Dottrina sociale della Chiesa e globalizzazione: un dialogo possibile? – di Cristian Usai

di Cristian Usai

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compendio_dottrina_sociale_chiesa_w_1Con il termine globalizzazione si suole indicare un percorso di trasformazioni storiche esteso al mondo intero e dominato dall’economia, che attraverso lo sfruttamento della telematica, ha posto le basi per il passaggio dai mercati nazionali, ad un mercato mondiale. Sarebbe tuttavia riduttivo, considerare la globalizzazione, un mero effetto del cambiamento dell’economia mondiale.  La globalizzazione, infatti, rappresenta un insieme di trasformazioni che investono la totalità e la profondità della vita umana in tutte le sue circostanze. Quest’assunto fa riferimento alla moderna concezione di globalizzazione; i cambiamenti sopra enunciati, infatti, sono spalmati in un arco temporale lungo non più di mezzo secolo (XX secolo), tuttavia, è possibile scorgere tracce di fenomeni, che possono essere considerati antesignani della globalizzazione, andando a ritroso nel tempo di vari secoli.  Si riscontrano, infatti, forme di globalizzazione in epoca romana, araba e nell’età d’oro dell’Islam allorquando prima i commercianti arabi, successivamente gli esploratori, i conquistatori e i colonizzatori diedero forma ad un primo modello di economia globale nel Vecchio Mondo e poi tra il Vecchio e il Nuovo Mondo, che risultò nella globalizzazione dei raccolti, del commercio, della conoscenza e della tecnologia[1].  Ci fu un’integrazione del mercato mondiale anche durante l’Impero mongolo e con l’espansione del commercio europeo, nei secoli XVI e XVII, allorquando gli Imperi Spagnolo e Portoghese raggiunsero praticamente l’intero pianeta dopo la scoperta dell’America del 1492, in questo seguiti dall’Impero Britannico e Olandese e poi da quello Francese[2]. La globalizzazione economica vera e propria venne in essere con la nascita della Compagnia delle Indie Olandesi, considerata la prima multinazionale; essa, infatti, attuò la condivisione del rischio e la proprietà congiunta per mezzo del possesso di azioni[3]. Con l’espressione “Prima era della globalizzazione”, si suole indicare il periodo delle liberalizzazioni del secolo XIX; in tale periodo, si verificò una crescita notevole del commercio internazionale che coinvolse le potenze europee, le loro colonie e gli USA. La “Prima Era della Globalizzazione” iniziò a declinare con la Grande guerra, per finire definitivamente durante la crisi del Gold Standard[4]. La globalizzazione attuale è molto diversa dalle precedenti forme di globalizzazione; infatti, fin dalla Seconda Guerra Mondiale essa fu dapprima l’effetto di una pianificazione economica, commerciale e politica, adottata per eludere i costi derivati dal protezionismo e dall’assenza di un’integrazione economica mondiale. Ciò ha portato, tra l’altro, all’istituzione di numerosi organismi internazionali come: il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e la Banca Internazionale per la Ricostruzione. Riguardo all’attuale concezione di globalizzazione, è opportuno fare un cenno alle cause della globalizzazione medesima. Si riconoscono due cause fondamentali di tale fenomeno:

–  Aumento esponenziale della produzione di beni e degli scambi commerciali, in virtù della riduzione dei costi di trasporto e dallo sviluppo dei mezzi di telecomunicazione, in particolare di internet.

–  Fine del mondo bipolare e della guerra fredda e quindi della contrapposizione tra il modello capitalista e quello comunista.

La globalizzazione è inoltre caratterizzata da: economia di mercato e accordi di libero scambio, diffusione delle imprese multinazionali, internazionalizzazione del lavoro e mondializzazione del turismo di massa. Stante il tema in argomento, è proprio l’analisi di queste caratteristiche della globalizzazione che può fornire una risposta al quesito se il fenomeno della globalizzazione, converge o diverge con i dettami della Dottrina Sociale della Chiesa.

