di Piero Vassallo
Nel 1966 il cardinale Giuseppe Siri consigliò ai redattori della rivista Renovatio l’inserimento di una rubrica intesa a far conoscere la sotterranea e insinuante circolazione di pensieri e di suggestioni paleo gnostiche nei testi dei c. d. classici moderni (Hegel e Schelling, ad esempio) e dei sedicenti avanguardisti (i francofortesi, i reazionari neopagani e gli adelphiani, ad esempio).
Naturalmente le tesi esposte dai redattori della rubrica in questione erano suffragate da puntuali e inequivocabili citazioni di testimoni attendibili (Karl Rosenkranz su Hegel, ad esempio) e di scrittori (Gustave Flaubert, Thomas Mann, Jean Paul Sartre, Roberto Calasso, Elémire Zolla, Sergio Quinzio, René Guénon) celebrati e solennemente incensati dagli intellettuali impegnati.
Se non che l’arcigna inappellabile corte dei cattedratici giudicanti dall’alto non si diede neppure la pena di leggere i testi del redattori di Renovatio: la semplice visione dei titoli fu sufficiente a giustificare la solenne condanna al margine.
Perfino la rivista dell’Università Cattolica del Sacro Cuore si unì al coro dei deploranti ed affermò che Zolla aveva acceso una luce spirituale nelle tenebre calanti sulla cultura contemporanea.
Trascorsero alcuni anni e la conoscenza approfondita dei testi di Alexandr Kojève e dei classici francofortesi (Walter Benjamin, Ernst Bloch, Jacob Taubes ecc.) confermò le tesi del card. Siri e dei collaboratori di Renovatio sulla metamorfosi gnostica del progressismo.
I redattori della rivista cattolica non ottennero la meritata riabilitazione, ma almeno cessò il rumoroso concerto delle dotte smentite.
Alla fine degli anni Ottanta, Hiram, la rivista del Grande Oriente d’Italia, pubblicò un saggio su René Guénon: in esso si riconosceva apertamente che lo gnosticismo è la profonda radice del pensiero massonico. La lugubre bandiera dell’antico gnosticismo garrì sopra le teste dei progressisti festanti nel salotto buono.
L’avvenuta metamorfosi gnostica del progressismo invece fu taciuta al popolo dell’ex rivoluzione comunista, giudicato incapace di contemplare e apprezzare il proprio bene nei pensieri dell’astruso e feroce salotto speculativo.
Caricato dai signori della finanza iniziatica, finalmente l’orologio della storia batte l’ora delle grandi sofferenze e delle obbligatorie privazioni. L’ottimismo degli atei flette le sue ali sotto il peso delle sentenze pronunciate dalle agenzie iniziatiche di rating.
Il sigillo è finalmente spezzato e i proletari possono accedere al cabaret della Gruber, che mette in scena il pensiero duro e puro degli usurai gnostici del 71° grado.
Regnante il 71 Mario Monti, il commediografo Romeo Castellucci distribuisce ai profani pillole di gnosticismo da palcoscenico. Castellucci, in figura del dopo Brecht, annuncia che la festa rivoluzionario è finita. Il sole di Marx è caduto nel buco nero di Madoff e di Soros.
Ecco, riassunto da un giornalista australiano, l’alto pensiero che regge la commedia in scena nel milanese teatro Parenti: “La storia di Dio che crea amorevolmente l‘universo, dopodiché l‘uomo che commette il peccato originale e viene perciò espulso dal Giardino dell‘Eden è ben nota. Meno nota è invece la versione mistica giudaico–cristiana, che troviamo nello Gnosticismo, nella Cabala e nella filosofia Rosacroce. E‘ questa la versione che Castellucci ci presenta … In questa versione più tenebrosa della Genesi, l‘atto creativo non è frutto dell‘amore ma di un terribile errore. La Cabala, per esempio, parla di come l‘universo sia stato creato quando i vasi sacri che portavano la Parola di Dio sono caduti e si sono frantumati in milioni di pezzi imperfetti. L‘atto della creazione è stato dunque una trasgressione violenta contro le leggi dell‘universo. In questa ottica, tutta la Creazione contiene in sé il caos agitato di un proto universo precedente all‘atto creativo. Non è l‘Amore che regna nell‘universo ma la Crudeltà. Non è l‘uomo ad aver peccato ma Dio“.
L’idea di un demiurgo assolutamente disastroso e colpevole è l’aroma diffuso dalla letteratura pseudo-religiosa, ad esempio dalle tortuose pagine che Dostojewskij ha dedicato al grande inquisitore.
D’altra parte l’idea della divinità del male circola fra i pensatoi della finanza strozzina, quella che sta preparando le pie sciagure da rovesciare sulle folle frastornate dalla cultura di dissoluzione e di morte.
Purtroppo le aberrazioni dello gnosticismo ritornante hanno incontrato le debolezze di quell’ecumenismo cattolico, che ha incoraggiato l’inseguimento dei cristiani anonimi nelle torride sedi del disordine militante.
Giovanni Testori, quasi facendosi continuatore della dottrina di Marcione Pontico, lo gnostico secondo cui solo i peccatori contro natura meriterebbero la salvezza eterna, ha insinuato nel dramma Exitus la bizzarra opinione che la luce della redenzione scende sul vespasiano, dove un ragazzo di vita si uccide con l’eroina.
Purtroppo la tesi di Testori è in circolo in alcuni ambienti cattolici peraltro bene intenzionati. Lo dimostra la giustificazione dell’opera di Castellucci da parte di uno scrittore abitualmente sobrio e attendibile quale Antonio Socci.
I cattolici non possono insorgere contro il qualunque carrettiere che bestemmia. Il fatto è che Castellucci non rappresenta la figura quasi patetica del carrettiere ubriaco, ma la punta di un iceberg di vasta e rovinosa dimensione.
Il teatro di Castellucci è la cassa di risonanza dei pensieri malsani che abitano nel salotto alto e nella sublime banca. La sua oscena e stupida commedia non è altro che un paravento alzato per incrementare la rassegnazione al disordine in atto nella spaventosa e delinquenziale scena allestita dalla finanza iniziatica. Non reagire e non protestare significherebbe nascondere la mostruosità del pensiero a monte del teatro Parenti.