Dialogo col modernismo – di P. Giovanni Cavalcoli, OP

di P. Giovanni Cavalcoli, OP

 

sclf e ppHo già commentato alcuni aspetti della nuova intervista rilasciata dal Papa a Scalfari a Casa Santa Marta ed avevo promesso di toccare altri due punti emersi in quell’incontro: la questione del modernismo e quella della coscienza.

            L’agenzia ZENIT del 1° ottobre scorso riporta, tra le parole del Papa, un accenno interessantissimo al “modernismo”, che invece non compare nel testo pubblicato da Repubblica del medesimo giorno e da L’osservatore Romano del 2 ottobre, dove invece al suo posto appare l’espressione “cultura moderna”, che è altra cosa, anche se non senza rapporto col fenomeno del modernismo, che è un approccio eretico alla cultura moderna a suo tempo condannato, come è noto, da S.Pio X, mentre i Papi del postconcilio hanno sempre – salvo rarissime eccezioni – evitato di usare la parola “modernismo”, carica di drammatiche risonanze,  ed hanno fatto presente molte volte come il confronto critico con la cultura moderna sia impellente dovere della Chiesa di oggi stimolata in ciò dal Concilio Vaticano II.

            Il problema dell’assenza o presenza della parola “modernismo” appare all’interno di un brano delle parole del Papa riportato in modo diverso nelle  fonti citate. Presento le due versioni parallele (ZENIT e Repubblica-OR), che non sono del tutto uguali; ma è difficile sapere quale è la fonte fedele. Si comprende altresì che entrambe intendono riferire la stessa sezione dell’intervista perché, al di là delle evidenti somiglianze, nei due casi l’ultima frase è addirittura la stessa, come possiamo vedere:

            Da Repubblica e da L’Osservatore Romano:

            I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare.

            Da ZENIT:

            Si rinvigorisce allora l’invito dei padri conciliari ad aprirsi al modernismo, nel senso di proseguire sulla via dell’“ecumenismo religioso” e del “dialogo con i non credenti”. Dopo il Vaticano II – ha constatato – “fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare”.

            Come si spiega questa differenza? Che cosa veramente ha detto il Papa? Io qui, prendendomi tutta la responsabilità e con modestia, avanzo un’ipotesi, che applica un principio ben noto ai critici: la cosiddetta lectio difficilior: proprio la  lezione più difficile ed insolita è quella che ha maggior probabilità di essere il vero pensiero dell’Autore, perchè suppone nell’ascoltatore l’attitudine a recepire quanto  di  nuovo è venuto dall’oratore: la novità desta infatti l’attenzione in chi ascolta  e stimola quindi di più a registrarla, che non le cose risapute o di carattere ordinario. Per questo la notizia di una novità sorprendente è più credibile di quella che riporta cose usuali o scontate.

            Per questo trovo più credibile il testo di ZENIT che non quello delle altre due fonti, le quali, per l’imbarazzo che può suscitare la parola “modernismo”, possono aver ritenuto opportuno tralasciarla sostituendola con quella più innocua e scontata di “cultura moderna”, per il vantaggio che può venire all’attuale modernismo, il quale per evidenti motivi, preferisce tenersi celato ed ha sempre avuto l’interesse a non riconoscersi tale, preferendo l’autonomina di “progressismo” assai meno compromessa ed anzi lusinghiera, e che tanto successo gli ha procurato.

            Ora non è da escludersi una forte  presenza modernista  in Repubblica, ed inoltre, per indizi in mio possesso, oserei avanzare l’ipotesi di un’infiltrazione modernista moderata persino ne L’Osservatore Romano.

            Ciò però che può giocare a favore del testo Repubblica-OR è che l’articolista di ZENIT sembra riferire solo ad sensum e mette tra graffette solo alcune espressioni del Papa, mentre la parola “modernismo” è fuori: il che può far pensare ad un’inesattezza dell’articolista o ad una sua arbitraria interpretazione delle parole del Papa, cose che purtroppo ogni tanto capitano nei giornalisti.

            Se tuttavia il Papa non l’ha pronunciata, resta finissima l’interpretazione dell’articolista, perchè coglie in modo straordinariamente intelligente l’impostazione pastorale dell’attuale Papa, lanciato in una formidabile impresa di recupero mediante il dialogo di quanto di valido c’è nella cultura moderna e quindi nello stesso modernismo, il quale, per quanto sia un’eresia, tuttavia, come avviene sempre nelle stesse eresie[1], non è privo di un aspetto di verità, che è appunto il tentativo, benchè fallito, di assumere nel cattolicesimo gli aspetti validi del mondo moderno.

