“Va’, e non peccare più”
(Gv 8,11)
“Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia
che prende ciò che si rivolge a lei”.
(Purg. III, 120-122)
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di Carla D’Agostino Ungaretti
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Vorrei dire anche io due parole da cattolica “bambina” sull’evento cardine del momento storico che sta vivendo la Chiesa universale: il Sinodo della famiglia. E dico subito che, secondo me la confusione regna sovrana e rafforza le idee sbagliate che allignano nelle menti di tanti, anche cattolici.
Anzitutto si sente ripetere come un mantra quella che io non esito a definire una stupida frase che non viene smentita o corretta da chi ha il potere e il dovere di farlo, e cioè “I tempi sono cambiati e finalmente la Chiesa se ne sta accorgendo, sia pure (come dicono i maligni) in ritardo“. Ma chi li ha cambiati? E sono cambiati in meglio o in peggio? Io sostengo che non è stato certo Cristo a stabilire che, dopo duemila anni dalla sua Incarnazione, l’uomo (compreso il Papa) avrebbe avuto il permesso di modificare la Parola di Dio a suo piacimento. Inoltre la condizione in cui oggi versa la famiglia non fa certo propendere per un miglioramento del suo stato di salute spirituale.
Poi, i giornali e i mass-media non fanno che ripetere e mettere in primo piano ciò che la Chiesa afferma da sempre e cioè che essa accoglie tutti, divorziati rimasti single o risposatisi civilmente, omosessuali, transessuali e similia. Se ne parla come se fosse una novità; ma quando mai la Chiesa ha detto o fatto il contrario? Semmai è stato sempre il mondo, in passato, a emarginare i conviventi (tranne quelli di alta posizione sociale) e a dileggiare e demonizzare gli omosessuali e i transessuali usando, per loro, epiteti e parole volgari – che, come tutti sanno, esistono in ogni dialetto d’Italia – e infierendo soprattutto su quelli di umile condizione, perché quelli di alto rango sociale, culturale o economico sono sempre stati blanditi e corteggiati: basti pensare ai molti intellettuali, scrittori, artisti o registi che tutti conosciamo. Non nascondiamoci dietro un dito: la Chiesa non ha mai respinto i peccatori, ma è sempre andata alla loro ricerca per illuminarli e riaccoglierli nel suo seno, come Gesù faceva con i peccatori ma – e qui, secondo me, risiede l’equivoco – non lo fa buonisticamente (come non lo faceva Gesù, che non ha mai detto “chi ha avuto, ha avuto; chi ha dato, ha dato” ) perché richiede da essi la conversione del cuore, il riconoscimento che lo stile di vita osservato fino a quel momento era sbagliato e la promessa di cambiarlo. Il problema che maggiormente sembra intrigare i mass-media – relativamente a questo Sinodo che dovrebbe ribadire con forza la concezione cristiana della famiglia – non è quello del sostegno materiale e spirituale o dell’assistenza ai nuclei familiari, sia sereni che in crisi, bisognosi entrambi (come sappiamo tutti) di aiuto da parte dell’ordinamento giuridico ma, quasi inspiegabilmente, quello dell’ammissione al Sacramento dell’Eucaristia dei divorziati risposatisi civilmente che sentano il bisogno spirituale di riaccostarsi a Dio. La Chiesa non fa che ripetere, per bocca di Vescovi e Parroci, che questi nostri fratelli sono parte integrante del popolo cristiano e infatti li invita continuamente a partecipare alla vita della Parrocchia, alle celebrazioni liturgiche, a compiere opere di carità, ma c’è un punto sul quale ci si arena o meglio non si fa la chiarezza dovuta e quindi eccomi giunta a cercare di chiarire l’equivoco fuorviante di cui parlavo poc’anzi.
