DOPO I FRAINTENDIMENTI, LA CORRETTA ESEGESI. CANTAGALLI INAUGURA LA COLLANA “50° CONCILIO” – di Piero Vassallo

di Piero Vassallo

 

 

lccNel comunicato che annuncia la pubblicazione del primo volume della collana intitolata “50° Concilio”, Mariavera Speciale, dell’ufficio stampa della casa editrice senese Cantagalli, sostiene che “Cinquanta anni dopo la solenne apertura del Concilio Vaticano II siamo forse pronti a tornare a guardare agli insegnamenti dei Documenti conciliari rinunciando a interpretazioni parziali e ideologiche”.

Il pontificato di Benedetto XVI, infatti, pur riconoscendo la legittimità dei dubbi sollevati da alcune definizioni lacunose nella Nostra aetate (omissione del riferimento alle religioni malate) e nella Gaudium et Spes (assenza di una definizione del mondo moderno), ha stabilito un criterio – la riforma nella continuità – che mette fine all’aspra polemica fra i difensori della tradizione e i banditori della presunta rivoluzione conciliare.

In questa prospettiva si può apprezzare la scelta felice dell’editore Cantagalli, che ha affidato il commento al Decreto Presbyterorum ordinis sulla vita e il ministero dei sacerdoti, al  prefetto della congregazione del clero, il cardinale Mauro Piacenza, un teologo sapientemente formato alla scuola del celebre arcivescovo di Genova, card. Giuseppe Siri.

Ordinato sacerdote alla fine degli anni Sessanta, Piacenza, nei successivi, agitati decenni, ha interpretato i documenti del Vaticano II con una prudenza, consigliato dalla sua fede autentica e sostenuta da un profondo e generoso amore per la Santa Chiesa.

L’impronta della fede genuina e del meditato senso storico, traspare nel puntuale giudizio di Piacenza sul mondo contemporaneo. Sottraendosi alla suggestione del conformismo, infatti, il cardinale Piacenza non contesta la tesi di quanti riconoscono la novità delle circostanze storiche oggetto della riflessione conciliare e tuttavia stabilisce, l’infondatezza della ammirazione dichiarata dai teologi modernizzanti: “L’equazione che associa il nuovo al buono o al migliore rispetto al vecchio è tipica di certa mentalità positivistica, ostaggio del dogma del progresso, e in alcun caso i Padri conciliari possono essere accusati di tale ingenua mentalità”.

La non abbagliata e non festosa (ma non tormentata) vista sul moderno consente all’autore di affrontare il problema sollevato dalla “progressiva ed ormai evidente disumanizzazione dei ritmi e dei modi di vita, soprattutto nell’Occidente secolarizzato e nella grandi metropoli”, un’involuzione che induce i sacerdoti più impressionabili e fragili “ad essere vittime di un sistema che nulla ha, quasi più, di autenticamente riconoscibile come umano”.

Opportunamente il card. Piacenza rammenta che “i Padri sinodali concludono il Decreto riconoscendo … la sconcertante estraneità della cultura dominate alla vita dei sacerdoti”.

La situazione che si è stabilita al seguito della filosofia nichilista e libertina elucubrata dai francofortesi e dell’alluvione sessantottina “appariva radicalmente nuova” in quanto “nella sua estraneità al Vangelo, si è aggravata negli ultimi decenni”.

Di qui l’obbligo di riconoscere “l’eccellenza e la necessità del sacerdozio”, impegno richiesto in vista di una perfetta intesa tra clero e laicato nella resistenza alla rivoluzione libertina: “Affermano infatti i Padri; c’è una collaborazione di tutti i presbiteri per la realizzazione del disegno di salvezza di Dio … Tutto ciò è  nascosto in Cristo in Dio e quindi è soprattutto con la fede che può essere avvertito”.

Quale soluzione al problema posto dall’emergenza di una laicismo aggressivo, il card. Piacenza propone una forma di educazione dei seminaristi orientata “alla generosità e liberalità nel mettere gli altri prima di se stessi”. Ed insiste, con energia, sull’obbligo dei celibato dei sacerdoti. Le difficoltà incontrate dai pastori cattolici negli ultimi cinquant’anni peraltro rammentano “inequivocabilmente come, laddove si indebolisce, o, Dio non voglia, si smarrisce il senso soprannaturale della consacrazione sacerdotale … anche il ministero ne risulta ferito e, fatta salva l’oggettiva validità dei sacramenti, che non dipende dalla santità del ministro, l’evangelizzazione e l’opera di santificazione possono risultare gravemente appesantite“.

In definitiva il commentatore del Decreto sui presbiteri rammenta ai fedeli, eventualmente suggestionati dalla lettura dei giornali d’ispirazione eleusina o dall’ascolto di dibattiti televisivi fra miscredenti di variamente colorata risma, che “Non è concesso come Chiesa, di cercare soluzioni o metodi alternativi a quelli indicati esplicitamente da Cristo Signore. In tutta l’azione pastorale dei presbiteri, ma particolarmente nella promozione delle vocazioni, il primato è e deve essere della preghiera”.

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