DOMENICO GIULIOTTI – di Piero Nicola

di Piero Nicola

 

 

Che Domenico Giuliotti (San Casciano in Val di Pesa 1877- Greve in Chianti 1956) fosse un incontentabile, uno che, pur sapendo come Satana sia il principe di questa valle di lacrime, la vorrebbe sottomessa alla divina Volontà, sarei propenso a sostenerlo. Egli appare uomo indisposto ad accettare vuoi la condizione dell’umanità, vuoi gli ecclesiastici imperfetti, fallibili peccatori soggetti alle ricadute. Cionondimeno, egli ha ragione di menar fendenti – essendo sceso in guerra brandendo la spada crociata della propria penna – sulla società contemporanea e sui suoi ipocriti dominatori.

lgCalato il sipario sull’ultimo conflitto spaventoso, il fiero toscanaccio opportunamente fece ristampare o riadattò le sue opere polemico-apologetiche già apparse oltre vent’anni prima, ed altresì quelle propriamente letterarie e sempreverdi.

I Raccontini rossi e neri (ediz. 1937, 1950, 1983) sono una corona di brevi favole, quasi parabole, e di apologhi molto godibili; corona chiusa coi grani di diversi Santi (Mostra del Santaio), con gli immaginati casi loro occorsi, che ricreano le loro proprietà. Il bravo esercizio artistico serve alla Fede, in una astrazione dall’angosciante consorzio dei viventi, confessata con una dolente premessa.

L’osso di morto, Berta dal Gran Piè, Scherzi degli dei, L’equivoco degli uccelli, Delusione del diavolo, ecc. mi si affollano alla pagina per essere sunteggiati, benché con inevitabile inadeguatezza; ma sono tanti, e già dare conto di alcuni è cosa da togliere il respiro.

A un ricco, ridottosi in miseria, compare il diavolo e gli propone di vendergli l’anima in cambio della più grande agiatezza. L’uomo rifiuta facendosi il segno della croce. Il demonio torna e chiedergli di vendergli la sua ombra. Lo sventurato accetta. L’essere privo di ombra gli causa ogni genere di malaugurate attenzioni del prossimo e dispiaceri. Più infelice che mai, nonostante sia di nuovo facoltoso, decide di togliersi la vita sparandosi un colpo di rivoltella. Ma, prima di rendere l’anima, fa in tempo a pentirsi, e il diavolo resta gabbato.

Un ebreo va dal re a chiedergli una scorta per attraversare una foresta, tenendo in seno un sacchetto di diamanti purissimi. Il siniscalco destinato ad accompagnarlo lo ferisce a morte per impossessarsi delle pietre preziose. Uno stormo di starne sta sorvolando la selva, e l’ebreo predice che quegli uccelli testimonieranno dell’omicidio. Un giorno, a mensa, il re riceve un vassoio di starne. Il siniscalco non si trattiene dal ridere e, come invasato, si tradisce circa il suo delitto.

Un re musulmano vieta l’elemosina e i poveri muoiono come le mosche. Un’incantevole fornarina porge  due pani a un mendicante. Scoperta, il carnefice le taglia le mani. Essendo la ragazza la più bella del regno, il sovrano la sposa, ed ella gli dà un figlio. Il re crede alla calunnia d’essere stato tradito dalla sposa e la condanna ad essere abbandonata col bambino nel deserto. Lì, vengono salvati da due sconosciuti. Non sono angeli, essi dicono, ma i due pani che ella donò all’affamato.

Giovanni Aguto, condottiero celeberrimo, viene incitato da Santa Caterina da Siena a recarsi in Terra Santa per combattere gli infedeli. Il capitano di ventura acconsente; poi vien meno alla promessa e va alla conquista di Faenza, dove le sue milizie commettono ogni abominio. Prostrata davanti all’effige della Vergine, una monaca prega affinché sia risparmiato il suo pudore. Un soldataccio l’aggredisce. Sopravviene il caporale che vuole la preda per sé. Duello fra i due. L’Aguto, comparso sulla scena, comanda di slegare la suora, e con la spada spacca precisamente in due il corpo della religiosa con un intento, per così dire, salomonico. Senza saperlo, ha obbedito alla Madonna invocata.

