’essere, il divenire, l’apparire, il pensare, l’uno, il tutto, l’eterno, lo spirito, la coscienza, l’assoluto, il necessario, l’immutabile, l’infinito.

prmSeverino, stimolato dal suo maestro Gustavo Bontadini, inaugurò questa sua speculazione partendo da Parmenide e sempre restando fedele, sino ad oggi, a questa posizione, anche se ovviamente egli non ha trascurato di apportare alcune modifiche alla rigidezza dell’ontologia parmenidea avvalendosi di certi apporti dell’idealismo moderno e della fenomenologia husserliana, senza escludere un raffronto col tomismo e con Heidegger.

Senonchè però disgraziatamente Severino, già cattolico – diversamente non poteva insegnare alla “Cattolica” – si lasciò sedurre da un intemperante razionalismo che si poteva ricavare da Parmenide non dovutamente temperato dalla metafisica cristiana, ossia quella che fruisce dell’apporto di Platone ed Aristotele, tanto che a un certo punto perse la fede con la pretesa di dare un’interpretazione del cristianesimo migliore di quella offerta dal dogma cattolico.

Ed a seguito di ciò, censurato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1970, fu espulso dall’Università Cattolica. Tuttavia egli continua ad insegnare all’Università di Venezia. I suoi scritti sono numerosissimi. Essi non sono solo di carattere teoretico per pochi iniziati, ma egli ama anche inserirsi nei dibattiti dei convegni e della grande stampa su temi morali ed antropologici.

Praticamente a Severino accadde di accettare così imprudentemente la concezione del pagano Parmenide – il fascinoso “essere” come uno, unico, assoluto, eterno e necessario -, che finì col negare consistenza ontologica agli enti contingenti e mutevoli, materiali e spirituali, collocati nello spazio-tempo, quegli enti che nel linguaggio biblico e cristiano sono chiamati “creature”, costituenti nel loro insieme il “mondo”, creato – secondo il dogma biblico, che condividiamo con ebrei e musulmani – da Dio liberamente dal nulla (de nihilo o ex nihilo sui et subiecti, come si dice nel linguaggio teologico tradizionale), ossia senza presupporre nulla a Dio, precedente a Dio o da Dio indipendente.

Che cosa restava del contingente, del divenire, della molteplicità, dello spazio e del tempo, della storia e dell’evoluzione dell’universo? Nulla in se stesso di reale. L’essere era assente da queste cose, perché, come si è detto, l’essere è uno solo, univoco, eterno e necessario. Tutte queste cose diventavano, come già in Parmenide, mere apparenze, oggetto non di scienza ma di semplice opinione. Ma nel contempo queste cose si presentavano come apparire dell’Essere, e quindi eterne.

svrVeniva da ciò che tutto è eterno e che ogni ente è eterno. L’enunciazione severiniana del principio di identità è che “l’essere non può non essere”, quindi viene negato quell’essere che può non essere, ossia il contingente. Esiste solo il necessario. L’essere, ogni essere è eterno, pena, secondo Severino, la contraddizione di un essere che non è o l’identificazione dell’essere col nulla: il nichilismo.

La conseguenza nel campo della fede era disastrosa: il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione era concepito come eterno non solo sotto il profilo della divinità ma anche di quello dell’umanità: ne usciva un’umanità di Cristo che, a seconda dell’angolatura sotto la quale la si guardava, poteva risultare o semplicemente apparente (docetismo) o divinizzata (panteismo). Ne viene fuori un monismo acosmico, per il quale o tutto si risolve nell’Essere unico, oppure ogni cosa è l’unico Essere.

Severino tuttavia, erede del moderno idealismo dialettico, non poteva non considerare che l’opposizione essere-non-essere non poteva non essere pensata. Da qui un unico Essere pensato, sintetico, che abbracciasse questa opposizione. Da qui il superamento dell’ontologia parmenidea con la dialettica originata da Platone e culminata in Hegel, benchè Severino si guardi bene dallo accettare la concezione hegeliana del divenire.

Per questo Severino non si fermò alla visione estremista di Parmenide, che non teneva conto della più elementare ed evidente esperienza della realtà sensibile, ma si sforzò comunque di spiegare il molteplice e il divenire. E fu così che egli sostituì il divenire come passaggio dal non-essere all’essere o dall’essere al non-essere, quella che per Aristotele era la generazione la corruzione, con la categoria dell’“apparire”, per cui le cose, le persone, il mondo per Severino risultano il succedersi di apparizioni “eterne” dell’“Eterno”, che farebbe da “sfondo” a queste apparizioni in successione eterna. Severino fa un paragone suggestivo benchè ingannevole: le cose sarebbero simili alle costellazioni che appaiono e scompaiono sullo sfondo permanente della volta celeste.

Tuttavia questo “apparire” per Severino ha un doppio significato, in quanto oscilla dialetticamente tra un “rivelarsi” (revelatio), quindi qualcosa di oggettivo e di vero e l”apparenza” o “sembianza” (videtur), che può essere irreale o soggettiva e quindi falsa. Si ha pertanto simultaneamente qualcosa come l’apparire dell’accidente che mostra la sostanza o attraverso il quale traspare la sostanza, e l’apparenza meramente relativa all’uomo al quale l’Essere appare.