            Che interesse potrebbero aver avuto i modernisti ad evitare il riferimento al modernismo? Il Papa aveva fatto una mossa abilissima e sorprendente col citarlo e nel modo col quale lo aveva citato: un modo rispettoso che ovviamente non potrà dimenticare S.Pio X. Questo non era accaduto nei precedenti Papi del postconcilio, i quali, quelle pochissime volte che avevano citato il modernismo, lo avevano fatto nel senso negativo di S.Pio X. Ma questo Papa, lo sappiamo, non cessa di sorprenderci. Analogamente egli ha citato positivamente la teologia della liberazione, ma senza dimenticare la condanna pronunciata dal Beato Giovanni Paolo II.

            Questa volta il riferimento al modernismo, se è autentico, è semplicemente favoloso e denota una improvvisa e geniale svolta nella pastorale del Papato nei confronti di questo pericolosissimo fenomeno, vera iattura della Chiesa di oggi, fenomeno del quale già il Maritain, seguìto poi da molti altri studiosi, si era accorto nel 1966 e contro il quale aveva messo in guardia, problema che i Papi finora non sono riusciti a risolvere. Si era adottata la misura di non parlarne, senza apprezzabili risultati. Ora Papa Bergoglio mette le carte in tavola e se anche non ha pronunciato la parola, ormai è chiara la sua linea, che ZENIT ha capito benissimo, vorrei dire profeticamente.

            Papa Francesco ha cominciato, a quanto pare, ad affrontare l’enorme problema del modernismo  col suo stile caratteristico del dialogo. Come S. Francesco, Papa Bergoglio è capace di dialogare anche con i lupi, quei lupi che da decenni devastano l’ovile di Cristo, perché i pastori mercenari sono scappati, per non dire dei pastori che sono diventati lupi, quei lupi che hanno spaventato anche Papa Benedetto, il quale pure all’inizio del suo pontificato aveva chiesto preghiere affinchè non avesse avuto paura dei lupi. Non sono bastate le preghiere o siamo davanti ad un misterioso piano della Provvidenza che vuole vincere i forti con la forza dei deboli? Ricordiamoci la vittoria del Crocifisso. Ricordiamoci il Magnificat. Certo il cristiano è un agnello in mezzo ai lupi, ma, come diceva il Card.Biffi, “poveri lupi”!

            Anche i santi comunque possono fuggire in ritirata strategica: Gesù stesso forse non scappò quella volta che volevano gettarlo giù dal monte nella sua cara Nazaret? (Cf Lc 4 16-30). Se poi sono cacciati o danno le dimissioni, questo non depone contro il loro coraggio, anzi ne è una conseguenza. Papa Bergoglio non vuole pastori attaccati al denaro, ma soltanto al gregge di Cristo. Più che annusare i soldi, devono annusare le pecore.

            Una delle insidie più pericolose e fascinose che vengono dal modernismo, un’insidia “moderna”, è la tematica dell’io e della coscienza. Al riguardo il Maritain, riferendosi alla cultura moderna, parlava dell’“avvento dell’io”. E difatti Scalfari non si smentisce, parlando dell’io cartesiano, principio dell’immanentismo moderno, quell’i’io cartesiano, come riferisce lo stesso Scalfari, che gli fece perdere la fede.  Ma avrebbe potuto citare anche Lutero.

            Papa Bergoglio è tornato sul tema della coscienza con espressioni che sanno apparentemente di relativismo e soggettivismo, ma che, bene intese, sono in perfetta linea con il realismo e l’oggettività dei valori tradizionalmente insegnati dalla Chiesa.

            Dice Scalfari al Papa: “Lei, Santità, l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa”.

            Risponde il Papa: “E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”.

            Osservo che dire che ciascuno ha la sua idea del bene e deve seguire quella, non esclude che esista un’idea universale ed oggettiva del bene, che però dev’essere applicata e concretizzata in ciascun caso secondo il legittimo punto di vista e le esigenze proprie di ciascuno.

            Inoltre dovrebbe essere evidente che quando il Papa dice che bisogna seguire la propria coscienza, fa riferimento alla coscienza in buona fede, la quale, anche se oggettivamente sbaglia senza saperlo, resta innocente e deve essere seguita, come riconosce lo stesso S.Tommaso[2].

