Nel Medioevo il rituale della benedizione e della vestizione del pellegrino avveniva in Chiesa. Il pellegrino sapeva che doveva espiare i propri peccati, in conseguenza del peccato originale ereditato dai progenitori Adamo ed Eva. Era consapevole quindi che la sua condizione umana era segnata da quella colpa e che il suo peregrinare terreno era inevitabile. Egli era “nel mondo” ma non “del mondo”.

Chesterton, nel romanzo Uomovivo, così descriveva il pellegrinaggiodel cristiano: “Mi son fatto pellegrino per guarirmi dall’essere un esiliato”. L’esilio era dovuto alla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre ed alludeva alla caduta del peccato di origine. Tutta la simbologia inerente al pellegrino cristiano richiamava la bellezza di quel dogma, ad iniziare dal bordone, il bastone, denominato “terzo piede”. Il bastone significava l’appoggio alle virtù teologali della fede e della speranza, senza le quali il cammino era viziato e proibitivo. Il bordone aveva anche una funzione di difesa, soprattutto contro i probabili animali selvatici e inferociti in cui ci si poteva imbattere nell’impervio cammino. La capasanta, che i francesi chiamavano “coquille de Saint Jacques” e che il pellegrino appuntava sulla mantella o sul cappello, non solo era segno inequivocabile di identificazione (non a caso è sigillo e segno dei pellegrini al Santuario di Santiago de Compostela) ma esprimeva la mano operosa e generosa di Dio che sosteneva il fedele lungo il cammino e alludeva al fonte battesimale, luogo di rigenerazione e di nuova vita nel Battesimo. La mantella, detta anche “pellegrina”, che avvolgeva le spalle, simboleggiava l’abbraccio e il sostegno di Gesù.

Ogni cosa del pellegrino richiamava alla sua condizione di peccatore bisognoso di redenzione, dal rosario contro le tentazioni del Diavolo alla bisaccia in pelle di animale, per richiamare la condizione di morte e nudità senza la grazia. Il pellegrino era quindi consapevole che senza il sostegno della grazia santificante, delle virtù teologali, della preghiera il suo cammino sarebbe stato inutile ed in questo era sostenuto dalla Chiesa che, come abbiamo ricordato, benediva quelle vesti, incoraggiava l’incedere di espiazione dell’homo viator.

Durante il processo di secolarizzazione che è avvenuto nella storia dell’uomo nei secoli a seguire, la condizione umana ha perduto la ricca e cristiana simbologia del pellegrino per arrivare a quella del vagabondo, che già nell’etimologia presenta la precarietà dell’esistenza senza un ordine e una finalità, tanto che potremmo dire, con un gioco di parole, che condensa l’errore nell’errare.

Nel vagabondare disordinato e confuso della modernità viene meno la meta salvifica dell’anima nell’orizzonte divino e, di conseguenza, scompaiono il bastone, la capasanta, la pellegrina, il rosario, la bisaccia di pelle, i calzari, la veste corta, ecc. Nella rivoluzione dei costumi del Sessantotto la condizione del vagabondo ha sostituito completamente quella del pellegrino, con la perdita di tutti i riferimenti cristiani. Jack Kerouac (1922-1969), poeta della cosiddetta “beat generation” ha immortalato nell’espressione “on the road” (“per la strada”) la definitiva dissoluzione della “via del pellegrino”.

La feroce critica, propria della “Scuola di Francoforte” prima e della “beat generation” poi alla società liberal-capitalista, ha consegnato all’uomo moderno una presunta liberazione: del sesso, dei costumi, della musica, della poesia, del potere. Non del peccato, com’era nella tradizione atavica del pellegrinaggio cristiano. Gli strumenti di questa utopica e fallace condizione del vagabondo senza meta non potevano che essere le minigonne o i blue-jeans, i capelli lunghi, gli hippies, le chitarre a tracolla, le droghe per liberare la mente e disinibire gli atti di un corpo edonistico privo della sua anima.

Alla preghiera del pellegrino colma della fede, della speranza e della carità, si è sostituita la rabbia di un urlo disumano e feroce, condensato nel titolo di un romanzo, Howl, di Allen Ginsberg (1926-1997), poeta omosessuale, dedito alle droghe. Il modello culturale e sociale diventa il rolling stone, la pietra rotolante o metaforicamente la vita del vagabondo, come attestato dalla produzione artistica dell’epoca, cantato nel blues di Muddy Waters (non a caso anche il nome rivela qualcosa di sordido, le “acque fangose”), celebrato nel like a rolling stone di Bob Dylan e condensato nel nome stesso del gruppo britannico di rock’n’roll Rolling Stones. Il vagabondo dell’on the road ha sostituito definitivamente il pellegrino cristiano.

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