Severino gioca su queste due accezioni dell’apparire, per cui l’essere viene alternativamente ora a coincidere con l’apparire – e qui abbiamo il lascito del fenomenismo kantiano, hegeliano ed husserliano -, ora ad identificarsi, così sembra, con qualcosa di simile alla maya indiana: illusione, vana apparenza.

Che ne è allora del mondo? Se il mondo è l’Essere che appare, il mondo sarà assoluto come l’Essere del quale è l’apparire. Ma d’altra parte se il mondo è una mera apparenza (il divenire non esiste) e l’Essere coincide con questa apparenza, anche l’Essere sarà trascinato nella stessa vanità dell’apparenza e avremo quel nichilismo, che pure Severino cerca di evitare. Infatti, se l’Essere resta Essere, il mondo scompare nell’Essere. Ma se il mondo come mera apparenza resta mondo e coincide con l’Essere, anche l’Essere col mondo scompare nel nulla.

Severino allora, per cavarsi d’impaccio, si adatta ad adottare la dialettica dell’essere e del non-essere, già inventata da Hegel, benchè per Hegel il divenire comporti quella contraddizione che Severino intende evitare. Infatti egli rifiuta la realtà del divenire, perché, sulla scorta di Bontadini, lo considera contradditorio alla luce di un’interpretazione del principio di non-contraddizione nella formulazione di Parmenide.

Già Aristotele, con la sua famosa dottrina della potenza e dell’atto, superando l’“essere-che-non-è” di Platone (come interpretazione del divenire), aveva riformulato il principio di non-contraddizione così da legittimare la non-contradditorietà del divenire in questi termini, ossia che “non è possibile che l’essere sia e non sia simultaneamente o nello stesso tempo”. L’ente può essere in potenza e non essere in atto o viceversa. La precisazione “nello stesso tempo” era stata introdotta da Aristotele, per salvare la verità del divenire. Ma Severino, attaccato all’estremismo monista di Parmenide, rifiuta il riferimento al tempo. Da qui ai suoi occhi l’assurdità del divenire e la sua sostituzione con l’“apparire”.

Come funziona la dialettica in Severino? Essa suppone e non smentisce la netta opposizione ontologica parmenidea tra essere e non essere (“l’essere è, il non essere non è”), però rifiutando la spiegazione aristotelica del divenire (passaggio dalla potenza all’atto), assume alla fine la concezione platonica del divenire come “essere-che-non-è”, fondamento della dialettica platonica, con la differenza però che al posto del divenire abbiamo l’apparire, il quale per il suo rapporto col pensiero, meglio si presta ad una interpretazione dialettica.

Siccome d’altra parte per Severino come per Hegel l’esser reale s’identifica con l’essere logico o concettualizzato, egli alla fine non ha difficoltà ad assumere la concezione hegeliana del divenire, non sotto il profilo ontologico, ma sotto quello logico-dialettico, con la differenza che Severino risolve questo divenire nell’apparire togliendogli qualunque significato ontologico: dunque l’apparire dell’Eterno inteso a sua volta come Essere-Apparire, per il cui il mondo è l’“apparire dell’Apparire”.

Si continua a negare la realtà del divenire (contro Hegel), ma si assume la dialettica che serve alla sintesi dell’essere col pensiero nell’unità dell’Essere (con Parmenide). Come infatti è noto già in Parmenide esiste il principio idealista: “la stessa cosa è il pensare e l’essere”. Quindi il monismo severiniano non è così assoluto come quello di Parmenide ma è in qualche modo sintetico e dialettico a somiglianza di quello di Hegel, benchè venga rifiutato il divenire nel senso hegeliano.

Stando così le cose, uno potrebbe dire: può aver a che fare con la metafisica e la teologia cattoliche una concezione del genere? Parrebbe assolutamente di no, dato che vi sono negati la trascendenza di Dio, la distinzione fra pensiero ed essere, la molteplicità degli enti e il dogma della creazione, per cui tutto è eterno, tutto è adesso, tutto è uno e la dialettica si trova persino in Dio. Senza contare la conseguenza più grave di misconoscere la realtà della storia della salvezza e di eternizzare l’umanità di Cristo nella morte come nella risurrezione. Il cristianesimo diventa irriconoscibile, quasi assimilato alla mistica indiana o a una gnosi esoterica.

Eppure il pensiero di Severino non ha mancato di attirare a sè equivoche simpatie in vari ambienti cattolici, come per esempio presso Pierangelo Sequeri[1], teologo della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, ma soprattutto il teologo della Facoltà Teologica di Bologna, il Padre domenicano Giuseppe Barzaghi.