Mosche marito e moglie, posati sopra un escremento si lamentano della loro sorte: vagheggiano nientemeno che d’essere leoni. Un uccellino portafortuna li accontenta. Però, non passa un mese che essi vorrebbero diventare esseri umani. L’uccellino provvede: ora sono Meo e Mea, soli e nudi tra bestie feroci. Il magico volatile è scomparso. Giunta tra la gente, la coppia viene derisa, disprezzata: dovrebbero lavorare come tutti gli altri. Meo e Mea si spacciano per disgraziati costretti a chiedere la carità. Vita grama. Rimpiangono ciò che sono stati. L’uccello, rifattosi vivo, procura loro una certa fortuna. Ma la padrona si annoia d’essere riverita da zotici. Il solito sortilegio li tramuta in principi. Da principi son fatti sovrani. Li prende l’ambizione di passare alla storia. Meo I conquista il mondo. Mea non ne ha abbastanza, chiede che diventino Dio e Dea. L’uccellino domanda a Dio di abdicare. Ma finge. Ed essi tornano ad essere mosche, attirate da un escremento.

La camicia della felicità: “C’è e non c’è e la porta chi non la porta”. Il mago si astiene dallo spiegare l’enigma al re, che vorrebbe il magico indumento, e non osa mettere sotto il torchio l’uomo portentoso. Questi ha dichiarato di non poter fare il prodigio: il re deve cercare il felice per prendergli la camicia, ma non lo trova nel suo reame né fuori di esso. Giunto in un casolare di montagna viene a conoscere i felici, che non portano addosso altro che pelli di animali. Allora il monarca vuole vivere lassù, insieme ai beati pastori. Calata la notte, il capofamiglia lo uccide.

La zanzara critica la lucciola che è vanamente luminosa, mentre lei, insetto molesto, è benefica con le sue punture esercitando gli uomini alla pazienza e tenendoli desti. La lucciola, ancor più spirituale, si paragona a una stella delle tante che punteggiano il cielo accennando al divino empireo. Ella fa lume alle spighe di grano, al pane, a qualcosa di Dio, ma non mena vanto, deve tutto al Creatore. Allora la zanzara corre per una finestra a succhiare il sangue di un malato grave.

Sotto la prima menzionata Mostra del Santaio, il caporale Martino rifiuta una paga straordinaria e vuole dimettersi, sebbene sia in corso la guerra coi barbari. Accusato di viltà, si offre di andare solo e disarmato incontro al nemico. L’Imperatore acconsente. Il Santo agisce come ha detto. Un suo segno di croce tracciato in aria, e le orde nemiche cadono a terra, si rialzano per battere in ritirata. Martino non andrà oltre. Lascia l’esercito, ma cade in mano a briganti assassini. Il suo custode lo sevizia e si meraviglia che egli resti in silenzio. Egli lo ammaestra su che cosa siano il corpo e l’anima, e su Cristo che lo aspetta. Il brigante piange, lo slega: è perdonato dal Signore, riceve la benedizione del Beato.

Segue la storia del gigante San Cristoforo. Fu pagano, determinato a farsi strumento dei signori più potenti. Eccolo passare dalla corte di un Imperatore, devoto, alle dipendenze del diavolo, dotato di maggiori poteri e tuttavia anch’egli schiacciato dalla croce di Cristo. Allora il colosso, cercando Cristo presso un eremita, per suo consiglio si disporrà ad assistere i traghettati sul fiume. Lo farà attraversare sulla propria spalla a un bambinello, che è il Bambino Gesù. Ricevuto da lui il nome di Cristoforo, andrà incontro a nuove avventure cristiane sotto il Re eccelso, sino al martirio.

Così favoleggiando, trascorrono le vicende agiografiche di San Venceslao, del martire Foca, di Sant’Ansano, di San Paconio, di Caterina civettuola redenta, coronate dai miracoli di Sant’Antonio da Padova; e non senza episodi amari, come quello del tiranno il quale, sebbene abbia seguito la  prescrizione di curarsi l’occhio piagato bagnandolo col sangue di Cristoforo fatto decapitare, e sia guarito e si sia convertito, ordina poi crudelmente lo strappo della lingua ai bestemmiatori.