I divorziati, risposatisi civilmente che si professano cattolici, sanno da sempre che il loro secondo legame (o terzo, o quarto, come nel mondo avviene sempre più frequentemente) da essi coscientemente contratto, non è conforme al Vangelo (Mt 19, 3 ss; Mc 10, 9ss). Matteo, però, dal canto suo, sembra inserire un’eccezione all’indissolubità matrimoniale ribadita con forza da Gesù che si richiama alla volontà iniziale del Creatore: “Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato (πορνεία) commette adulterio“. Il dizionario greco – italiano di Lorenzo Rocci, croce e delizia di tanti studenti del nostrano Liceo Classico, traduce il termine greco πορνεία, usato dai Settanta nella loro traduzione in lingua greca del Vangelo secondo Matteo, con prostituzione, fornicazione, lussuria, termini il cui significato non si discosta poi molto da concubinato. In altri casi, sempre nel Nuovo Testamento, lo traduce con idolatria, apostasia, ma non sono questi i casi che ci interessano . Quindi, stando a Matteo, sarebbe lecito pensare che solo l’adulterio giustificherebbe la separazione dei coniugi (e chi potrebbe negare che esso ha un effetto devastante sul matrimonio?) ma duemila anni di ermeneutica cristiana, hanno sempre escluso la possibilità di un nuovo matrimonio.
- Paolo, poi, è ancora più icastico:”Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore … mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11, 27 – 28). C’era bisogno di aggiungere qualcos’altro, per essere ancora più chiari? Gesù e Paolo sono lapalissiani, le loro parole o si accettano in toto, o in toto si respingono, perché è un problema di fede, la quale c’è o non c’è: tertium non datur. Eppure il mondo moderno, che ha perso il senso del peccato e non si confessa più, pretende di ricevere la S. Comunione senza accostarsi prima al Sacramento della Riconciliazione; esso si sente in diritto di ricevere comunque il Corpo del Signore e preme perché il Sinodo gli riconosca questo diritto, anche se vive in condizione di “pornèia.
Il pensiero relativistico moderno ha instillato nella mente e nel cuore di molti un’arroganza e una presunzione senza pari, alle quali non corrisponde un’adeguata correzione spirituale da parte della Chiesa, la quale (dal canto suo) sembra intimorita e, nel timore di perdere fedeli, insiste sulla misericordia tout court, lasciando credere che la Parola di Dio sia storicamente adattabile ai tempi. E’ ovvio, invece, che se una coppia sente il desiderio spirituale di riavvicinarsi ai Sacramenti, dovrà correggere il proprio stile di vita. La Chiesa, che è mater, oltre che magistra, comprende benissimo che molto spesso è impossibile ripristinare la situazione familiare anteriore al divorzio e non chiede necessariamente la cessazione della convivenza – spesso resa impossibile dalla presenza di figli (innocenti) che hanno il pieno diritto di vivere e crescere avendo accanto entrambi i genitori – ma chiede alla coppia interessata di riconoscere umilmente che il loro legame non è il Matrimonio voluto da Dio e, di conseguenza, di promettere la cessazione di quei rapporti che il Magistero, da duemila anni, ha sempre ritenuto esclusivi del Sacramento del Matrimonio senza mai incorrere in smentite teologiche, dottrinali o pastorali.
Gesù perdonò l’adultera, raccomandandole di non peccare più. Invece pare che la soluzione più accreditata nel Sinodo sia la salvaguardia assoluta della dottrina, ma con la valutazione dei singoli casi da affidarsi ai Vescovi diocesani, i quali potrebbero così ammettere al Sacramento i divorziati risposati dopo averli assoggettati a un cammino penitenziale. Ma che significa, nel caso specifico, “cammino penitenziale” se non ci si richiama espressamente all’osservanza della castità? Non ci si rende conto della falla che si aprirebbe così nella dottrina complicando le cose? Non dovrebbe bastare la promessa – fatta durante il Sacramento della Riconciliazione al confessore, che in quel momento E’ CRISTO – di vivere da quel momento in poi con il proprio partner astenendosi da qualunque intimità? La Chiesa, a queste condizioni, concede l’assoluzione e l’ammissione all’Eucaristia perché si fida delle promesse dei suoi figli, ben sapendo che essi possono ingannare il confessore, ma non ingannano certo Dio.
Sarà stata capace di obbedire a Gesù la povera adultera? Non lo sappiamo, ma dall’episodio narrato da Giovanni apprendiamo che la misericordia divina è sempre pronta a riaccogliere mille volte il peccatore pentito che accetti con cuore sincero di cambiare vita, anche se non ci sono garanzie che non peccherà più.
