Dopo la libertà, uccidono la democrazia

Sono tempi maledetti quando i pazzi conducono i ciechi, dice Gloucester nel Re Lear di William Shakespeare. Noi ci vediamo benissimo, ma riconosciamo la vena di follia che ci anima. Il tempo dei ciechi incombe ma solo alcuni pazzi osano dare l’allarme. Il resto è silenzio, per citare nuovamente il bardo, nel celebre finale di Amleto. Silenzio o applausi della folla cieca ed anestetizzata. L’esito delle elezioni americane avrà un peso notevole sui prossimi anni nell’intero Occidente e la sconfitta del candidato meno peggiore avrà un grande impatto sull’agenda geopolitica, economica e valoriale degli anni Venti. In sé, nulla di strano: l’alternanza di governo è – o dovrebbe essere – la fisiologia delle società libere. Invece, non è più così. Dopo averci sottratto le libertà attraverso una serie di dittature a cerchi concentrici – dittatura finanziaria, tecnologica, della sorveglianza, adesso anche sanitaria – stanno procedendo a tappe forzate alla rimozione della democrazia rappresentativa, ultimo simulacro di sovranità dei popoli.

Le vicende legate alle elezioni presidenziali della nazione padrona del cosiddetto Occidente sono esemplari. Per la prima volta, un presidente uscente non accetterà il verdetto delle urne, convinto di aver subito gravi brogli elettorali. La battaglia di Donald Trump sarà perdente, né sappiamo con certezza che cosa è davvero successo in quello che una volta si chiamava segreto dell’urna. Di certo, il dubbio meccanismo dei voti postali, espressi perfino con semplici messaggi di posta elettronica, ha favorito oltre ogni attesa il candidato democratico. In tempi iper tecnologici, è ovvio che anche le frodi siano perpetrate – se davvero ci sono state – attraverso meccanismi informatici. Conta chi ha la facoltà di controllare il sistema e su questo non ci sono dubbi: i giganti di Silicon Valley uniti a gran parte dello Stato profondo americano. Il solo Bill Gates, il “buon filantropo” delle vaccinazioni, ha donato oltre due milioni e mezzo di dollari alla campagna di Joe Biden; il risultato era scritto da mesi.

La cagnara mediatica “umanitaria” seguita alla morte del povero George Floyd e il movimento Black Lives Matter, con seguito di inchini, non nasce per caso. Il “nuovo” capitalismo, digitale e senza frontiere, ma con sede legale negli Usa, era schierato al gran completo con il candidato democratico, in alleanza – niente affatto innaturale – con l’intero progressismo culturale d’Occidente.

La prova provata del potere esercitato da quelle oligarchie – superiore a quello della potentissima amministrazione Usa – sta nella sconcertante censura esercitata senza remore da parte delle grandi reti sociali – Twitter e Facebook in testa – nei confronti di Donald Trump. Censurare, nascondere, cancellare, dall’interno dell’America, le affermazioni di un presidente in carica è qualcosa di sbalorditivo. Un segno dei tempi che i pazzi si permettono di segnalare ai ciechi. Del resto, la censura privatizzata delle reti sociali si abbatte da tempo sui dissidenti, ossia chi non è d’accordo con la globalizzazione e le magnifiche sorti e progressive dell’agenda politica, metaculturale e valoriale imposta dai padroni universali. Non è certo un caso che restino indenni, in rete, le idee dell’ultrasinistra e perfino gli islamisti più radicali, il nemico su misura per lorsignori.

Dunque, al di là del caso Trump, su cui la verità non verrà conosciuta che tra anni, risulta evidente a chi ancora conservi una diottria negli occhi e qualche neurone nel cervello, che è in corso di smantellamento accelerato l’intero impianto del vecchio Stato di diritto, vanto dei popoli europei. Libertà, democrazia, libero pensiero e dibattito aperto nella polis – reale e virtuale – non servono più. Chi comanda ha deciso che sono strumenti del passato, ferraglia da eliminare come i fastidiosi residui avversari del sistema, zanzare il cui ronzio non è più sopportato. La stretta, in atto da tempo, si inasprirà giorno per giorno e il destino degli oppositori è segnato.

