DALLA SINISTRA CRISTIANA CONTRIBUTI ALLA CONFUTAZIONE DELLA POLITICA MODERNA – di Piero Vassallo

Un’inaspettata fonte di cultura politica

 

di Piero Vassallo

 

 

Una volta accertato che la fondazione di un movimento politico degno della storia italiana dovrà incominciare dal congedo del pensiero a cavallo di tigri archeo-dadaiste [1], può iniziare un vigile e cauto e ultimamente  proficuo cammino di ricerca attraverso le idee in continua evoluzione, tra il 1945 e il 1962, nel pensiero dei militanti e degli ex militanti della sinistra cristiana.

Affidabili guide dei viaggiatori nel tortuoso labirinto cattolico-progressista sono le memorie di Gianni Baget Bozzo e il magnifico saggio del compianto professore Claudio Leonardi, “Terza generazione: dall’utopia alla profezia”, pubblicato nel settembre del 1973, nella rivista “Renovatio”.

rrLeonardi, che nella complessa corrente della sinistra cristiana fu autorevole ed assennato militante, ricostruisce, anzi tutto, la tormentata vicenda intellettuale del torinese Felice Balbo [2],  uno studioso il cui problema era “elaborare un’azione che portasse l’umanità, ormai segnata da una crisi radicale, a scoprire la propria vera dimensione.”.

Tale intenso desiderio indusse Balbo a una tormentata ed esitante adesione al Pci, attuata nel 1945 e motivata dalla convinzione che “solo il Pci fosse portatore – pur nel suo errore ideologico – di una volontà politica tale da modificare la struttura esistente”.

L’adesione di Balbo al Pci fu una scelta, condizionata (secondo Leonardi) da una residua suggestione laicista, di probabile stampo azionista-torinese [3], “che si manifesta – per usare il linguaggio che gli era abituale – come una tendenza para-pelagiana: la grazie travolge sì l’uomo nell’eterno, ma l’uomo – nel terreno – ha l’autonoma capacità – anzi il dovere di trovare soluzioni al rinnovamento della storia che prescindono dalla fede”.

Leonardi sostiene altresì che Balbo non poneva la questione di un superamento del marxismo ma del suo inveramento: “La ragione scientifica rappresenta una conquista irrinunciabile del marxismo, ma essa viene resa storicamente mortifera dall’assolutezza in cui essa è stata elaborata“.

Con lo scorrere del tempo la riflessione accrebbe il distacco di Balbo dall’ideologia di Marx e dal gramsciano principe, “così nel 1950 il suo cammino intellettuale lo porta all’uscita dal Pci e poi, nel febbraio del 1952 a motivare con una dichiarazione pubblica l’uscita con l’obbedienza alla gerarchia ecclesiastica”.

Nel 1950 Balbo era giunto alla conclusione che il comunismo, privo di una scienza umana dello sviluppo era inadatto a promuovere il salto qualitativo promesso dai suoi banditori.

Da allora in avanti la ricerca di Balbo fu indirizzata a un’autonoma scienza dello sviluppo da dedurre dalla filosofia aristotelico-tomista.

Nel 1952 l’assillante, nuovo problema filosofico lo persuade a collaborare con la rivista “Cultura e realtà”, nella cui redazione operano eminenti testimoni del forte disagio a sinistra: Cesare Pavese, Augusto Del Noce, Giaime Pintor.

Frutto del dialogo con Pintor è un progetto culturale inteso alla rigenerazione totale, progetto che contempla l’inutilità di criticare il fascismo con i mezzi culturali del pre-fascismo [arnesi usati con trascurabili varianti dal liberale Benedetto Croce, dall’azionista Ferruccio Parri e dal popolare Alcide De Gasperi] [4].

Pintor sosteneva addirittura che uscire dalla soffocante antitesi fascismo-antifascismo era la condizione di ogni lavoro serio.

[Quando si pensa che l’antitesi fascismo-antifascismo nutre e agita la politica italiana intelligente malgrado la discesa del Grande Nemico nella spettrale/duale figura di Fini/Bocchino, non è difficile riconoscere una traccia di lungimiranza nel giudizio di Pintor].

