Don Angelo Lolli, fondatore dell’Opera Santa Teresa del Bambino Gesù. Un vero “padre dell’anima” – di Giovanni Lugaresi

Quel santo prete (a Ravenna è considerato tale anche se il processo canonico è ancora in itinere) dotato di viva intelligenza e senso pratico, non di meno era uomo di profonda spiritualità, e al primo posto, nella sua vita, nella quotidianità, poneva la preghiera, intensa, frequente: solitaria e comunitaria.

di Giovanni Lugaresi

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lbrdnllCapita nelle riletture (anche agli stessi autori) di libri: trovare motivo per una più approfondita riflessione sulla materia che trattano.

Prendiamo ad esempio “Con don Lolli nella vigna del Signore” (Edizioni Shalom, Camerata Picena – Ancona), dove vengono tratteggiate le figure femminili più belle caratterizzanti i cent’anni di vita dell’Opera Santa Teresa del Bambino Gesù di Ravenna – e una di queste suore è ultracentenaria.

Il fondatore don Angelo Lolli, si preoccupò, in tempi di assoluta assenza statale nei confronti di vecchi ammalati cronici e abbandonati, di dare un aiuto concreto a questa umanità sofferente. E in questo suo disegno, ecco comparire delle volontarie, giovani sue figlie spirituali del tempo in cui era stato cappellano nella parrocchia di San Biagio, o persone che, in seguito, avendone sentito parlare, avevano conosciuto la sua opera e ne erano rimaste conquistate, al punto da lasciare lavoro e famiglia e andare a servire quegli ammalati, appunto.

Fu il caso di una bracciante di Castiglione di Ravenna, diventata poi farmacista e medico, Argia Drudi, nonché di una laureata in farmacia di Bologna che vinse l’avversione della famiglia, scappò di casa per… arruolarsi in quella congregazione religiosa ravennate: Maria Trota. E sono soltanto due esempi.

Ed ecco il senso della rilettura di quel libro pubblicato nel 2011. Come mai, tante vocazioni, allora, cioè in anni lontani, in una Ravenna di anticlericali mangiapreti, e scarse per non dire nulle, in questo nostro tempo?

Rileggendo quei profili se ne ricava che don Angelo Lolli era veramente un “padre dell’anima”, cioè un formatore di coscienze cristiane, che dava un’impronta a quelle giovani cattoliche della parrocchia di San Biagio, e poi, più in generale a quelle che a lui si rivolgevano.

Di conseguenza, se ne ricava pure un interrogativo: ma ci sono oggigiorno sacerdoti alla don Lolli che sanno formare delle coscienze autenticamente cristiane, al punto da indurre una giovane a lasciare tutto e a dedicarsi agli ultimi?

Quel santo prete (a Ravenna è considerato tale anche se il processo canonico è ancora in itinere) dotato di viva intelligenza e senso pratico, non di meno era uomo di profonda spiritualità, e al primo posto, nella sua vita, nella quotidianità, poneva la preghiera, intensa, frequente: solitaria e comunitaria.

Più volte, chi scrive, ricorda di averlo visto raccolto davanti al tabernacolo della vecchia chiesetta dell’Opera in via Nino Bixio.

 Pregava, pregava, e ancora pregava. Da lì ricavava forza, idee, progetti per la sua opera a favore dei bisognosi. Le sue suore e coloro che andavano in visita all’ospizio non potevano non notare questo suo aspetto fondamentale. E, d’altro canto, la formazione che lui stesso aveva avuto in seminario puntava molto sulla preghiera: Penitenza e Preghiera, le due “P” (maiuscole), mentre in seguito, ahinoi, avremmo avuto in tanta parte del clero, le due “v” (minuscole): vanità e venalità!

Ci sono, oggi, formatori di coscienze cristiane, padri dell’anima? L’interrogativo è suscitato dalla rilettura di quel libro, e nella considerazione delle scarse vocazioni religiose. Non spetta a noi il compito di dare risposta. Forse tocca ai vescovi, ai rettori di seminari, a chi, insomma, nella Chiesa ha determinati e fondamentali compiti – ha, o dovrebbe avere.

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