Il Beato Giovanni Paolo II di venerata memoria, nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in America, ebbe a scrivere:

«C’è in realtà una globalizzazione economica che porta con sé alcune conseguenze positive come il fenomeno della efficienza e l’incremento della produzione e che, con lo sviluppo delle relazioni tra i diversi paesi in ambito economico, può rinforzare il processo di unità dei popoli e rendere migliore il servizio alla famiglia umana. Se però la globalizzazione è retta dalle pure leggi del mercato applicate secondo la convenienza dei potenti, le conseguenze non possono essere che negative. Tali sono, ad esempio, l’attribuzione di un valore assoluto all’economia, la disoccupazione, la diminuzione e il deterioramento di alcuni servizi pubblici, la distruzione dell’ambiente e della natura, l’aumento delle differenze tra ricchi e poveri, la concorrenza ingiusta che pone le Nazioni povere in una situazione di inferiorità sempre più marcata La Chiesa, sebbene stimi i valori positivi che la globalizzazione comporta, guarda con inquietudine agli aspetti negativi da essa veicolati[5]

È del tutto evidente pertanto, che la Chiesa, madre e maestra di Verità, guarda alla globalizzazione con fiducia, riconoscendone le opportunità che essa offre agli uomini; tuttavia, conserva una particolare preoccupazione circa i lati negativi che la globalizzazione rischia di avere, se tutti gli attori in essa coinvolti non pongono la dignità della persona umana come valore principale su cui basare il proprio operato. Secondo il Magistero sociale della Chiesa, i lati negativi della globalizzazione derivano, infatti, da un ridimensionamento della dignità umana se non dalla totale assenza di una sua ferma tutela.

Per la Chiesa il concetto di dignità umana attiene al fatto che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio. L’uomo è capace di conoscere e amare il proprio Creatore; il quale, gli ha conferito la potestà su tutto il creato per servirsene a gloria di Dio. L’uomo sente dentro di sè una voce che gli parla attraverso la coscienza, questa voce lo chiama a fare il bene e fuggire il male, ad amare e lodare Dio, ad amare il suo prossimo. L’obbedire a questa voce, costituisce l’essenza della dignità umana, quella stessa dignità che la Dottrina Sociale della Chiesa pone come valore non negoziabile allorquando tutti gli autori in essa coinvolti debbono esprimersi circa la globalizzazione[6]. Come già osservato, la globalizzazione offre agli uomini molte opportunità di accrescere il benessere comune, ma in talune situazioni contribuisce ad alimentare le diseguaglianze e ciò determina, naturalmente,  un ridimensionamento della dignità umana.

Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha affermato:

«Analizzando il contesto attuale, oltre ad individuare le opportunità che si dischiudono nell’era dell’economia globale, si colgono anche i rischi legati alle nuove dimensioni delle relazioni commerciali e finanziarie. Non mancano, infatti, indizi rivelatori di una tendenza all’aumento delle disuguaglianze, sia tra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo, sia all’interno dei Paesi industrializzati. Alla crescente ricchezza economica resa possibile dai processi descritti si accompagna una crescita della povertà relativa. La cura del bene comune impone di cogliere le nuove occasioni di ridistribuzione di ricchezza tra le diverse aree del pianeta, a vantaggio di quelle più sfavorite e finora rimaste escluse o ai margini del progresso sociale ed economico:  “ La sfida insomma è quella di assicurare una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione”. Lo stesso progresso tecnologico rischia di ripartire iniquamente tra i Paesi i propri effetti positivi. Le innovazioni, infatti, possono penetrare e diffondersi all’interno di una determinata collettività, se i loro potenziali beneficiari raggiungono una soglia minima di sapere e di risorse finanziarie: è evidente che, in presenza di forti disparità tra i Paesi nell’accesso alle conoscenze tecnico-scientifiche e ai più recenti prodotti tecnologici, il processo di globalizzazione finisce per allargare, anziché ridurre, le disuguaglianze tra i Paesi in termini di sviluppo economico e sociale»[7] .

Il professor Piergiorgio Ardeni, nelle sue lezioni del corso di economia dello sviluppo presso l’ Università di Bologna, nell’a.a. 2007/2008, ha argomentato come segue le ragioni dei fautori e degli avversi alla globalizzazione.

«I sostenitori del libero commercio affermano che la globalizzazione aumenta la prosperità economica e le opportunità, specialmente nei paesi in via di sviluppo, migliora le libertà civili e porta ad una più efficiente allocazione delle risorse. Le teorie economiche dei vantaggi comparati suggeriscono che il libero commercio porta ad una più efficiente allocazione delle risorse, con un beneficio netto per tutti i paesi che vi partecipano. In generale, ciò porta a prezzi più bassi, maggiore occupazione, maggiore produzione e migliore tenore di vita per chi vive nei paesi in via di sviluppo. Dal 1981 al 2001, secondo le cifre della World Bank, il numero di persone che vive con meno di $1 al giorno è calato da 1.5 a 1.1 miliardi, in termini assoluti. Allo stesso tempo, la popolazione mondiale è cresciuta, e in termini percentuali la quota di persone con meno di $1 al giorno è scesa dal 40% al 20%, ed i maggiori miglioramenti si sono proprio avuti in quei paesi che più hanno ridotto le barriere al commercio e all’investimento (la contro-argomentazione è che più dettagliate misure di povertà andrebbero analizzate). La percentuale di persone che vive con meno di $2 al giorno è diminuita di più nelle zone più coinvolte nella globalizzazione, mentre i tassi di povertà sono rimasti altrove largamente stagnanti: in Asia Orientale, inclusa la Cina, la povertà è diminuita del 50.1%, laddove è aumentata del 2.2% in Africa Sub-Sahariana»[8].

