di P.Giovanni Cavalcoli, OP
Come sappiamo l’incontro di Assisi ha avuto una risonanza mondiale, tanto da attirare l’interesse e l’approvazione del Presidente degli Stati Uniti Obama, che ha fatto giungere al Papa una significativa lettera, nella quale si cita esplicitamente il valore unificante, umanizzante e pacificante della “fede” religiosa.
Come pure è stato notato dalla stampa internazionale, l’impostazione che Benedetto XVI ha voluto dare a quest’ultima edizione dell’incontro di Assisi, ha avuto, nei confronti del primo incontro ideato dal Beato Giovanni Paolo II nel 1986, un carattere meno accentuatamente religioso e più marcatamente umanistico, nel senso che il Papa ha voluto invitare non soltanto uomini religiosi o esplicitamente credenti, ma anche intellettuali o filosofi di provata serietà culturale, ma estranei all’interesse religioso o teistico, tanto che i giornalisti han parlato di “atei” ed “agnostici”.
In realtà il Papa ha parlato piuttosto di persone “alla ricerca della verità”, che è ben altra cosa, anche se questa ricerca può esistere anche in chi, come dice la Lumen Gentium (n.16) del Concilio Vaticano II, “non è ancor giunto ad un’esplicita conoscenza dell’esistenza di Dio”. Ma anche costoro, se sono in buona fede e seguono il dettame della retta coscienza naturale, realizzano, in forza dell’azione della grazia della quale essi sono inconsapevoli, già un rapporto positivo e salvifico con Dio, conosciuto non per Se Stesso e in Se Stesso, ma attraverso il prossimo e nel prossimo, verso il quale essi intendono agire con onestà e giustizia. Infatti, come spiega Cristo nel c.25 di Matteo, queste persone servono Cristo senza saperlo ed alla risurrezione dei giusti nell’Ultimo Giorno riceveranno, seppure con sorpresa, il premio eterno.
Chi cerca sinceramente e con coerenza la verità, la giustizia, l’onestà, la pace, la realizzazione della dignità umana, il bene comune della società, anche con sacrificio e pagando di persona, per ciò stesso cerca Dio, anche se crede di essere un ateo o un agnostico o in questo modo viene qualificato dagli altri. Viceversa, ci può essere chi, pur sapendo bene che Dio esiste e che anzi si è incarnato in Cristo, tuttavia pone in primo piano i propri interessi, non si cura di obbedire alla legge divina, strumentalizza la religione per fini di successo o di potere o addirittura la prende a pretesto per esercitare sugli altri violenza ed oppressione.
Ebbene costui, ha fatto capire chiaramente il Papa, non può far parte degli incontri di Assisi ed è certo riprovevole davanti a Dio, mentre il personaggio del primo tipo, per quanto apparentemente empio ed irreligioso, in realtà è accetto a Dio ed è in comunione con Lui, anche se non lo sa o non lo comprende con chiarezza e certezza. E’ sempre la solita storia evangelica del fariseo e del buon samaritano o del fariseo e del pubblicano.
Il Papa peraltro, onde evitare ogni equivoco, ha detto chiaramente che non solo distrugge l’uomo la violenza perpetrata in nome della religione, ma anche quella attuata in nome dell’ateismo, riallacciandosi così alla famosa e fortissima condanna dell’ateismo presente negli insegnamenti del Concilio. Ed anche se il comunismo non vi è nominato, non è difficile vedere qui il comunismo ateo, ma non solo questo, giacchè tante oggi purtroppo sono le forme dell’ateismo, come per esempio quella nichilista, scettica, esistenzialista, evoluzionista, positivista e freudiana.
Indubbiamente anche l’agnosticismo, ossia il non pronunciarsi circa l’esistenza di Dio, l’evitare di toccare la questione o addirittura l’indifferenza al fatto che esista o no, non è oggettivamente un fenomeno positivo e non può non destare preoccupazione, anche se non può escludersi del tutto – occorre vedere caso per caso -, che questo atteggiamento mentale, che può sembrare infingardo ed opportunista, possa nascondere, al di là dell’aspetto esplicito, un reale rapporto con Dio, magari mal concettualizzato o non del tutto consapevole.
Naturalmente il pacifismo predicato dal Papa non va confuso con quel pacifismo qualunquista, relativista ed imbelle che finisce poi per cedere alla prepotenza dei violenti rinunciando ad una legittima difesa di se stessi e degli oppressi. A tal riguardo bisogna dire che se la religione è incompatibile con la violenza, non lo è con un giusto uso della forza, si tratti della coercizione esercitata dall’autorità pubblica o della legittima difesa, pubblica – la cosiddetta guerra giusta – o privata, giacchè, se la violenza è ingiustizia, in casi estremi si può dare un moderato uso della forza, che è giustizia.
Ora, sappiamo bene come la giustizia corrisponde ad un preciso comando divino e quindi in questo senso non solo la religione è compatibile con un giusto uso della forza, ma nelle dovute circostanze e nei giusti limiti, lo prescrive. E lo prescrive proprio come difesa contro i nemici della pace e per ottenere una giusta pace, giacchè, in questo senso, si può dire, anche se ciò può apparire paradossale, che nella vita presente, considerando le conseguenze del peccato originale, l’uso della forza è inseparabile dalla giustizia e dalla pace, non perché debba essere messo allo stesso livello, ma, come ho detto, proprio come condizione per l’esistenza di una pace sicura e ben difesa.
