DIECI PIAZZE PER DIECI COMANDAMENTI, CON ESIBIZIONI MUSICALI. SIAMO SICURI CHE SIA IL METODO MIGLIORE? – di Cesaremaria Glori

di Cesaremaria Glori

 

 

Sabato 8 settembre da Piazza del Popolo a Roma è iniziata quella che potremmo definire l’introduzione alla campagna di rievangelizzazione dell’Italia. Il cardinal Vallini ha tenuto una dotta e, in alcuni momenti, anche vivace relazione allorché ha detto che bisognerebbe smascherare quella certa ipocrita scusa (per schermirsi da chi?)di dichiararsi non credente, utilizzata come una forma di captatio benevolentiae nei confronti del pensiero debole laicista predominante.

Che sia però il fare discorsi nelle piazze la forma migliore per la rievangelizzazione delle nostre genti è tutto da discutere. L’avvilente è venuto dopo quando è subentrata  la musica che, nei progetti dei promotori, dovrebbe trainare i giovani a partecipare, magari anche come protagonisti di questa attività di supporto alla missione principale.

chinMi è stato difficile resistere per più di pochi minuti alla esibizione dei due giovani cantanti (?) armati delle solite chitarre. Dopo quei primi urlacci e quei balbettamenti che sembravano gargarismi mal riusciti e quelle vocali sillabate urlate quasi come patetici tentativi di un balbuziente a pronunciare la parola, non ce l’ho fatta più e ho rinunciato a farmi maltrattare l’udito e il mio gusto per la bella musica.

Ma come facciamo a credere che sia questo il mezzo migliore per portare Gesù Cristo fra la gente e fra i giovani in particolare?  E ancora, da chi è dipeso questo precipitare nel cattivo gusto con l’abbandono della bella e tradizionale musica liturgica sostituita da squallide canzonette? Forse il fatto che la musica liturgica tradizionale si esprime per lo più nell’aborrito latino, testimone di maggior rappresentanza di quella tradizione che si vuole abbattere nell’inseguimento di un mondo nuovo e di una nuova Chiesa? Con questo tipo di musica si continua a stordire i giovani e i neo adulti con una ritmica che non invita alla meditazione e con una agogica che induce, invece, a cullare i sensi in una forma di danza del pensiero che resta incapace di riflettere e di alzare lo sguardo al cielo.

La rivoluzione luterana mantenne l’elevata tradizione musicale e, sotto molti aspetti, la arricchì con gli apporti della tradizione popolare ,dando vita a quelle cantate e a quei corali che ancora al giorno d’oggi costituiscono uno dei patrimoni più belli dell’umanità. La rivoluzione  del 1968 è stata in ogni senso una caduta nella barbarie. La musica era già uscita sconfitta  dalla contrapposizione fra quella cosiddetta  colta e quella popolare, pervenendo ad una assurda divisione di gusti e di obiettivi , giacché quella colta mirava ad una vera e propria rivoluzione nell’ affannosa ricerca di forme nuove di espressione, pervenendo alla rivoluzione dodecafonica e all’abbandono della musica tonale, mentre quella popolare continuava fedele alla tradizione ma, non più alimentata da chi faceva della musica lo scopo della sua vita, si andava impoverendo e illanguidendo in forme stereotipate, salvo alcune impennate dovute più al genio di qualche solitario esponente della musica colta ancora sensibile al richiamo delle popolari tradizioni.

Poi venne il Concilio e il mitico 68 con gli slogan della “fantasia al potere” , con i figli dei fiori e le frange rivoluzionarie giovanili che mettevano in discussione tutta la tradizione, compresa quella musicale, trovando nella ritmica di origine africana una forma di espressione congeniale ai loro desideri di liberarsi da ogni sforzo di approfondimento intellettuale , anche in campo musicale. La musica adottata dalla gioventù postsessantottesca è prevalentemente atonale e quasi sempre declamante sulla  scala diacronica, seppur temperata da antiche forme ritmiche di origine popolare europea (country); essa è congeniale alla liberazione in campo sessuale, garantendo  quella ritmica  capace di eccitare i sensi. Eccitazione che richiederà successivamente il consumo di droghe, perché i sensi sono come una belva che, liberata, cerca sempre una irraggiungibile completa soddisfazione.