Nel 1947, quando ancora sanguinano le grandi ferite della guerra altresì fratricida, i Nuovi pensieri d’un malpensate grondano di replicato pessimismo. Come per l’addietro (Dizionario dell’omo salvatico, 1923, scritto con Giovanni Papini, e L’ora di Barabba), l’intento provocatorio è manifesto. Il risvolto di copertina avverte: “nuovi [i pensieri] non nel senso di altri, ma per il loro contenuto, spietatamente realistico. Essi porranno il lettore dinanzi all’ultimo bivio: o Cristo o l’Anticristo, o l’universale accettazione della fede e della morale evangelica o il ritorno all’Antica Selva, piena di belve impazzite”. Il volume, pubblicato dalla Editrice Salesiana di Pisa, reca il Nihil obstat e l’Imprimatur.

Se venne accolto, al solito, dalla stampa e da buona parte del mondo cattolico in modo sdegnoso o  scettico, per una presunta parzialità di visione e  un rigido concetto della religiosità – giudizio forse allora non del tutto campato in aria -, le ragioni dell’autore erano ben fondate nella prospettiva dei tempi a venire. Il suo grido di allarme giunge a noi quanto mai a proposito, e profetico della china su cui il mondo avrebbe continuato a scivolare senza remissione.

Un anteposto “Avviso” annuncia che “questi (molti, se non tutti) sono pensieri scarniti, ossi. Ossi a punta, che, nella mia intenzione, dovrebbero restare in gola al Dott. Panglos”. Il quale, come è noto, rappresenta l’ottimismo vile e melenso dei borghesi presuntuosi, pasciuti, malsani e spiritualmente più morti che vivi.

Per cominciare, che cosa sono gli uomini civili? Banderuole, gente inerte, comoda o fanatica, che si volge da una parte e presto dalla parte opposta. Nel suo paese toscano di estremisti: da fascistoni, voltati in comunisti accesi. E il fenomeno può essere esteso tranquillamente dall’Italia al mondo intero. Lo scientismo ottocentesco, questa sciocchezza ripresa nel Novecento, si mutò in una religione del progresso, la cui stupidità è stata dimostrata a iosa dalla guerra, meccanica e criminale. La storia stessa si allunga in una sequela di fantocci sul palcoscenico mondano, i quali ripetono i gesti dei calpestatori precedenti. – Generalizzazione che appare eccessiva. – Lo strale si appunta su Massimo Bontempelli voltagabbana; mussoliniano degli anni ’20, ora attratto dal comunismo e persino comprensivo verso l’anarchia. Citando Julien Green, Giuliotti fa suo il giudizio secondo cui, per uno scrittore libero, non c’è posto nell’Europa che si sta preparando.

Vanità del pensiero umano: per quanto si dia a scrutare, si perde nel buio. Tanto vale che l’ignoranza si fermi prima, il pensiero essendo una “luce che accresce il buio”. –  Si può obiettare che la filosofia dolce e ingannatrice crea l’obbligo di smentirla con un’altra filosofia, pure costretta a imbattersi nell’”eterna sfinge”.

“Tre pigmei giganti”: Dante, Michelangelo, Shakespeare (questi, più oltre, accusato di non aver sostituito Dio al fato greco), in mezzo a “poveri sonnambuli barcollanti sulle più alte cime di questo pianeta”. E allora, si rinunci “all’intelligenza che non intende”, “evirarsi in alto”, abbracciare la Fede. Credo ut intelligam.

Bontempelli ha risposto che il libero scrittore deve chiedersi soltanto se “il bene umano” debba conseguirsi rovesciando totalmente gli “ordini e strumenti della antica inquadratura della civiltà”. Replica: “il bene umano” nel mondo è irraggiungibile. Egli è cristiano “senza aggettivi” e crede che il mondo sia terra di esilio. – Qui, sembra contraddirsi, poiché ha preteso una tale coerenza del popolo cattolico per cui la società si cristianizzerebbe; un evento sempre sceso dall’alto. Ma fa bene a non credere nelle vecchie e nuove concezioni politiche e sociali.