La tesi del professor Ardeni, collima con quella sostenuta dal Magistero della Chiesa, circa gli aspetti positivi della globalizzazione. Questi aspetti, pongono le basi per la costruzione di rapporto tra uomo e lavoro, così come è argomentato nella Lettera Enciclica Laborem Excersens del Beato Giovanni Paolo II di veneranda memoria. Un rapporto che contempla la salvaguardia della dignità umana e la solidarietà tra gli uomini. A tal proposito, il professor Luigi Mengoni[9] asserisce che l’enciclica Laborem Excersens di Papa Giovanni Paolo II considera i rapporti di lavoro misurabili, innanzitutto, con la dignità della persona che lo esegue, l’enciclica indica quale domanda etica di controllo del regolamento effettivo di tali rapporti un valore cui molteplici costituzioni del secondo dopoguerra, affidano espressamente la fondazione ultima dell’ordinamento giuridico. Ricordiamo l’art. 1 della Costituzione di Bonn e l’art. 2 della nostra Costituzione che contiene un enunciato equivalente, partendo dal presupposto che il concetto di dignità dell’uomo è la sintesi dei diritti fondamentali. Tale concetto è la traduzione secolarizzata della Verità biblica secondo cui l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, e rimanda al principio kantiano secondo cui l’uomo in tutte le sue azioni, deve essere considerato un fine e mai unicamente come un mezzo[10].

«Gli oppositori della globalizzazione sono caratterizzati da un’opposizione alle politiche neo-liberiste. Alcuni rifiutano il termine “anti-globalizzazione” preferendo quello di contro-globalizzazione, alter-globalizzazione o no global. Gli stessi attivisti anti-globalizzazione come Noam Chomsky sostengono che il termine “anti-globalizzazione” non ha significato in quanto lo scopo del movimento è quello di globalizzare la giustizia (movimento per la giustizia globale è infatti un altro dei termini coniati per questo movimento). Alcuni sostengono lo slogan “un altro mondo è possibile”, e sono definiti secondo l’appellativo di alter mondialiste in Francia. […] Fondamentalmente i critici della corrente ondata di globalizzazione mettono in luce i danni provocati al pianeta Terra, in termini dell’insostenibile danno percepito alla biosfera, così come i costi umani, in termini di maggiore povertà, diseguaglianza, ingiustizia, erosione della cultura tradizionale che le trasformazioni economiche legate alla globalizzazione portano con sé. Gli anti-globalizzazione sfidano indicatori come il PIL utilizzato per misurare il tipo di progresso promosso da istituzioni come la Banca Mondiale e propongono di guardare a misure come l’Indice di Felicità del Pianeta (Happy Planet Index, HPI). Essi fanno notare come “una moltitudine di conseguenze fatali interconnesse – disintegrazione sociale, crollo della fiducia nella democrazia, un più rapido deterioramento dell’ambiente, la diffusione di nuove malattie, maggiore povertà e alienazione” sono tutte conseguenze non volute ma reali della globalizzazione (Fritjof Capra, The Hidden Connections). I critici della globalizzazione tipicamente sottolineano che la globalizzazione è un processo che viene mediato dagli interessi delle grandi imprese e tipicamente fa sorgere la possibilità di politiche e istituzioni globali alternative, in grado di affrontare le richieste morali dei poveri e delle classi lavoratrici in tutto il mondo così come le preoccupazioni ambientaliste in una maniera più equa. Il movimento anti-globalizzazione è molto ampio, include gruppi religiosi, fazioni in lotta per la liberazione nazionale, unioni di contadini e braccianti, intellettuali e artisti, protezionisti e anarchici, riformisti e rivoluzionari, e anche reazionari[11]».