Passando sul piano religioso, bisogna allora ricordare che Gesù, benchè sia indubbiamente il Principe della pace e ci doni quella pace che il mondo non può dare, nel contempo Egli dice di non essere venuto a portare la pace, ma “una spada” (Mt 10,34). Ciò evidentemente non significa una impensabile contraddizione nelle parole di Nostro Signore, ma è un riferimento a quella che Paolo chiama “buona battaglia”, e che consiste nella energia necessaria per opporsi ai corruttori della religione, agli ingiusti e ai falsificatori del concetto di Dio, nonché nella fortezza necessaria per sopportare gli insulti dei nemici di Dio fino, se necessario, al martirio.
Certamente quest’ultimo incontro di Assisi non ha escluso del tutto la preghiera e il Papa ha giustamente fatto l’elogio della religione come principio di verità, come fattore di giustizia, di pace, di umanesimo. Tuttavia, come c’era da aspettarsi e come era giusto che fosse in questa particolarissima circostanza, il Papa, proprio quel Ratzinger che da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò il famoso documento Dominus Iesus sul primato del cristianesimo sulle altre religioni e su Cristo unico Salvatore, si è astenuto completamente dal fare l’apologia e l’esaltazione della sua fede di cattolico ed ancora più di Successore di Pietro, riferendosi pertanto, così almeno mi par di capire, non alla religione soprannaturale o rivelata o “positiva”, basata su di una fede, qual è il cristianesimo, ma quali sono pure altre religioni come l’ebraismo, l’islamismo, il brahmanesimo o il buddismo, dotate di una letteratura sacra, ma alla religione naturale, frutto della semplice ragione e quindi patrimonio di fatto o di diritto comune all’intera umanità, in quanto l’uomo è per essenza, come sappiamo bene da Aristotele, animal rationale.
Del resto la religione naturale, sapientemente teorizzata dal S.Tommaso d’Aquino nella famosa Somma Teologica(1), è il presupposto della religione rivelata, così come il buon funzionamento della ragione è il presupposto per l’esercizio della fede teologale o della fede cattolica.
La ragione naturale conduce di per sé alla scoperta dell’esistenza di Dio, partendo all’esperienza delle cose, del mondo e del sé, come insegna la Scrittura (Rm 1,20 e Sap 13,5), insegnamento più volte ribadito dalla Chiesa, in particolare nel Concilio Vaticano I. Da qui il fatto che tutti gli uomini, in quanto esercitano la ragione, sanno che Dio esiste, sono naturalmente “monoteisti”, anche se poi di fatto spesso, soprattutto nell’antichità, la religione è inquinata dal politeismo, dal panteismo, dall’animismo, dall’animalismo, dall’idolatria, dalla superstizione e dalla magia. E questa coscienza, magari oscura ed implicita dell’esistenza di Dio e di un rapporto con Lui (positivo o negativo) è testimoniata anche dal Vangelo, laddove in Mt 24 Cristo dice che tutti gli uomini dovranno presentarsi davanti al suo tribunale.
In base a queste considerazioni credo che le preoccupazioni di certi cattolici che il Papa con queste iniziative ceda al relativismo, al soggettivismo, all’opportunismo o all’indifferentismo, si dimentichi del primato e dell’universalità del cristianesimo o delle esigenze della verità, crei confusione e scetticismo, indebolisca la spinta missionaria, scenda a compromessi col buonismo rahneriano e modernista, ebbene sono convinto che tutte queste preoccupazioni sono infondate, anche se so benissimo che anche un Papa in un’iniziativa pastorale e di ciò qui si tratta, può anche sbagliare.
A fugare però tali timori inconsistenti, anche se da prendere in considerazione, credo che possano servire, oltre alle altre considerazioni già fatte, anche le seguenti: chi ha avuto l’idea dell’incontro? Con chi si sono incontrati gli invitati? Chi ha avuto la funzione preminente e direttiva? Chi ha scelto gli invitati? Dove è stato fatto l’incontro? Chi ha deciso il programma?
Il lettore intelligente capisce subito rispondendo spontaneamente a queste domande come in fin dei conti all’incontro di Assisi Roma sia luminosamente emersa su tutte le altre religioni mondiali e anche sulla cultura internazionale rappresentate da eminenti personaggi appartenenti a quelle religioni ed a quella cultura. Quindi il Papa non ha avuto bisogno di fare speciali discorsi sulla superiorità del cristianesimo, ma ha silenziosamente e significativamente dimostrato tale superiorità con tutto l’insieme dei fatti suddetti, che costituiscono la risposta implicita alle suddette domande.
Infine un’ultima osservazione: il luogo dell’incontro: Assisi, emanante uno straordinario fascino spirituale legato al conosciutissimo carisma francescano Pax et Bonum, dono dello Spirito Santo, i cui effetti santificanti operano in quel sacro luogo da otto secoli. L’irraggiamento spirituale che da tanto tempo promana da questo luogo santo non può non avere avuto una funzione significativa riguardo alla buona riuscita dell’incontro e per questo noi tutti cattolici dobbiamo ringraziare i nostri fratelli francescani i quali, in tutto il mondo ci danno l’esempio di quella mitezza che è predicata da Nostro Signore, e di quella capacità di dialogo e di convivenza con membri di altre religioni come per esempio quella islamica. Pensiamo infatti ad esempio al fatto che l’Ordine di San Francesco fin dalla sua fondazione convive pacificamente e bene accetto, nonostante tante sofferenze, in Terra Santa insieme con Ebrei e con Mussulmani. Dunque vogliamo affidare all’intercessione del Santo d’Assisi nuove ispirazioni per l’edificazione della pace nella verità e nella giustizia per la Chiesa e per la società di oggi.
Bologna, 29 ottobre 2011
NOTE
1) II–II,qq. 81-100.