Castità, quindi, ma che cosa sarà mai questa benedetta castità, che non viene mai nominata in questo frangente, e perché il mondo la disprezza tanto? Essa è la virtù per mezzo della quale l’uomo domina e regola il desiderio sessuale secondo le esigenze della ragione e allora è facile capire perché non goda oggi di molto credito: essa richiede il dominio di sé, la formazione del carattere e lo spirito di sacrificio, doti che oggi il mondo disprezza, teso com’è a perseguire il proprio piacere o tornaconto, di qualunque natura esso sia. L’essere umano casto “si costruisce giorno per giorno con le sue libere scelte : per questo egli conosce, ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita”[1]. Tutti i cristiani sono chiamati a condurre una vita casta, ma il modo di vivere la castità varia a seconda dei diversi stati di vita. Per i coniugi essa consiste nel dare ai rapporti sessuali la pienezza dei diversi significati della sessualità e nel superare ogni forma di banalizzazione e strumentalizzazione dell’altro. Alle persone non sposate la castità impone la sublimazione della sessualità, ossia il suo orientamento in senso puramente affettivo e spirituale. Perché ciò possa avvenire è necessaria, anche se non sufficiente, la coscienza realistica delle dinamiche dell’eros che non vanno rimosse , ma sviluppate correttamente attraverso un rapporto autentico con le persone dell’altro sesso, in modo da favorire una vera integrazione dell’alterità sessuale.
L’attuazione pratica della castità richiede attenzione alla diversità delle situazioni umane e disponibilità ad accettare le tappe di un cammino di crescita che non è uguale per tutti e che deve essere sorretto dall’azione della Grazia divina.
Con queste mie umili parole di cattolica “bambina” non ho detto niente di nuovo o di speciale: la Chiesa conosce queste cose da duemila anni – perché ne hanno parlato esaurientemente i grandi Padri della Chiesa a cominciare da S. Agostino – e da duemila anni le insegna. Eppure, per rammentarle al mondo edonista del XXI secolo, si è ritenuto necessario addirittura un Sinodo. Speriamo e preghiamo lo Spirito perché ispirino i Vescovi a non lasciarsi affascinare dalle proposte del mondo!
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[1] Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica “Familiaris consortio“, n. 34.
8 commenti su “Due parole sul sinodo della famiglia – di Carla D’Agostino Ungaretti”
Si darà il caso che su casi analoghi il vescovo di qua valuterà in un modo e il vescovo di là in un altro. Tutto ciò dà l’idea di una brodaglia confusionaria che nulla di buono porterà nelle coscienze già abbastanza confuse di chi, pur senza più esserlo, ancora insiste a definirsi cattolico. Purtroppo, non sarà difficile immaginare la fine della nave priva di nocchiero in mezzo a una gran tempesta.
del resto, la confusione è il leitmotiv di questo pontificato. Ahi..noi!
Io credo che questo sinodo avrà un grande merito: quello di chiarire una volta per tutte le intenzioni di quelli che oggi occupano il posto dei pastori. Tanto tempo fa mi stupivo di trovare dei preti più scettici di me e mi sentivo quasi in dovere di sostenerli e di incoraggiarli. Oggi vedo fior di prelati che non capiscono l’enorme potenzialità dell’uomo nel dominio di sé stesso e di sopportazione del sacrificio. Ci sono popoli, gli Irakeni da ultimi, che danno la vita per Cristo, mentre qui da noi si sente la necessità di adattare la dottrina alle comodità degli uomini. Ma chi può immaginarsi di avere il potere di farlo? Cristo ha parlato duemila anni fa, con parole che sembrano pronunciate ieri, ma quelle parole scomode erano allora e scomode sono adesso. Che ci crede non può immaginarsi di vivere comodamente, perché il mondo lo contrasterà in tutti i modi, lo schernirà, lo disprezzerà e, credo fra non molto anche da noi, lo perseguiterà. Cristo lo ha detto e nulla è cambiato.
Purtroppo io non credo che questi atteggiamenti saranno chiariti una volta
per tutti.
Secondo me (sono molto ignorante) sono semplicemente una ulteriore porta
aperta all’errore, al MALE.