Il Padre Barzaghi crede di poter trovare nell’Essere severiniano lo stesso ipsum Esse di S.Tommaso come Nome di Dio ricavato dall’Ego sum Qui sum di Es 3,14. Ma le conseguenze di questo imprudente accostamento sono disastrose. Il Padre Barzaghi sostiene che solo Dio esiste e che tutto è necessario ed eterno, tutto è in atto e tutto è bene, confondendo l’essere come tale, analogico e polivalente, con l’essere divino, unico ed univoco. E la storia? E il mondo dei possibili? E il male? E se tutto adesso è bene ed è l’attuazione di tutto il bene possibile, ha ancora senso la virtù della speranza? Si può ancora parlare di una conversione dal peccato alla giustizia? Che differenza c’è tra la vita presente e la celeste beatitudine?

In tal modo il mondo per Barzaghi non è fuori di Dio (opus ad extra) come insieme di enti sostanziali da Lui realmente distinti, ma è solo “in Dio”, “idea” di Dio e quindi coincidente con Dio stesso. Se il mio io empirico non sta davanti a Dio come ad un Tu, ma Dio non è che la struttura originaria del mio io (“Io trascendentale”), che senso ha la preghiera? Dovrei pregare me stesso?

La creazione, poi, per Barzaghi, non è produzione libera di Dio dal nulla all’inizio del tempo, ma apparizione o “teofania di Dio” ab aeterno. L’uomo è l’“eterno sguardo di Dio” su Dio, Che vede Se stesso. Non si vede come si salvi il libero arbitrio. La dannazione non esiste?

La dialettica compare anche in Dio con la conseguenza spaventosa di porre il male anche in Dio. Allora il male è invincibile? Il pensiero coincide con l’essere, sicchè non si dà un reale esterno al pensiero (extra animam), presupposto al pensiero e indipendente dal pensiero. L’essere è solo l’essere pensante, lo spirito, la coscienza, l’atto del pensare (“autocoscienza”) o l’essere pensato. Allora il falso non esiste? L’ignoranza non esiste? E la materia? Non si vede la differenza tra pensiero umano e pensiero divino, quindi tra volontà umana e volontà divina. Che ne è allora della morale?

Barzaghi si diffonde sulla “mistica” peraltro nebulosa[2] ed atematica (cf Rahner), ma in assenza di un gnoseologia realistica, c’è da temere per il valore oggettivo dei concetti dogmatici e quindi per una mistica autenticamente cattolica. Barzaghi inoltre riprende la grave conseguenza in cristologia sopra segnalata.

Si aggiunga la sua dottrina della grazia, ovviamente assente nello gnostico Severino, ma modellata sul monismo severiniano, per cui la grazia non si aggiunge alla natura come dono di Dio creato, ma diventa la struttura originaria necessaria della natura “divinizzata” in modo tale che non appare più la distinzione fra l’uomo e Dio. Si potrebbe fare un collegamento con Rahner. In Barzaghi peraltro non mancano neanche influssi idealisti gentiliani mediati da Bontadini, come il tema dell’ “autocoscienza “ e della “intrascendibilità del pensiero”.

Le domande tremende che ci poniamo sopra sono la conseguenza e il segno del fatto che la teologia di Barzaghi è falsa nelle sue stesse radici, ed invano egli cerca di coprire tutto ciò con l’esposizione brillante ed esatta di molti punti di dottrina cattolica e dello stesso pensiero di S.Tommaso, mentre d’altra parte egli osa affermare che la filosofia di Severino è quella che oggi meglio interpreta l’essenza del cristianesimo.

E’ uno dei tanti casi incresciosi e conturbanti di aggiornamento modernistico della teologia cattolica verificatisi dopo il Concilio Vaticano II, nati da un confronto sostanzialmente acritico ed imprudente col pensiero moderno. Il Concilio ci dice che questo confronto va fatto, ma con l’uso di quei giusti criteri di giudizio e valutazione che la Chiesa stessa ci offre, tra i quali i princìpi, il metodo e i pronunciamenti fondamentali di S.Tommaso d’Aquino, interpretato secondo il vero senso dei suoi scritti e non deformato ad usum delphini sotto la pressione degli errori della modernità.

Bologna, 14 ottobre 2012

 

 


[1] Vedi Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale, Queriniana, 1996.

[2] In più occasioni Barzaghi fa le lodi della “nebbia”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Seguici

Seguici su Spotify e Youtube

Cari amici,
con “Aleksandr Solženicyn: vivere senza menzogna”, primo episodio del podcast “Radio Ricognizioni. Idee per vivere senza menzogna”, il nostro sito potrà essere seguito anche in video e in audio sulle due piattaforme social.

Podcast

Chi siamo

Ricognizioni è nato dalla consapevolezza che ci troviamo ormai oltre la linea, e proprio qui dobbiamo continuare a pensare e agire in obbedienza alla Legge di Dio, elaborando, secondo l’insegnamento di Solženicyn, idee per vivere senza menzogna.

Ti potrebbe interessare

Eventi

Sorry, we couldn't find any posts. Please try a different search.

Iscriviti alla nostra newsletter

Se ci comunichi il tuo indirizzo e-mail, riceverai la newsletter periodica che ti aggiorna sulla nostre attività!

Torna in alto