Entrato in un nuovo orizzonte filosofico, Balbo accettò un finanziamento offerto da Luigi Gedda e costituì un gruppo di ricerca finalizzato alla fondazione di una originale scienza dello sviluppo [5].

Nel laboratorio profusero i loro impegno gli studiosi ( Augusto Del Noce, Gianni Baget Bozzo, Giorgio Sebregondi, Ubaldo Scassellati, Mario Motta, Nino Novacco) che progettavano la separazione della politica dei cattolici dalla usurata e sorpassata cultura dei liberali e degli azionisti.

Nell’ottobre del 1953 dal gruppo prende vita la rivista “Terza generazione“, la cui direzione fu affidata a un giovane Bartolo Ciccardini, sotto tutela dell’editore Ubaldo Scassellati Sforzolini. Fra i collaboratori Gianni Baget Bozzo, Claudio e Matteo Leonardi, Ludovico Actis Perinetti, Renzo Caligara, Luciano Fabiani, Ludovico Incisa di Camerana, Piero Ugolini

Nella presentazione, Scassellati dichiara che “la nostra coscienza avverte una specie di 8 settembre permanente sul piano morale, ideale, politico e civile: è il fallimento dei partiti”. E di seguito avvia il discorso sulla pacificazione nazionale affermando che “non possiamo rifiutare nulla della storia d’Italia, né del Risorgimento, né del più antico passato, né dell’età giolittiana, né dell’interventismo né del primo dopoguerra, né del fascismo, della guerra e dell’immediato ieri”.

La coraggiosa proposta avanzata da Scassellati rovescia perfettamente la serenata che Palmiro Togliatti rivolgeva ai fascisti (del genere di Davide Lajolo, Arrigo Boldrini, Giorgio Bocca ecc.) disposti al perfetto rinnegamento.

L’inversione della tendenza al partigianesimo puro appare evidente nel quinto numero della rivista, in cui fu pubblicata la lettera di Gianfranco Romanello (“Autobiografia di un giovane  neofascista”) e la nobile risposta di Baget Bozzo, il quale apprezza nello scritto “il desiderio di una comunità italiana, dominata da un ardente spirito di pietà patria, che valga a superare gli antagonismi tra individui e individui, tra gruppi e gruppi: di una nuova unità morale e civile che sia realizzazione conseguente dell’unità della tradizione e della vocazione nazionale”.

bgbL’appello di Baget Bozzo era rivolto a un paese non ancora infettato dalla lebbra francofortese, fomite di divorzismo, abortismo, tossicodipendenza e pederastia.

Era tuttavia già arduo lanciare una sfida in faccia all’incensato mondo moderno. Occorreva individuare un’area immune dal contagio liberale e socialista, e questa fu individuata da Scassellati nella società rurale.

Nel 1973, Claudio Leonardi, commentando gli scritti di Scassellati scriveva: “Il mondo moderno è semplicemente finito, ma la sua presenza strutturale è ancora totale e preponderante. Senonché, soprattutto in Italia, intere zone del paese sono rimaste fuori dal mondo moderno, ferme a una condizione di civiltà pre-moderna: in queste zone, chi, come i giovani, ha coscienza che una civiltà è finita, può fare bene quello che il mondo moderno ha fatto male: sviluppare la situazione storica e portarla a condizioni di giustizia e pienezza”.

La necessità di una nuova coscienza nazionale fu il tema affrontato da Ludovico Incisa di Camerana (1927-2013) il quale sviluppò il tema di Scassellati e ventilò “la possibilità storica di dare un contenuto unitario e dinamico alla coscienza nazionale italiana”. Di qui una nuova formulazione del problema politico di “Terza generazione”: come evitare il coinvolgimento dell’Italia nel processo fallimentare del mondo moderno e come far sopravvivere l’anima antica della nostra patria?

