DOMENICA 13 MAGGIO TUTTI A ROMA, PER LA MARCIA NAZIONALE PER LA VITA. IL CONCEPIMENTO DELLA PERSONA UMANA – di P.Giovanni Cavalcoli,OP

IL CONCEPIMENTO DELLA PERSONA UMANA

 

di P.Giovanni Cavalcoli,OP

 

mpv

DOMENICA 13 MAGGIO TUTTI A ROMA, PER LA MARCIA NAZIONALE PER LA VITA

 

Nell’età moderna il progresso delle scienze sperimentali è andato paradossalmente di pari passo col regresso del pensiero metafisico, fatto che non ha certo servito al progresso teologico e morale, il quale dalla metafisica trae grandi vantaggi.

Grazie a Dio, comunque il progresso teologico c’è stato grazie all’impulso dato dalla dottrina della Chiesa, la quale comunque del resto si è valsa se non altro della metafisica classica, anche se non ha potuto utilizzare un pensiero metafisico sanamente moderno, perché purtroppo è pressochè inesistente, poiché quella che comunemente vien chiamata “filosofia moderna” è praticamente o un ritorno con linguaggio un po’ più forbito ai rozzi tentativi dei filosofi presocratici oppure si tratta di una falsificazione dell’alta speculazione cristiana elaborata nel bistrattato Medioevo.

Questa discrepanza tra progresso scientifico ed arretratezza metafisica è paradossale, perché così non dovrebbe avvenire nel progresso dell’umano sapere: il progresso della scienza dovrebbe di per sé dar luogo a una più avanzata metafisica, così come dal raffinamento dell’esperienza sensibile si pongono le premesse per una più alta intellettualità, mentre d’altra parte il progresso della scienza è segno che, lo si voglia o non lo si voglia riconoscere, in fin dei conti, nonostante l’imbarbarimento della filosofia e la perdita del gusto per la sapienza, una qualche capacità di ragionare è pur rimasta nella mente degli uomini, altrimenti non vi sarebbe neppur potuto essere il grande progresso scientifico dei tempi moderni, dato che qualunque la scienza, per quanto di infimo grado, non può nascere se non da un rigoroso esercizio della ragione. Ma, ahimè!, quanto vola basso questa ragione, la quale, come direbbe Cristo, sa predire quando piove o quando ci sarà il sole e non sa distinguere la materia dallo spirito o l’uomo dalle bestie!

Uno dei segni particolarmente impressionanti di questa innaturale e sciagurata sconnessione, alquanto dannosa per il benessere e la stessa vita dell’uomo, la vediamo oggi nel campo della genetica e della bioetica, dove, insieme all’accumulo di un’enorme quantità di conoscenze estremamente interessanti del tutto assenti anche solo in un recente passato, in molti ambienti della scienza e della cultura il quoziente intellettuale si é talmente abbassato, che non si è più grado di capire il fatto di elementare esperienza che avviene quando un uomo e una donna si uniscono, ossia che “concepiscono un figlio”. Il verbo ebraico è yallàd, che significa anche “generare”, distinto – si noti bene – dal concetto del “fare” (barà) legato alla produzione tecnica, usato, come si sa, per significare il creare divino. Per la Bibbia si “genera” o si “concepisce” un figlio. Si “fa” una sedia o un tavolo; ma non si “fa” un figlio.

Dunque nel mondo antico è già chiara la coscienza che il “frutto del grembo” è già una persona, se si parla di un “figlio”: il figlio evidentemente è un individuo umano della stessa specie del genitore. Gli Antichi, senza bisogno di essere dei metafisici del livello d Aristotele e di Platone, avevano già quel senso ontologico della persona, per il quale non erano come noi moderni messi in crisi dall’evoluzione dell’individuo umano, tanto che, come è noto, anticamente si concepiva lo spermatozoo come un essere umano enormemente piccolo, mentre il seno femminile non era che un semplice vaso che doveva accogliere, custodire e far crescere il piccolissimo omuncolo immessovi dal maschio.

Naturalmente questa concezione è stata smentita dalla scienza moderna, ma questa idea degli Antichi è un’immagine perfettamente conforme, per quanto ingenua, a quella concezione ontologica della persona che oggi abbiamo persa per sposare un evoluzionismo stolto che non riesce a vedere la permanenza del medesimo soggetto al di là dei suoi cambiamenti ed aumenti accidentali, spaventosamente impressionati come siamo dalla categoria della quantità – mentalità tipicamente materialista – a scapito della qualità, categoria legata alla vera filosofia ed all’intelligenza metafisica della sostanza umana.

A confondere le cose, come se i suddetti equivoci non bastassero, è arrivata nel sec.XVII ed è tuttora fiorente la concezione cartesiana della persona come res cogitans e precisamente come “autocoscienza”, a porre in ciò l’essenza della persona, con la conseguenza idealistica espressamente affermata da Cartesio, per la quale, se l’essere della persona dipende dalla coscienza che essa ha di sé, ossia dall’ “io”, “quando dormo, non esisto”. In tal modo chi non è cosciente di sé non è persona.

A questa concezione della persona seguirà poi quella di Fichte e di Hegel, per i quali la persona è “relazione al non-io” o quella di Marx, per la quale l’individuo è l’“essere sociale”. Chi non socializza (col partito comunista) non conta nulla. In questo caso, chi non si relaziona per mezzo del pensiero e della volontà ad altri, sia la società o sia Dio stesso, non è persona.