Il cristianesimo è un vino forte che non tutti reggono. Ma i vinai furbi danno ad intendere che è acqua tinta, e che anche gli astemi possono berlo.

Il lupo e l’agnello. L’agnello Pio VII poté resistere a Napoleone grazie alla forza soprannaturale della Chiesa.

Rivoluzioni inutili: a un oppressore ne fanno subentrare uno peggiore.

L’uomo moderno, irreligioso, credente nell’irreligione, è uomo perduto, un fallito.

Le menzogne politiche, sociali, filosofiche, scientifiche hanno attirato milioni di seguaci. La fede e la morale evangelica, veramente benefiche, via via perdono terreno, “sopraffatte dall’apostasia generale, si rifugeranno, rattrappite e assopite, nelle ultime mummie cristiane”. Sarà il preludio della Parusia.

Invocazione al Creatore perché scacci il Sole nero di Satana, “scimmia maligna”; “sole che brucia senza scaldare, che splende ottenebrando”.

Ricostruzione materiale possibile, impossibile quella delle anime. Infatti i paralitici ricostruttori considerano il Vangelo una cava di pietre inutilizzabile.

Chi è di udito fine avverte le grida disperate di domani, le imprecazioni di quelli che chiedono perché Dio non interviene, o se esiste davvero. E non più idoli e speranza: regnerà soltanto la Forza cieca, la giungla universale.

Cristo ci addita una Croce. L’Anticristo mena a una croce: dolore e morte sempre. Però due croci opposte: una splendente, l’altra tenebrosa, una di Vita Eterna, l’altra di dannazione.

Vangelo unico libro da leggere e da vivere. Sennonché, “pochi gli eletti”.

Un detto preso da Merezkovsky: “Il mondo da venti secoli ha trangugiato suo malgrado il Vangelo. Ma gli è rimasto per la gola: quindi o lo vomita e muore, o lo digerisce e si salva”.

È inevitabile saltare molti argomenti e aforismi. Manteniamone alcuni, forse non originali nella sostanza, e tuttavia vigorosi.

Il demonio, astuto, si nasconde facendo credere di non esistere. I “saputi barbagianni”, da lui posseduti, lo dicono una vecchia immaginazione dell’umanità.

Gli intrugli demagogici provocano vasti assassini politici. La libertà pandemia: prostituta “infetta e imbellettata”.

I cristiani non sono cristiani, fatte salve le eccezioni, non sono praticanti effettivi. “Se il mondo moderno, questo atroce groviglio di scorpioni, può essere disavvelenato e salvato, non può esserlo che da loro [i cattolici], ma per salvarlo, salvino prima se stessi”. Il più grande miracolo: che i nemici interni della Chiesa non siano ancora riusciti a distruggerla.

“Non si tratta, scrivendo, di divertire, cioè di deviare o traviare, ma di far pensare […] di vestire di bellezza la verità, di accrescere, insomma, con l’arte e la poesia, la spiritualità umana”.

“Vivendo noi in tempi sempre più infernali, bisogna bene decidersi a dar di piglio a tutte l’armi del pensiero e della fede che sono in nostro potere, prima che si scateni, dai quattro punti cardinali, la generale offensiva contro la Chiesa”.

Suffragio universale: la Libertà dà la patente di “maturità politica” a ignoranti e inquadrati che vanno alle urne.

Due spade: spirituale di Pietro, temporale di Cesare, soggetto a Pietro. “Teocrazia, il cui solo nome fa inorridire i teneri cuoricini democratici, ma che potrebbe, essa sola […] ridar pace, ordine e giustizia agli sconvolti formicai delle nazioni moderne”.

Da segnalare Polvere d’esilio (1929 e 1951), Calendottobre (1952) e l’osservazione su Il diavolo (1953) del suo carissimo e solidale amico Papini. “Il Diavolo non potranno persuaderci pochi antichi e pochi moderni che risalga dal basso per ritornare al suo luogo vuoto nel più alto dei cieli: creatura finalmente perdonata e redenta insieme con tutti i dannati perdonati, in viaggio per il paradiso”. “Dio è anche quello della Bibbia, terribile, che il cristianesimo non abolì”. “La teoria di Origene […] è, a prima vista, bella, attraente, ma non accettabile dalla Chiesa, alla quale non mi sento di disobbedire, ma di morire (presto) nella sua luce piena, fra le sue braccia”.