Ora il problema di far sopravvivere l’anima italiana contemplava l’esigenza di uscire dal cattolicesimo liberale e, con essa, l’opportunità di stabilire un dialogo con i neofascisti risoluti a trasferire la loro passione per l’Italia nel campo della tradizione cattolica.

A tale fine Baget Bozzo parafrasava e indirizzava ai militanti cattolici nel Msi il comando di uscire dal proprio popolo impartito ad Abramo.

Per condurre la delicata operazione del reclutamento dei neofascisti, nel 1958 Baget Bozzo fondò, grazie al sostegno di Luigi Gedda e la collaborazione di Augusto Del Noce, Francesco Mercadante, Claudio Leonardi e Paolo Possenti, la rivista “Ordine Civile”, che divenne presto il veicolo di un fruttuoso dialogo con i più maturi esponenti della gioventù missina: Giano Accame, Primo Siena, Fausto Gianfranceschi e Maurizio Giraldi.

Nel 1960 il decisivo contributo dei democristiani alla rivolta contro il governo di Fernando Tambroni confermò in Baget Bozzo la convinzione circa la necessità di dare vita a un movimento di cattolici refrattari alle suggestioni liberali e alle inclinazioni progressiste agenti nella Dc.

Da tale convinzione ebbe origine, nel 1961, l’Ordine civile, il movimento fondato da Baget Bozzo e Giano Accame e finalizzato a costituire un partito fedele alla tradizione italiana e perciò alternativo alla Dc.

Nel movimento Ordine civile e nella redazione della rivista “Lo Stato” si cimentarono alcuni fra i più vivaci protagonisti della cultura italiana antimoderna: Nicola Guiso, Fausto Gianfranceschi, Fausto Belfiori, Primo Siena, Silvio Vitale, Maurizio Giraldi, Pietro Giubilo, Massimo Costanzo, Paolo Possenti, Ennio Innaurato, Alfredo Cattabiani, Giovanni Cantoni, ecc.

L’opposizione della gerarchia cattolica alla trasformazione del movimento di Ordine civile in partito politico aprì le porte al destino liberal-progressista che ha umiliato la nazione italiana.

La pagina di quella lontana esperienza non è però vietata a lettori e agli interpreti aggiornati, in un presente, che è segnato dalla fine del partito unico dei cattolici, dal naufragio neofascista nel delirio finiano, e dai catastrofici risultati del ciclo postmoderno intitolato alla gnosi francofortese e all’economia cravattara.





[1] Archeo dada è il titolo umoristico di un sito fondato da Roberto Remondini.

[2] Felice Balbo, (1913-1964), discendente di Cesare Balbo, frequentò il liceo torinese negli anni Trenta ed assimilò la cultura laico-liberale. Nel 1941 partecipò alla guerra contro la Grecia e contrasse la malaria. Rimpatriato si trasferì a Roma, dove stabilì contatti con la sinistra operante nella clandestinità. (cfr. Enciclopedia Treccani voce Balbo). Nel 1944, in collaborazione con Adriano Ossicini, “scrisse un saggio inteso a dimostrare che il materialismo storico, nato per situazioni contingenti insieme con il materialismo dialettico ma da questo facilmente separabile e riducibile a tecnica della politica” .

[3] Al liceo Balbo fu influenzato dalle lezioni di Augusto Monti (1872-1952) azionista, collaboratore di Piero Gobetti e amico di Ernesto Rossi, il fondatore del partito radicale. Nella facoltà di giurisprudenza subì l’influenza dell’idealista Gioele Solari (1881-1966), il maestro di Norberto Bobbio.

[4] Al seguito del giudizio formulato da Pintor è maturata la decisione di escludere dall’elenco Franco Rodano, il quale, dietro suggerimento di Palmiro Togliatti, intraprese un opposto cammino  e risalì alle fonti liberali e illuministiche della rivoluzione italiana.

[5] Del gruppo di ricerca facevano parte  Mario Motta, Giorgio Sebregondi, Claudio Napoleoni, Ubaldo Scassellati, Nino Novacco, Gianni Baget Bozzo, Fé d’Ostiani.



 


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