Distinguere per vivere – di Marco Sudati

Uno dei tratti caratteristici della mentalità laicista, liberale e progressista che domina il sistema culturale e mediatico occidentale – mentalità ormai dilagata anche nella Chiesa e nel cosiddetto “mondo cattolico” – è l’avversione manifesta nei confronti del concetto di distinzione applicato ai popoli ed anche alle singole persone. Non ci si lasci ingannare dall’individualismo che caratterizza il liberalismo in tutte le sue declinazioni (filosofica, politica ed economica), in quanto non si tratta di un individualismo volto riconoscere e valorizzare le reali differenze intercorrenti tra gli uomini in opposizione all’errore egualitarista, bensì della pretesa di spogliare gli uomini dai legami e dai vincoli naturali – quelli determinati dall’ordine stabilito dal Creatore – facendo della società un agglomerato di individui anonimi e disorientati, individui illusi di essere liberi e autodeterminati.

Non passa giorno, infatti, senza che da qualche pulpito mediatico si levino prediche contraddistinte dall’immancabile incipit “senza distinzione di razza, di sesso, di religione, ecc.” (vero marchio di fabbrica del pensiero “politicamente corretto”). Una specificazione che sta sempre a significare la volontà di rimuovere ogni tipo di distinzione, come se la distinzione fosse sempre e comunque una forma di denigrazione tanto dei singoli individui quanto di una qualche formazione sociale, grande o piccola che sia. La distinzione vista, quindi, come qualcosa capace di offuscare e di offendere la dignità della persona umana.

A questo proposito, è sempre utile precisare il significato del concetto di dignità umana, dal momento che ad esso, da tempo, è stato attribuito un significato equivoco secondo il quale la dignità di ogni uomo avrebbe un valore assoluto e indipendente dal comportamento. Bene, secondo l’insegnamento cattolico tradizionale (ossia non deformato dall’eresia modernista incistatasi nella Chiesa) la dignità è una qualità che conferisce a qualcuno una certa superiorità e lo distingue dagli altri. L’uomo ha dignità rispetto alle creature non razionali (minerali, vegetali, animali), ma non ha una dignità assoluta o per se stessa. La dignità umana è dovuta alla natura umana razionale nella quale sussiste, ma non appartiene al soggetto o persona in sé; o meglio, la dignità appartiene direttamente ed in primo luogo alla natura e secondariamente alla persona che sussiste in tale natura razionale. La dignità si suddivide in:

  • dignità radicale-ontologica, la quale è la dignità della persona che è radicata su di una natura razionale. Radicalmente tutte le persone sono uguali, in quanto sono radicate in una natura umana razionale, e solo questa dignità non può essere persa;
  • dignità totale-morale o pratica (che riguarda l’agire), la quale è la dignità della persona considerata totalmente nel suo essere e nel suo agire. La dignità totale della persona, è data dai suoi atti buoni. Totalmente o praticamente, non tutti sono uguali: c’è chi fa il bene ed è buono, e chi fa il male ed è cattivo. Vi sarà dignità totale-morale, o pratica, solo se la persona conosce il Vero ed ama (vuole) il Bene; mentre, se aderisce all’errore e ama il male, la persona perde la dignità totale-morale anche se radicalmente conserva (resta radicata) la natura umana razionale. Papa Leone XIII insegna: “l’intelletto e la volontà che aderiscono all’errore ed al male decadono dalla loro dignità nativa e si corrompono” (Enciclica Immortale Dei).

Ma, torniamo al nostro discorso. La distinzione è un concetto intrinseco alla natura umana. Se noi osserviamo noi stessi e gli altri, non possiamo non constatare le differenze che intercorrono tanto tra le singole persone quanto tra i gruppi umani. Differenze di nascita – come il sesso, le attitudini e le caratteristiche psico-fisiche, la famiglia nella quale si viene al mondo – ossia differenze che non dipendono da specifiche scelte operate dalla singola persona (la quale si trova, senza averlo voluto, ad essere al mondo e ad essere fatta in un certo modo), e differenze dovute a precise scelte compiute nel corso della vita che portano le persone a distinguersi nel consesso sociale per la religione professata, per la professione svolta, per gli interessi coltivati, per il comportamento assunto nell’ambito del consorzio civile nel quale si vive ed alla vita del quale si dà il proprio contributo. È impossibile pensare a una persona concreta privandola dei suoi tratti caratteristici, alcuni dei quali – quelli etici, ossia quelli fondati sul comportamento – contribuiscono in maniera decisiva a marcarne la dignità.

