Dal fondo di tutte le cose. Un sguardo poetico oltre ciò che accade in questo mondo

Non sappiamo nulla del poeta di cui abbiamo appena letto i versi racchiusi nella silloge Dal fondo di tutte le cose. Lessico poetico 1999-2017 (Edizioni Thule). Cerchiamo qualche notizia nella rete, prendiamo nota delle sue pubblicazioni, leggiamo i suoi articoli su questo giornale, e possiamo farci un’idea dell’intellettuale, della sua formazione culturale e della passione civile. Questo non è ancora abbastanza per conoscere l’uomo, che ci aiuterebbe a decifrare razionalmente il significato di versi difficili, sia per i numerosi coltissimi riferimenti, sia per il richiamo a luoghi e momenti evidentemente significativi nella sua biografia che noi non conosciamo.

Sicché, non aiutati, ma neppure fuorviati, dalla conoscenza diretta di Marco Toti, diremo qualcosa delle sue poesie solo lasciandoci trasportare dalla musica delle parole, chiudendo gli occhi, sentendo e ascoltando. Del resto è attraverso il suono che la poesia , soprattutto comunica, significa.

E se chiudiamo gli occhi vediamo prima il giovane viaggiatore “fuggito” da casa verso luoghi lontani che esprime la sua meraviglia con la musica di semplici, ma ben studiati senari, nei quali già si intravede il timbro dell’uomo a venire: Or ora rimembro / Memorie sopite / E il mistico mar / M’infonde dolcezza. (Tioman, luglio 1999). E non saremo certo noi a criticare un giovane sensibile per l’influenza della lettura di un Giacomo Leopardi, e di chi altro sennò?

Il mare è mistico, il cielo è incorrotto (E all’incorrotto cielo / sale un umbratile pianto). L’anima si volge al Mistero perdendosi davanti allo spettacolo della natura, essa stessa mistero. Forse Toti non è ancora approdato, mentre scrive, a un porto sicuro. Ce lo dicono i versi di MORS SECUNDA: Male di viver di cui mi compiaccio / …E adagio / M’uccido senza coraggio. O anche quelli di ULTIMO BOULEVARD: Son giunto a nessuna riva / Lungo l’intrico / Delle memorie sottese.. Una teoria di fiere / M’inganna. / Brama e terrore / Di vivere / Che occulta la vita / Come mendace manna.

L’inquietudine esistenziale comunque non domina il poeta, il suo non è sfogo: i versi sono sorvegliati, ripensati. Lo diverte l’uso della rima, la ricerca delle assonanze e delle consonanze, e anche di più delle allitterazioni adoperate con abilità di scrittura e orecchio di musico. Ci si sente il gusto di lavorare con le parole, di cesellare.

Man mano che si sfogliano le pagine si capisce che il motivo di fondo della poesia di Toti è l’incessante ricerca di senso, quindi di Dio, motivo tanto dominante nella sua vita che egli è diventato valente studioso di storia delle religioni, come abbiamo appreso. La domanda è sempre presente nei suoi versi, come in questi: Forse del divenire / È l’essere il senso / Profondo? / Io vago / errabondo. Ed è una domanda così assidua da parere quasi una “pretesa”: non saranno sconosciuti a Marco Toti i famosi versi di Giorgio Caproni: prego… ./ non, come accomoda dire / al mondo, perché Dio esiste: / ma,come uso soffrire / io, perché Dio esista.

Induce a credere di una frequentazione (a prescindere dal differente esito della ricerca religiosa e dell’approdo politico ideologico, ma questo ultimo conta meno, l’anima non ha ideologia) con il poeta livornese genovese anche l’esergo apposto al suo libro: Il mio viaggiare / è stato tutto un restare / qua dove non fui mai.

Marco Toti parte, gira il mondo, fugge, (Navigare / E fuggire/ E naufragare): è a Tioman, Tromso, Dresda, Praga, Berlino, Marrakech, Essaouira, Vieste, Rimini, Siena e sempre permane la nostalgia di chi/da sempre si vela/e visibilmente/si cela, cercato questo Lui, l’Artista che non conosco ma amo, nel mare che si unisce alla terra, in un crepuscolo, nello sciabordio delle onde, o nella dismessa quiete/d’un romito cipresso.

Ma alla fine è a casa che scopre il suo heimat, perché il segreto non è partire, ma stare: la resa finale / la notte di Natale. E il passato appare improvvisamente lontano, come si cominciasse a vivere un’altra vita.

Si possono leggere queste poesie come una sorta di biografia esistenziale intellettuale che, partendo dall’inquietudine dei primi anni, attraverso domande e silenzi, studio e ricerca, approda a un equilibrio di fede, tuttavia sempre precario. Vissuto, nei momenti in cui c’è, come dono: quale manna fragrante / elargita a noi perenni mendichi / come povera cosa: / A noi che moriamo e viviamo / Senza posa.

Al termine della lettura, fatto questo cammino a tentoni nell’animo del poeta, avvertiamo il richiamo della indimenticata lezione di Eugenio Montale: Codesto solo oggi possiamo dirti, /ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Chissà che anche Marco Toti non ci si possa ritrovare.

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