Con queste concezioni della persona è facile capire quale potrà essere la sorte che lecitamente si può riservare all’embrione o al feto: essi non hanno coscienza spirituale di sé, non si relazionano con altri per mezzo dell’intendere del volere. Dunque non sono persone. E dunque possono essere soppressi, ove sopraggiunga qualche motivo ritenuto valido o in nome della “scienza”.

Come sappiamo bene, la moderna scienza genetica, con la famosa scoperta del DNA, viene in soccorso della visione tradizionale che è convinta dell’esistenza della persona sin dal primo istante del concepimento, ovvero sin dal momento – diremmo oggi – del formarsi dello zigote, individuo completo in se stesso come risultato della fusione dei due gameti maschile e femminile.

Infatti è quel medesimo zigote che per moltiplicazione e divisione cellulare, restando in se stesso qualitativamente anche se non quantitativamente il medesimo individuo, successivamente formerà e differenzierà quelli che sono le varie strutture neurologiche e i vari organi biologici e sensitivi, strutture ed organi che costituiranno la base fisica che renderà possibile l’esercizio delle attività psichiche e spirituali della persona adulta.

Questa convinzione che la persona esista, come “figlio”, sin dal primo istante del concepimento, è confermata dalla stessa dottrina di fede, insegnata dalla Chiesa sin dai primi secoli, secondo la quale Dio crea direttamente l’anima nello stesso momento in cui si forma il concepito, ossia, come diciamo oggi, nel momento della formazione dello zigote. Per questo, sostenere, come Vito Mancuso, che l’anima del figlio è generata dai genitori come avviene negli animali, non solo è un errore filosofico ma anche un’eresia.

Da un punto di vista filosofico infatti si deve dire che una forma spirituale sussistente come l’anima umana, non può essere risultato di una precedente evoluzione biologica qual è quella data dalla formazione e dalla congiunzione dei due gameti, la cui vita appartiene al semplice piano fisico, mentre l’anima umana si pone su di un livello ontologico, quello spirituale, che è immensamente superiore, per cui l’ipotizzare che essa possa essere l’effetto di un’attività vitale inferiore, offende il principio di causalità che dice che il meno non può causare il più.

Per usare un paragone semplicissimo: se io sollevo 100 kg, vuol dire che ho la forza per sollevare 100 kg; un bambino che può sollevare 10 kg, non può sollevarne 100. Se eventualmente lo facesse, bisognerebbe dire che è intervenuta una forza esterna a lui. Così similmente, sempre per rispettare il principio di causalità, si deve dire che i genitori non hanno in sé la forza generativa sufficiente per far sì che lo zigote sia animato da un’anima spirituale.

Uno potrebbe domandare: perché ci vuole un intervento immediato di Dio? Infatti anche Mancuso dice che l’anima umana è creata da Dio, però, secondo lui, per il tramite dei genitori, per cui sarebbe generata. Perché invece la Chiesa e la sana filosofia dicono che i genitori non possono generare l’anima del loro figlio? Perché l’anima umana, essendo una forma spirituale, ossia ontologicamente semplice, cioè non composta di parti, non può essere il completamento o il termine o il vertice di una precedente evoluzione, come invece avviene per la formazione dello zigote.

Invece l’anima umana è una forma semplice in quanto, a differenza dello zigote, non costituisce lo stadio finale di una precedente evoluzione che comporta l’aggiunta di parti a parti, tipica delle sostanze viventi composte, che sole possono essere generate in quanto il generare comporta appunto il far sorgere esplicitamente nel vivente delle parti del soggetto precedentemente esistenti in esso solo potenzialmente o virtualmente. Ma appunto perché l’anima è una forma semplice, per questo la sua esistenza può sorgere solo per creazione e non per generazione.

La Chiesa, come sappiamo, si sforza in più occasioni di denunciare crimini o peccati contro la persona nel campo delle operazioni o manipolazioni genetiche o nella fecondazione artificiale o riguardo alla pratica dell’aborto o dell’uccisione di embrioni o di altre azioni del genere. Quello che resta sempre necessario oggi è fornire i motivi di fondo di queste gravi indicazioni morali della Chiesa, e tali motivi risiedono appunto nel doveroso recupero di una concezione ontologica e sostanzialistica della persona, secondo la classica definizione di Boezio: “sussistenza individuale di una natura razionale” (individua substantia rationalis naturae).

E’ solo questa concezione che riconosce in pienezza la dignità inviolabile della persona, soprattutto se innocente e indifesa. La concezione moderna, che sottolinea il valore della coscienza, della libertà e l’attitudine relazionale ha indubbiamente dato apporti notevoli nel chiarire questa dignità dal punto di vista dell’agire proprio della persona. Lo sbaglio è stato quello di risolvere l’essere nell’agire, ma solo in Dio l’essere si identifica con l’agire. Nella creatura l’agire presuppone l’essere e l’essere ci può essere anche senza l’agire. L’embrione nel ventre della mamma quale mai azione spirituale si pretende che possa fare? Ma non per questo egli non continua ad essere una persona.

Allora resta sempre il fatto che la persona va comunque rispettata come tale, agisca o non agisca, si relazioni o non si  relazioni, e questo è possibile se poniamo l’essenza della persona non sul piano dell’accidente o della proprietà o dell’agire della persona, ma sul piano della sostanza o, in altre parole, se concepiamo la persona come sostanza di una natura composta di corpo ed anima spirituale, sostanza che si costituisce già nella sua completezza essenziale al momento del concepimento, prima ancora che essa sia in grado di esprimersi come persona, quel momento del concepimento che fa dire alla mamma felice: “ho concepito un figlio!”.

 

Bologna, 6 maggio 2012

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