Per finire, la sua scarica di frecce e di mitraglia più nutrita e fragorosa: L’ora di Barabba, riedito nel 1946 (prima ediz. 1922). Non è, adesso, possibile attingere a questa miniera di idee apologetiche arroventate, impietose, sardoniche, volte a svestire, a mettere alla berlina, a vivisezionare, a frantumare una società anteguerra e postbellica della prima conflagrazione mondiale, una società dai costumi fin troppo simili a quelli che precedettero il nostro Sessantotto. Non saprei da che parte rifarmi per estrarne un esauriente florilegio di suntini. Del resto, quanto mostrato sopra ha espresso alquanto l’animo del Nostro ed i suoi strali che colpiscono nel segno.

Gli esaltatori di Prometeo: “la loro bestemmia è come un ruggito nella bocca dell’asino: udendola ti sgomenta, vedendola lungorecchiuta n’hai pietà. Da questa grottesca sproporzione nasce il comico: un comico sudicio, ottuso, disgustoso che, per la generale bassezza d’animo, pochi avvertono. In generale si crede che la ribellione sia forza e l’umiltà religiosa debolezza. Ma l’opposto è vero”. “Chi si umilia dinanzi a un altare veracemente si ribella, perché vittoriosamente si ribella al suo massimo nemico, alla bestia interna, all’orgoglio”. “Ecco l’aspirazione dell’un per dugentomila dei cristiani contemporanei. Ed ecco la spiegazione dell’agonia del mondo”.

Nei libri per le scuole elementari è stata cassata la parola Dio, perché lo richiede la civiltà moderna. Imbecillità dei credenti che si prestano all’empietà che nega Dio. E sono milioni.

La Patria… Due patrie. Una del passato, scettrata e mitriata; quella del presente bestiale e fangosa. La bestialità e il fango vinsero. La sacra veste della Francia, fatta a brani, fu calpestata per le strade dalla marmaglia. Gli adoratori della bestia, chiamati patrioti, i fedeli, traditori. Quindi “membra in rivolta fra loro e tutte insieme contro il cervello. Ora, poiché il cervello delle nazioni si chiama Re, fu stabilito dal popolo sovrano […] o d’asportarlo chirurgicamente con tutto il capo, o di farlo gradatamente rammollire con un bell’impiastro costituzionale”. “Ma l’importante per le nazioni democratiche, è di fare a meno, o attaccata, o staccata, della testa”. “Non dice Cristo, piaggiando lo schiavo, che Cesare è il tiranno”. “Oggi che non si vogliono più padri, che non si vogliono più […] sudditi […] non si vuole più neppure il Cristianesimo, quel Cristianesimo che di questo concetto di Padre fa un pernio e un apice”. “Il cristiano non può essere né aristocratico né democratico […] è armonico. E perciò la disarmonia (liberalismo, democrazia, socialismo ecc.), non potendolo intendere, lo disprezza e lo odia. Parlo, s’intende, del cristiano vero”. “Nei codici espettorati dalla democrazia, la parola Dio non c’è”. – Nella Costituzione americana, quella della libertà religiosa e di errate opinioni da far valere, è come se Dio non ci fosse, anzi si abusa di Lui! – Dice il cittadino puro democratico al legislatore e governatore: “‘In Dio né io né tu ci crediamo. Dunque la tua volontà umana equivale alla mia volontà umana, e siam pari. Ma non siano d’accordo […] Tu vuoi che non faccia e non dica. Lo vuoi perché lo puoi […] Ma se divento io il più forte, mi metterò sotto i piedi le tue budella e sarò libero come l’aria. La tua venerazione per la libertà è ipocrisia […]’ Così, talvolta […] ragiona il libero cittadino davanti al Codice. E ragiona, da bestia, bene”.

Il peccato è diventato zavorra. “Gli uomini d’oggi dicono di chi scende che sale e di chi sale che scende”. Dovremmo stupirci? Niente affatto.

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