Questa tesi appare in dissonanza con le preoccupazioni avanzate dalla Dottrina Sociale della Chiesa, perché sembra condannare la globalizzazione in quanto tale, scadendo nel facile populismo e non ragionando circa le misure concrete da adottare per rendere la globalizzazione al servizio dell’uomo e del pianeta. Tutto ciò dimostra che la filosofia che sta alla base della moderna cultura anti globalizzazione non ha nulla a che spartire con i principi della Dottrina Sociale della Chiesa in tema di globalizzazione e diritto del lavoro. Per il Magistero sociale della Chiesa, sostenuto dalla fede, infatti, il problema è sempre quello di garantire la dignità umana in ogni situazione e la globalizzazione deve essere vissuta e sfruttata da tutti gli attori in essa coinvolti, ponendo al centro i diritti della persona, affinché quest’ultima, possa vivere nella dignità di creatura a immagine e somiglianza di Dio.

A questo proposito, la Lettera Enciclica Caritas in Veritate di Papa Benedetto XVI statuisce:

«[…]I poveri in molti casi sono il risultato della violazione della dignità del lavoro umano, sia perché ne vengono limitate le possibilità (disoccupazione, sotto-occupazione), sia perché vengono svalutati “i diritti che da esso scaturiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia”. Perciò, già il 1° maggio 2000, il mio Predecessore Giovanni Paolo II, di venerata memoria, in occasione del Giubileo dei Lavoratori, lanciò un appello per “una coalizione mondiale in favore del lavoro decente”, incoraggiando la strategia dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. In tal modo, conferiva un forte riscontro morale a questo obiettivo, quale aspirazione delle famiglie in tutti i Paesi del mondo[12]».

Applicare la parola decente  al lavoro, significa concepire un lavoro che, in ogni società, soprattutto nel mondo attuale caratterizzato dal mercato globale, esprima la dignità essenziale della persona: un lavoro scelto liberamente, che renda i lavoratori, protagonisti dello sviluppo della loro comunità e che permetta loro di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione. Ai lavoratori deve essere consentito di soddisfare le necessità delle loro famiglie e di istruire la prole, senza che questa sia costretta a lavorare a sua volta in tenera età. Il  lavoro non deve negare ai lavoratori la libertà di organizzarsi in sindacati, purché scevri da condizionamenti di natura ideologica, inoltre ad essi dev’essere garantito il diritto a salvaguardare le proprie radici e alla libertà religiosa, un lavoro che permetta all’uomo di espletare la sua vocazione a Dio e non al lavoro quale fine ultimo della propria esistenza[13].

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[2] Ibid.

[3] Cfr. Ibid.

[6] Ovviamente, nel mondo, esistono altre concezioni di dignità che potrebbero portare coloro che vivono lontani dalla fede, a domandarsi: «Ma cosa si intende con la parola dignità?». Tuttavia, le persone di fede, sanno che la concezione di dignità espressa dalla Chiesa, è fondata sulla Divina Rivelazione e pertanto è da considerarsi preminente rispetto a tutte le altre proposte dal mondo.

[7] Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, pp.197-198.

[9] LUIGI MENGONI (Trento 1922 – Milano 2001) è stato Professore Emerito di Diritto Civile nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove ha insegnato anche Diritto del Lavoro, e Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale. Tra la sua vasta produzione scientifica vanno ricordati i volumi: Diritto e valori (1985), Ermeneutica e Dogmatica giuridica. Saggi (1996), Il contratto di lavoro (Vita e Pensiero 2004).

[10] Cfr. Mengoni L., 2004, «L’enciclica Laborem Excersens e la cultura industriale» in Mario Napoli (a cura di), Il lavoro nella Dottrina Sociale della Chiesa, Milano, Vita e Pensiero, p. 53.

[12] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in Veritate, n. 63

[13] Cfr.Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in Veritate, n. 63

1 commento su “Dottrina sociale della Chiesa e globalizzazione: un dialogo possibile? – di Cristian Usai”

  1. La globalizzazione non è una mera liberalizzazione del mercato internazionale. Se anche fosse così, sarebbe già un sistema iniquo, perchè ci sono realtà socio-economiche nazionali che hanno bisogno di protezione e non possono essere messe alla mercè della libera concorrenza mondiale.
    Ma la globalizzazione, di fatto, è governata da una egemonia finanziaria, da una plutocrazia senza patria, la quale fa i propri interessi a scapito della giustizia. Soprattutto, questa globalizzazione comporta l’imposizione di regole politiche empie e inique (diritti umani falsi e abusivi, principi di uguaglianza morale inammissibili) dunque una corruzione civile inaccettabile, dunque è un sistema intrinsecamente cattivo e da rigettare.

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