            Questo ha voluto dire il Papa e non altro. Egli si è già pronunciato contro il soggettivismo, che è invece la pretesa del soggetto o io individuale di essere il principio primo ed assoluto della propria o altrui condotta. Il cogito cartesiano, caro a Scalfari, è principio di soggettivismo. Ciò fa scomparire la nozione di bene comune, sulla quale tanto insiste il Papa, crea un bellum omnium contra omnes, viene fuori l’homo homini lupus di Hobbes, e alla fine si nega l’esistenza di Dio – l’io al posto di Dio – come sommo e saggio ordinatore della condotta morale.

            E’ chiaro quindi che l’“autonomia” della coscienza, di tipo cartesiano, della quale parla Scalfari, non coincide affatto con l’autonomia come la intende Papa Bergoglio, autonomia che evidentemente non è assoluta, ma occupa cristianamente uno spazio limitato di azione e di iniziativa che gli è concesso dal Creatore.

            Il Papa non entra nella questione di una concezione giusta o sbagliata del bene, determinabile in base a un criterio oggettivo ed universale. Egli semplicemente suppone la percezione del bene e sostiene la libertà da parte di ciascuno di realizzarlo secondo il proprio punto di vista, le proprie preferenze e le proprie possibilità, diverse da individuo a individuo.

            Alla domanda di Scalfari se concepisce un’“unica idea del bene”, il Papa si accorge che Scalfari non fa una questione metafisica sull’essenza universale del bene, ma entra nella questione pratica politico-morale se è legittima una pluralità di concezioni del bene.

            Il Papa risponde abilmente riconoscendo senza difficoltà l’esistenza e la legittimità di questa pluralità secondo le modalità sopra espresse. Come ho detto, Papa Bergoglio lascia qui nell’ombra, ma non esclude affatto l’universalità metafisica del Bene, e quindi l’unicità del Bene divino, grande lascito di Platone, fondamento del monoteismo, e la conseguente oggettività della legge morale, costante insegnamento della Chiesa, né quindi nega – come potrebbe? – un Bene sommo che sia il Bene unico per tutti, benchè fruito e goduto in modo diverso da ciascuno.

             Caratteristica del bene, però, è la concretezza e la singolarità, a differenza del vero, che è sempre universale ed astratto, come già notava Aristotele. Questo lo diceva con la massima chiarezza un S.Tommaso, campione dell’universalità, ma sommo realista. Una morale o un governo ecclesiale o politico che, in nome di un falso universalismo o una falsa unità (pensiamo al comunismo), misconoscesse questa autonomia o libertà della coscienza dei singoli, sarebbero disastrosi per la salvezza dell’uomo e il bene della comunità. Questo sottintende il Papa.

            Conclusione. Finora al termine modernismo si è dato un senso totalmente negativo, più o meno accentuato. S.Pio X, come è noto, lo chiamava la “somma di tutte le eresie”. Da qui un certo alone di disagio e di tensione che circonda da quasi un secolo questa fatidica parola, che è diventata una specie di tabù anche per il triste ricordo di eccessi compiuti con zelo indiscreto e a volte crudele nell’operare la repressione del dannoso e traumatico fenomeno. Oggi i modernisti si rifanno contro i cattolici delle angherie subìte dai loro predecessori, con la differenza che se prima questi erano castigati dai cattolici, oggi sono i poveri cattolici a soffrire sotto i colpi degli eretici.

            Papa Francesco, con la sua evangelica semplicità, mette le carte in tavola e noi siamo invitati a trattare serenamente della grave questione con senso di responsabilità: raccogliamo il suo input  sulla scia del Concilio e del principio del dialogo, senza per questo dimenticare gli errori condannati da S.Pio X.

            Occorre trovare il positivo anche nei fenomeni più aberranti,  sull’esempio di Cristo che non spezza la canna fessa e non spegne il lucignolo fumigante o, se volete, mutatis mutandis, sull’esempio dei gatti, i quali trovano qualcosa di buono da mangiare anche nel bidone delle immondizie.  Qualcosa del genere il Papa lo ha fatto con la teologia della liberazione.