La vicenda tragica e globale del Covid 19 è detonatore e acceleratore di una ulteriore presa di potere delle oligarchie. Attraverso il panico di popolazioni alle quali è stato sottratto anche il conforto spirituale della fede religiosa, che sempre sostenne le epidemie del passato, la libertà di pensiero è stata mortificata dalla qualifica spregiativa e liquidatoria di “negazionisti” scagliata sulle spalle di chiunque dissenta dalle misure dei governi. I dissidenti sono untori, dunque, ipso facto, nemici del popolo: è il clamore della folla a reclamarne il castigo e la riduzione al silenzio.

L’ambito privato sta sparendo attraverso continue disposizioni al di fuori di qualunque controllo di legalità. Parliamo delle propensioni al consumo, delle abitudini di vita, anche le più minute, l’ordine familiare, la scuola, il lavoro a distanza. I legami sociali si sono strappati e l’interdipendenza comunitaria si sfilaccia a favore dello Stato, fiduciario pro tempore della Megamecchina, titolare del neo autoritarismo tecnocratico. La perdita di libertà fu compresa dall’ultimo grande conservatore, Robert Nisbet (1913-1996): “alcuni pensano che il degrado dell’autorità aprirà un’era di maggiore libertà individuale. Altri credono, al contrario, che condurrà all’anarchia sociale. Io penso che il vuoto lasciato dall’autorità sarà riempito da un’ascesa irresistibile del Potere”. E Nisbet non poteva ancora afferrare l’imponenza della guerra culturale in corso.

L’intero sistema della società dello spettacolo, comunicazione più intrattenimento più formazione della coscienza collettiva, è posseduto dagli stessi che manipolano la salute, dirigono la finanza e detengono la tecnologia. La loro “narrazione”, al servizio degli interessi di dominio, non richiede più popolazioni numerose, liberamente informate e dotate di strumenti di giudizio critico. La ricreazione della libertà è finita, esattamente come la gigantesca finzione della “società aperta”, che peraltro avvertì dall’inizio di essere chiusa, sigillata, per chi non ne condivide gli obiettivi. Tolleranti a parole, i sacerdoti della società aperta non accettano contestazioni al loro modello, non diversamente dalle ideologie totalitarie e dalle dittature di ogni tempo.

Gli avanzamenti tecnologici hanno messo in mano all’oligarchia degli iperpadroni l’arma totale, quella contro la quale, allo stato, non vi sono difese: il controllo dall’alto e da remoto, da una Matrix planetaria e reticolare, sui corpi e sulle menti. Diventati docili i corpi per paura del contagio, occupate le coscienze per l’immenso potere dell’apparato di persuasione occulta, il gioco è fatto. Se qualcuno pensa che l’analisi sia troppo pessimistica, ponga se stessi come termine di paragone e valuti i cambiamenti indotti dal potere su temi di fondo famiglia, sessualità, rapporti economico sociali, religione, approccio con gli stranieri – in meno di vent’anni, un periodo relativamente breve anche in riferimento all’esistenza individuale – e si chieda come sia stato possibile un trasbordo ideale, culturale e morale tanto profondo.

Nello stesso periodo, la politica ha perduto gran parte della sua ragion d’essere. Nell’intero Occidente, nessuno può più mettere in discussione la vulgata, liberista in economia e libertaria nei valori etici e societari, promossa dal sistema in stretta alleanza con i chierici del progressismo e del marxismo culturale, depurato dal rifiuto della proprietà privata dei mezzi di produzione. Mezzi che oggi sono essenzialmente i grandi apparati tecnologici che alimentano il sistema “corporativo”, ovvero il potere di poche centinaia di colossi transnazionali in larga misura deterritorializzati, onnipotenti, immuni da controlli, esenti da limiti, regole etiche e fiscali, un enorme kombinat industriale, economico e finanziario, dominato da un Soviet Supremo composto da soggetti privati.

