Ovviamente, lo sappiamo bene, non tutti crimini sono uguali. Vi sono crimini banali, altri che, con tutto il rispetto delle vittime, possiamo definire sciocchi, altri ancora incomprensibili. Ma vi sono crimini che per la malvagità profonda che li genera ci portano sull’abisso dell’orrore: sono delitti infernali, una sorta di riti satanici, di sacrifici inferi, di evocazioni sacrificali demoniache la cui natura tellurica può essere capita solo da crede in Dio e quindi anche nell’esistenza del demonio.

Quella che ha tolto la vita a Darya Dugina, obiettivo con il padre Alexandr Dugin di un attentato terroristico da parte di persone senza onore, senza patria (chi non ha onore non ha patria), è uno di questi crimini infernali. Una Provvidenza che oggi non possiamo capire ha fatto sì che il padre si salvasse al prezzo immenso di veder morire la figlia davanti ai suoi occhi. Di fronte a questo mysterium non ci resta che il silenzio, la meditazione e soprattutto la preghiera.

Ma tutto ciò non basta. Oltre al cordoglio, al dolore, e alla legittima (quanto legittima!) rabbia, occorre riflessione, comprensione razionale, politica e ancor più metapolitica del crimine. Ancor prima che la polizia moscovita giungesse all’identificazione della criminale assassina, dei suoi spostamenti, tutti noi avremmo potuto giurare sulla colpevolezza dei servizi ucraini, e non solo: per un colpo così terribile e preciso nel cuore della Russia accorreva anche l’aiuto progettuale e logistico dei servizi Usa o della Gran Bretagna. Prima o poi anche questi tasselli andranno al loro posto.

Ma perché colpire Alexandr Dugin e sua figlia? Perché Dugin era il più noto ideologo e sognatore dell’Eurasia, di una patria che andasse da Dublino a Vladivostock, una patria che, come scrisse, fosse fondata su “l’idea universale: salvezza del mondo, luce, bontà, giustizia.” Una patria potente e libera che si contrapponesse “all’impero americano della menzogna, dello sfruttamento, della decomposizione morale e dell’iniquità”.

Prima di lui, questa grande patria l’aveva sognata Jean Thiriart, e dopo di lui questo sogno non smetterà di essere sognato da tanti buoni europei. La sua giovane figlia sognava come lui. Come il padre, combatteva il nichilismo del mondo moderno (oh, quanto i russi conoscono bene il satanico nichilismo!), la malvagità dell’anti-Tradizione, l’odio per il bello, il giusto, il bene, la perversione dei valori più profondi. Per questo si è sacrificata Darya Dugina. Veniva da un convegno sulle tradizioni della Russia. Possiamo serenamente dire che è morta combattendo.

Uniamoci alle parole che Vladimir Putin ha indirizzato al padre e alla madre nel ricordo di Darya: “persona brillante e di talento con un vero cuore russo: gentile, amorevole, comprensiva e aperta. Giornalista, scienziata, filosofa, corrispondente di guerra, ha servito onestamente il popolo, la Patria, ha dimostrato con i fatti cosa significa essere un patriota della Russia”.

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