Spogliare una persona dei propri tratti caratteristici e identificativi, per esaltarne la dignità, è una solenne e macroscopica presa in giro, un’offesa al buon senso ed alla retta coscienza di chiunque abbia ben chiaro come la dignità personale di ciascuno non possa non dipendere da ciò che lo caratterizza. Se azzeri ciò che mi caratterizza, ossia ciò che contribuisce a fare di me quello che sono (si badi, non l’idea o concetto universale di uomo, ma questo uomo qui, in carne ed ossa, che nella vita si comporta in un certo modo e non in un altro), mi annulli.

Le belle anime progressiste – autocertificate garanti dei diritti dell’Uomo (l’Uomo concepito nei sulfurei laboratori gnostici della Sovversione) – sostengono la necessità di ignorare le distinzioni al fine di salvaguardare la dignità dell’Uomo, minacciata, a loro dire, dalle distinzioni che alcuni utilizzerebbero come arma di denigrazione nei confronti di altri. Dunque tutto si azzeri e resti il solo individuo umano, privato delle sue peculiarità, ossia l’Uomo immaginato dalle menti “illuminate” dai lumi sovversivi, ben malleabile e adattabile a qualsiasi manipolazione concepita dagli “illuminati” e infatuati fautori di un mondo nuovo e diverso dalla realtà costituita dalla natura impressa da Dio alle sue creature.

Le distinzioni, lungi dal costituire sempre e comunque elementi di denigrazione della dignità delle persone e dei popoli, sono necessarie alla vita umana perché la realizzano e la qualificano. Io so chi sono e so chi sei perché conosco ciò che ci caratterizza, ciò che ci rende simili e affini, e ciò che, invece, ci differenzia e divide.

Certamente le distinzioni possono contribuire anche a denigrare qualcuno, ma non è affatto detto che questo sia necessariamente sbagliato. Distinguere il delinquente dalla persona onesta è un atto di giustizia, guai se così non fosse. Distinguere la persona che si prodiga nello svolgimento del proprio dovere da colui che, invece, lo rifugge, lo è altrettanto.

Le distinzioni che occorre fare quando ci si trova dinnanzi a gruppi umani che si differenziano per tratti somatici e/o usi e costumi molto diversi tra loro, sono un atto di verità. Constatazioni che è doveroso fare al fine di non negare la realtà delle cose, con tutto ciò che da una tale negazione potrebbe conseguire.

Se le classi politiche dirigenti che si sono alternate al governo della nostra nazione negli ultimi trent’anni avessero osservato dei criteri di sano realismo (quello che tiene conto della natura delle cose e dell’ordine che le caratterizza, e che, per questo, induce a tenere in debito conto le distinzioni), il problema dell’immigrazione di massa che affligge l’Italia e l’Europa sarebbe stato individuato nel suo pieno significato e rispedito al mittente, in quanto riconosciuto effetto di una volontà perversa e avversa all’esistenza dei popoli intesi come gruppi umani differenziati (una volontà perversa volta a ridurre i popoli in massa amorfa, ossia priva di forma e, dunque, indistinta).

Se il valore della distinzione venisse tenuto in debito conto in ordine al patrimonio etico, religioso e culturale della nostra patria, le generazioni di italiani verrebbero educate ad esserne degne eredi con tutti i benefici che ne conseguirebbero, sia sul piano spirituale che materiale, tanto per i singoli quanto per l’intera comunità nazionale.

Al termine di queste considerazioni sul concetto di distinzione, vengono alla mente le parole del grande padre domenicano Tomas Tyn (1950-1990), secondo il quale la distinzione è sorgente di ordine e di sapienza. Sapienza, ordine, distinzione … esattamente ciò di cui viene privata la gran parte dell’umanità in questi nostri disgraziati tempi segnati dal dominio del caos.

 

 

Fonte Ordine Futuro, per gentile concessione dell’autore

2 commenti su “Distinguere per vivere – di Marco Sudati”

  1. Perfettamente d’accordo con l’autore di questo articolo che appartenendo a quello sparuto gruppo di persone con ancora sale in zucca, coraggiosamente sa proclamare la verità. E a proposito di dignità, è riconoscerne la dignità, quando alla persona si nega la distinzione di sesso, fondamentale nell’individuo e connesso alla sua natura? È rispettoso della dignità di un bambino bloccare il suo sviluppo ormonale nel perverso obiettivo ‘genderalista’ (mi scuso per il termine inventato da me)di confondergli le idee? E come negare che possano esistere uomini più o meno degni del consesso umano, quando si assiste a delitti orribili che includono anche il cannibalismo? Quale dignità posso io riconoscere ad un soggetto che fa a pezzi una povera ragazza e chissà cosa fa del suo cuore? Basta, siamo circondati dal male e dalla menzogna spacciata per verità. Credo che in nessun’alta epoca l’uomo sia caduto così in basso.

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