Sino al 2020, l’abolizione di fatto della sovranità, il discredito degli Stati nazionali, l’eclissi del pensiero critico, la stessa omologazione culturale strumentale (si studia e si apprende solo ciò “ciò che serve” ai vari gradi di servizio alla Megamacchina) non aveva coinvolto del tutto la democrazia rappresentativa. Pur con regole d’ingaggio manifestamente truccate a favore dei movimenti “di sistema”, la democrazia formale era ancora rispettata. I popoli erano diffidati dal partecipare direttamente alle decisioni, ma mantenevano il diritto a farsi rappresentare, per quanto debole, sbilanciato fosse il rapporto di forze e per quanto i margini di governo e sovranità si restringessero progressivamente. La finzione poteva essere creduta, pur con una destra e una sinistra sostanzialmente concordi sui temi di fondo, impegnate a contendersi il favore popolare. La gestione del virus, l’evidenza del suo sfacciato sfruttamento per imporre cambiamenti radicali del modo di vivere, lavorare, studiare, produrre, relazionarsi con il prossimo, hanno tolto la maschera al sistema, agevolmente imposta a noi tutti, atomi letteralmente senza volto.

Il caso americano, l’anomalia Trump cancellata da un voto, su cui, eventuali brogli a parte, ha influito pesantemente l’immenso schieramento dei poteri forti a favore di Biden, dimostra che dopo le libertà, è in corso di obliterazione la democrazia rappresentativa in quanto tale. La governance globale non tollera dissidenze o sgarri alla linea tracciata dall’alto: è ammessa, entro limiti precisi, l’alternanza, ma non l’alternativa (Jean Claude Michéa). Lo rileviamo da mesi anche in Italia, dove l’opposizione politica, pur avendo un forte sostegno elettorale, tace sull’essenziale e fa a gara ad esprimere adesione all’agenda “globale”, in Europa dettata a Bruxelles dalla burocrazia dell’UE e a Francoforte dalle cupole bancarie, e a livello mondiale, dalle politiche americane.

In particolare, è consentito alle cosiddette destre (e alle sinistre radicali, beninteso) di partecipare ai governi nazionali, purché non mettano in discussione alcun punto della governance disposta dall’alto. Il gioco si svolge tra un centro sinistra progressista sui temi di costume, ma graniticamente allineato al liberismo oligarchico, e un centro vagamente tendente a destra, più lento a recepire l’agenda culturale “societaria” (peraltro mai seriamente in discussione) , ultra liberista in economia. Entrambi gli schieramenti, simulacri della procedura democratica, sono largamente eterodiretti ed economicamente dipendenti dal sistema.

Allorché qualcuno sfugge all’ortodossia mondialista, la Megamacchina pone in atto tutte le contromisure, attivando contro il reprobo il sistema informativo, quello dell’intrattenimento, la piazza virtuale e quella reale. È stato il caso di Trump, non certo un rivoluzionario o un reazionario, rappresentante di un capitalismo perdente, non allineato con la postmodernità digitale. In Francia sono stati demonizzati prima Jean Marie Le Pen, poi la figlia Marine, sino a mettere in campo un prodotto politico della dinastia Rothschild, Emmanuel Macron. Analoghe esclusioni colpiscono in Germania la destra e la sinistra non allineate, mentre in Spagna si dà corda a localismi esasperati e francamente regressivi per impedire la formazione di governi autorevoli.

Il caso dell’Italia è ancora più sorprendente. C’è un partito-Stato, il PD, dominus delle istituzioni e fiduciario dei poteri oligarchici, burocratici e stranieri, nonostante un consenso elettorale debole. Per impedire l’accesso al potere del centrodestra a trazione “sovranista”, dopo che il sistema ha distrutto leadership di Silvio Berlusconi per la doppia via giudiziaria e del ricatto alle sue aziende, è stato alimentato il qualunquismo del “vaffa” e di “uno vale uno” del movimento di Grillo, poi prontamente schierato dalla parte di tutto ciò che prometteva di combattere. La conseguenza è il ripiegamento del centrodestra nell’alveo del sistema, mentre non si vede né si attende una sinistra attestata a difesa delle classi subalterne.