            Sono convinto che i modernisti si stanno accorgendo della piega che stanno prendendo le cose e cercano di correre ai ripari con un’autodifesa impropria ed affannosa, ma penso che ormai sia per loro troppo tardi. Viene ad essi offerta la strada del dialogo, ma dovranno tener presente che il Papa non può cedere sui punti della fede. Egli pare ormai deciso a togliere dalla Chiesa quella “sporcizia” della quale parlava Papa Benedetto, ed a condurla  sulla via di quel vero progresso della vita cristiana, che è stato voluto dal Concilio, al di là di resistenze anacronistiche anticonciliari e nella libertà dai rigurgiti modernisti, che falsamente si richiamano al Concilio.


[1] Mi permetto al riguardo di rimandare al mio libro La questione dell’eresia oggi, Edizioni Vivere In, Monopoli (Bari) 2008.

[2] Cf Summa Theologiae, I-II, q.19. aa.5-6.

8 commenti su “Dialogo col modernismo – di P. Giovanni Cavalcoli, OP”

  1. rispetto la persona di padre Giovanni Cavalcoli e nutro per lui ammirazione – lo considero un amico prezioso anche se non riesco a condividere la sua opinione sul modernismo – al proposito propongo al direttore di pubblicare l’enciclica Pscendi di San Pio X (al fine di chiarire che il modernismo era strutturalmente e irrimediabilmente anti-cristiano
    piero vassallo

  2. Sperare contro ogni umana speranza … e va bene (visto che la Speranza di cui parliamo è virtù “donata” e non “conquistata”).
    Ma negare sempre e tutto, davanti all’evidenza … no, non mi trova d’accordo.

    E comunque, foss’anche così, come dice Padre Cavalcoli (che fino ad oggi ho sempre letto spesso e con piacere), chi pubblicherà questi suoi pensieri “peroranti” e “chiarificanti” e “implementanti” quello del Papa che, non me ne vogliano i gestori della presente piattaforma RC, ha lasciato grande segno su testate nazionali e addirittura sul sito del Vaticano stesso, quasi come se fosse (così come viene interpretato da molti) magistero ordinario della Chiesa al quale il fedele deve dare più che rispetto riconoscendo l’autorevolezza dei “pensieri” papali?

  3. Il punctum dolens è l’affermazione di padre Cavalcoli “(vi è) il triste ricordo di eccessi compiuti con zelo indiscreto e a volte crudele nell’operare la repressione del dannoso e traumatico fenomeno (modernistico). Oggi i modernisti si rifanno contro i cattolici delle angherie subìte dai loro predecessori, con la differenza che se prima questi erano castigati dai cattolici, oggi sono i poveri cattolici a soffrire sotto i colpi degli eretici”.

    Questo è, certamente, il sentire diffuso in larghi strati del Clero (“Quante sofferenze, cent’anni fa, per sospetti anche lievi di Modernismo !! “).
    Corrisponde al vero? Porrei la domanda al professor Vassallo.
    La mia impressione è che si tratti di qualcosa di falso, che copre la sostanziale affermazione “Erano proprio i Modernisti ad avere ragione, e papa San Pio X a essere nel torto! “.

    In ogni caso, p. Cavalcoli sottolinea che il Modernismo è eresia, non semplice “differente sensibilità”. In un altro articolo affermava -anche sulla base delle proprie difficoltà personali- che ormai il personale di Chiesa (in Italia/Vaticano) è IN MAGGIORANZA di simpatie modernistiche, e che perciò non si può sperare in un cambio generazionale, ma solo nel ravvedimento di coloro che oggi sono ai posti di responsabilità

    1. Condivido quanto da lei scritto.(“Quante sofferenze, cent’anni fa, per sospetti anche lievi di Modernismo !! “) ???? (….il triste ricordo di eccessi compiuti con zelo indiscreto e a volte crudele nell’operare la repressione del dannoso e traumatico fenomeno.) ??? Quali angherie???
      qualcuno è in grado di chiarirle o sono solo giustificazioni ?