Di chi la colpa? Difficile trovare un colpevole che , in questo caso, diverrebbe un capro espiatorio. E’ tutta una generazione che si è votata allo sbando, una generazione in libera uscita in cerca di sollazzi e di avventure. Una colpa ce l’hanno anche le gerarchie cattoliche, specialmente i giovani parroci che hanno introdotto chitarre e percussioni nelle Chiese nell’illusione di dare ai giovani l’iniziativa per radunarli in massa. Ora sono rimasti sparuti gruppi parrocchiali, per lo più provenienti da gruppi di aggregazione esterni alla parrocchia stessa e molto spesso ad essa concorrenti, a proseguire a cantare con chitarre e percussioni che non favoriscono in alcun modo il raccoglimento necessario per la venerazione del Sacro e del mistero custodito nel frutto dell’Incarnazione. Questi canti giovanili andrebbero bene in cerimonie all’aperto, su nella cima di qualche monte o su distese verdi ove è sempre bello rendere omaggio al Divino Creatore negli ambienti suggestivi da Lui pensati per il nostro godimento. Ma all’interno di una Chiesa, ove la presenza di Dio deve essere venerata col rispetto a Lui dovuto, è meglio dare al creatore della Bellezza quanto di più bello siamo capaci di offrire. Fu proprio Lutero a raccomandare che nelle Chiese si offrisse a Dio quanto di più bello siamo capaci di produrre, soprattutto in campo musicale. Fu Lutero, infatti, ad approvare i primi corali e le prime cantate, fornendo egli stesso il testo. Ancora oggi nelle chiese luterane e protestanti in genere il popolo partecipa coralmente ai canti, sempre condotti con perfetto tempismo e armonia, accompagnati o meno dall’organo o, sovente, anche da piccoli complessi formati da più strumenti sia a corde che fiati. In Italia? Meglio non parlarne. Si vogliono imitare le comunità africane con i loro canti ritmici accompagnati da danze secondo la loro tradizione. Ma manca lo spirito che anima quelle comunità e, soprattutto, manca la condivisione generale che spinge tutti a cantare, uomini donne e bambini in una armonia che conquista e trascina. Nelle nostre chiese cantano i gruppi ma la comunità si limita ad ascoltare, specialmente gli uomini che restano muti e impalati. Come rimediare allo sfascio che è iniziato ben prima del Concilio e che, semmai, da questo hanno preso lo spunto i gruppi giovanili  – privi di guida e animati soltanto da buona volontà – per rimpiazzare ciò che si andava gradualmente spegnendo?

In Italia abbiamo migliaia e migliaia di giovani usciti con diplomi dai conservatori  o da altre istituzioni musicali (spesso anche a livello locale). Sono costretti a contentarsi dell’insegnamento con sempre più rare occasioni di poter suonare in gruppo per mancanza di locali ove ritrovarsi per il necessario  esercizio e per provare esecuzioni orchestrali. Ci sono le Chiese ma non è ancora venuto in mente ad alcun parroco o cappella o di offrire ad essi l’ospitalità in qualche saletta per esercitarsi da soli o in gruppo e, talora e con le dovute precauzioni, anche nelle Chiese stesse per le prove generali di esecuzione.  Le istituzioni pubbliche sono mancate in questo compito di favorire la musica delle nuove generazioni. Li si è fatti studiare e diplomarsi ma poi si nega loro, nella pratica, ogni possibilità di sviluppo. Aprendo loro le chiese potranno riprendere confidenza con gli antichi capolavori ( e ne abbiamo tanti, forse anche in numero maggiore rispetto ai tedeschi) seppelliti ad ammuffire in biblioteche e conservatori e riproporli poi davanti ai loro paesani o concittadini. La Chiesa è sempre stata la prima ad aprire le porte ai giovani per il loro sviluppo intellettuale e materiale, ma ora sembra addormentata e a rimorchio degli organismi laici.

Si riaprano le chiese ai gruppi orchestrali per far loro eseguire gli antichi tesori che ora sono stati dimenticati. I giovani, a cominciare da quelli di loro che li riscopriranno e li eseguiranno, si  renderanno conto del baratro in cui siamo precipitati e trascineranno gli altri  a riscoprire il bello e a liberarsi dalla zavorra accumulata in questi ultimo cinquantennio. In questo modo migliorerà anche la musica in generale e, gradualmente, spariranno dalle ribalte i ragli e le urla cui siamo stati bombardati negli scorsi decenni. Quando poi riscopriranno il Gregoriano, allora soltanto si renderanno conto di quale perdita hanno sofferto sia per la loro formazione artistica sia per quella personale .

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