La libertà è sequestrata ovunque tra stati di emergenza e plateali violazioni dello Stato di diritto. Il potere si è fatto biopotere che regna su una popolazione ridotta a “corpi docili”, il tutto nel dispiegamento sempre più rapido del Panopticon globale, lo stato di sorveglianza, controllo e dominio su corpi e spiriti per via digitale e medico-farmaceutica. Le opposizioni tacciono per oggettiva difficoltà e per il timore di essere ostracizzate dall’oligarchia, unica legittimazione valida per assumere funzioni di governo. Il centrodestra potrà andare al governo, prima o poi (benché tutto sarà fatto affinché non accada) ma non andrà mai al potere, nel senso della possibilità di attuare un programma alternativo al diktat globalista. La sinistra è pressoché al completo parte integrante e mosca cocchiera del progetto oligarchico.

Non si intravvede alcuna opposizione politica organizzata, sebbene si manifestino segni di disagio crescente e covi la rabbia di vari settori sociali, i perdenti della globalizzazione – le masse precarizzate – e i non garantiti al tempo del virus (commercio, turismo, servizi, sport). In un’era parcellizzata di tribù metropolitane (Michel Maffesoli) il politeismo dei valori, annunciato un secolo fa da Max Weber come esito della modernità, si rovescia nel monoteismo obbligatorio dei disvalori delle élite. Non resta, realisticamente, che prendere atto della durezza estrema dei tempi e prepararsi, innanzitutto moralmente, a un’opposizione alternativa di lungo periodo. Vanno messe nel conto chiusure di spazi istituzionali e ulteriori strette nella possibilità di esprimere idee, persecuzioni e pericoli.

Nel breve e medio termine, a meno di svolte improvvise della storia, non vi è altra via che preparare con perseveranza, coraggio e prudenza, avanguardie in grado di reggere l’urto e di animare sacche di resistenza, orientare i settori di opinione e i gruppi sociali più duramente massacrati dal sistema. Il primo atto è gettarsi alle spalle le divisioni di ieri e di oggi, le parole d’ordine di un tempo finito utili esclusivamente agli interessi di quello che dobbiamo imparare a chiamare nemico, poiché come tale agisce.

Dopo le libertà, ci hanno espropriato della sovranità, nazionale e popolare. Adesso, ci tolgono la sovranità su noi stessi, si impadroniscono del nostro corpo e formattano le menti. È in gioco la democrazia, ovvero la partecipazione del popolo al suo destino. È il momento di prendere posizione, aprire gli occhi e fare il primo passo, la consapevolezza, contro il totalitarismo invertito. Parole al vento di pazzi paranoici o verità? I ciechi non vedono le rovine ovunque sparse, che un coro assordante chiama progresso. Meglio lucidamente pazzi che ciechi e sordi.

2 commenti su “Dopo la libertà, uccidono la democrazia”

  1. Si vorrebbe che quanto scritto sopra fosse il magnifico copione di un film di fantascienza. Oppure che fosse un film dell’orrore, che quando esci dalla sala ritrovi il mondo come prima. O forse anche solo che fosse una fosca previsione di quello che potrebbe accadere un domani. Invece – poveri noi, guai a noi! – sembra proprio essere la fotografia dello stato attuale del nostro mondo. Il “test” proposto dall’Autore è pertinente e non lascia spazio a dubbi: confrontare oggi con solo 20 anni fa mette i brividi. La dissoluzione ha corso con passi da gigante. Il fatto che si osi censurare sistematicamente e impunemente le parole di un Presidente dovrebbe fare venire la pelle d’oca a chiunque abbia una vaga idea di cosa significa “Stato di diritto”.

  2. Come andrà a finire?
    Ho un pessimo presentimento: il capitalismo finanziario globale, anonimo ma concentrato in poche certe mani, ubiquitario seppure domiciliato negli USA, certamente si sta avviando alla sua fine; sia il nazismo che il comunismo hanno fallito miseramente, nel tentativo di sconfiggerlo, con le distruzioni materiali e tragedie umanitarie di entrambi; il capitalismo globalista sta crollando senza una potenza nemica di confronto, la domanda è dunque questa: la sua fine sarà ancora più tragica? Quanta gente e quante nazioni si porterà via precipitando nell’inferno?

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