  4. Reverendo Padre, mi permetto di osservare che nella critica del testo il criterio della lectio difficilior vale per le lezioni adiafore, cioè per quelle equipollenti dal punto di vista della presunzione d’originalità (ad esempio in uno stemma codicum bipartito, dove i due rami di una tradizione manoscritta derivante da un originale perduto presentino lezioni diverse e tuttavia in nessun caso manifestamente erronee). In questo caso la “tradizione del testo” è facilmente ricostruibile: trattandosi dell’intervista rilasciata a un giornalista di Repubblica nel corso di un incontro privato, non c’è dubbio alcuno che il testo di riferimento, pur tempestivamente rilanciato dalle altre fonti, sia quello di Repubblica. Anche i più attrezzati quotidiani nazionali talvolta “bucano” le notizie (cioè se le fanno soffiare da altri) ma non quando sono essi stessi nella notizia, e ne hanno l’esclusiva. Tutti i copisti fatalmente innovano il testo che riproducono, consapevolmnte o meno, e in questo caso l’innovazione non può che essere di Zenit. Tanto più che – e qui c’è il punto fondamentale – Zenit non riportava il testo dell’intervista, ma una sua sintesi commentata. Alcuni tratti erano dati in virgolettato (e questi effettivamente coincidono in toto), ma non così il passo – e la parola – cui Lei fa riferimento, che si devono all’autore dell’articolo. Che la fonte di Zenit fosse il testo di Repubblica (e non poteva essere altrimenti) era del resto dichiarato esplicitamente in coda all’articolo, dove si rimanda direttamente alla pagina web di Repubblica in cui il testo era pubblicato, e di cui era dato il link («Per leggere il testo integrale del colloquio tra Papa Francesco e Eugenio Scalfari cliccare su» etc.).

  5. Durante un colloquiocon Jean Guitton, Paolo VI ebbe a dire: “C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di San Luca: “Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” (Lc., 18,8). Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. … Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che dall’interno del Cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero non cattolico e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del Cattolicesimo, diventi domani il più forte”.

  6. Ariel S. Levi di Gualdo

    Carissimi.

    E’ una situazione, questa, nella quale tutti avete a vostro modo ragione, a partire dall’autore di questo articolo ovviamente magistrale. Dico “ovviamente” perchè Giovanni Cavalcoli O.P. è un filosofo metafisico, un teologo dogmatico e un tomista sulle cui capacità nessuno di noi può ragionevolmente discutere, essendo appunto questi dati oggettivi fuori discussione.
    Motivo questo per il quale, pur dandogli del “tu” come di prassi faccio con tutti i confratelli sacerdoti anche anziani (anzi soprattutto anziani), è mia abitudine rivolgermi al Padre Giovanni nei miei testi privati chiamandolo a giusta e meritata ragione “Venerabile Padre”, ciò in ossequio alla sua età ma soprattutto alla sua scienza che m’impone l’esercizio cristiano e sacerdotale della dovuta e riverente umiltà.
    Provo a suggerirvi una lettura che ha a che fare con la scienza di quest’uomo, che alla base è la fede, perché il Padre Giovanni vive da una vita la “scienza della fede”, alla base della quale c’è la sua preghiera e soprattutto la celebrazione del Sacrificio Eucaristico, memoriale vivo e santo.
    Il Padre Giovanni non si arrampica sugli specchi, è troppo dotto e troppo intelligente per farlo. Cerca in ogni modo di vedere e di trovare risvolti positivi per una lettura positiva dei fatti, spinto dalla sua fede e dalla sua profonda sensibilità teologica.
    Non si dimentichi poi che il Padre Giovanni ha conosciuto gli ostracismi e la persecuzione ingiuste anche più dure sia all’interno della Chiesa sia all’interno del suo stesso ordine religioso. Cose queste che, come accade di prassi negli uomini di grande fede e di grande personalità teologica, non lo hanno abbattuto ma rafforzato ancora di più nel suo credere più che mai nelle buone intenzioni e nella buona fede di quel Pietro sul quale il Signore ha edificato la sua Chiesa, devoto e obbediente più che mai alla Chiesa e alla sua famiglia religiosa.
    Insomma, un po’ come dire: Simone può anche sbagliare ed essere persino inopportuno, ma Pietro no, perchè per quanto limitato e difettoso, è sempre la pietra sulla quale Cristo ha edificato la sua Chiesa.
    Analizzando l’aspetto dal quale prendono vita certe espressioni del Padre Giovanni, non si può che rimanere ammirati per questo uso della fede che mira a salvaguardare la fede.
    Il Padre Giovanni non gioca con le parole e non si lancia su specchi scivolosi: esercita la propria ragione a servizio della fede nel costante tentativo di servire la fede.
    Per questo merita l’ammirazione anche di chi a libera e giusta ragione non la pensa come lui, perchè è un uomo di sincera e profonda fede, oltre che di grande scienza, in un tempo di triste e profonda decadenza dove nella Chiesa, ed in specie negli uomini di Chiesa, mancano drammaticamente fede e scienza.

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