I redattori e i lettori di questo sito (BELLISSIMO, CONSOLANTE, che ci nutre
della VERITA’) denunciano di continuo i disastri causati dal C.V.II e dalle sue
successive interpretazioni.
Cioè gli errori sono dilagati sempre più gravemente fino ad arrivare a quelli
odierni.
Il MALE, come ho scritto altre volte e come tutti sappiamo, è subdolo e si presenta
come il bene perché è il padrone del mondo. E babele cresce…
Però sappiamo anche che LUI VINCERA’.
Preghiamo affinchè questo avvenga il prima possibile!!
La dottrina della Chiesa su questi argomenti è gia stata definita dal Magistero (in forma anche DOGMATICA) e proviene da Gesù, da San Paolo e dal Decalogo: solo gente che ha perso la Fede potrebbe pensare di cambiarla!
Come è possibile essere così ingenui (o in malafede) da credere (o da tentare di far credere agli altri) che Gesù non fosse a conoscenza di come sarebbero andate le cose?
Ne era PERFETTAMENTE a conoscenza ma non ha mai concesso nulla al peccato, che la Chiesa NON ha il potere di assolvere: Gesù ci ha donato la CONFESSIONE per assolvere i PECCATORI PENTITI: queste cose sono così semplici e ovvie che solo chi ha perso la Fede può non capirle!
Guai a parlare di castità al giorno d’oggi: il principe di questo mondo non gradirebbe, principe che ha puntato moltissimo sull’esito infausto di questo Sinodo!
“I tempi ed il mondo sono cambiati”…. sicuramente in peggio davanti a Dio, perché nei secoli precedenti quando si peccava si era consapevoli di aver scelto il male e quindi si ricorreva alla confessione; oggi invece si guarda al male come al bene e al vero bene come male (perché restrittivo delle libertà). Come diceva San Giovanni Paolo II, non esiste più il senso del peccato e la società si incancrenisce nel male e nascono strutture di peccato.Viviamo in una epoca in cui il genere umano sta vivendo il peccato contro lo Spirito Santo, che non sarà mai rimesso, perché è sparito il senso del peccato e di conseguenza il bisogno di conversione. Ma a chi imputare questa responsabilità di come sta andando il mondo? Tutti noi cattolici a cominciare dai vertici della Chiesa che non ha più usato parole di condanna al peccato ma solo di dialogo con la mentalità del mondo. Noi siamo il sale e il lievito della terra, ne basta poco, e se eravamo “pochi ma buoni”, il mondo sarebbe stato…
Siamo moltissimi, amici e fratelli miei, a propendere più per una critica alla Chiesa attuale che per un’accettazione supina delle sue decisioni in favore del mondo e delle sue perversioni. E non solo su questo sito. Moltissimi miei conoscenti, colleghi e persone, dalla più semplice e umile alla più acculturata, sono sempre più perplessi di fronte allo sfacelo inaugurato dal questo papato. Il bel libro di Socci, che può essere opinabile in alcuni punti ma che sto leggendo e trovo molto ben argomentato e puntuale, sta contribuendo a questo clima di presa di coscienza. Vedremo la pulizia e la verità venire ancora una volta dal basso, come fu molte volte in passato (ad esempio con il VERO Francesco, quello Santo). Personalmente, prego ed invito a pregare affinchè la Divina Provvidenza guardi giù, e ci dia pastori più degni.
Sui giornali già si traggono conclusioni distorte al Sinodo ancora in corso. Già si parla di “aperture” della Chiesa su vari ambiti. Si fa un magistero che è virtuale, appigliandosi a frasi vaghe e solo programmatiche. Ma tant’è. Basta una feritoia per creare una breccia. In questa vaghezza, la morale e la dottrina diventano un brodo primordiale e ogni distinzione tra bene e male diventa una sfumatura di linguaggio. A chi giova? Questo richiama più gente alla fede o in chiesa, come ad un concerto? Si salvano più anime, nonostante i peccati? La Chiesa si guadagna un plauso dal mondo? Ci si sente più accolti in questa maniera senza vera conversione? Già da tempo è in atto una desertificazione spirituale, ma appare penoso portare più sabbia per nascondere le cose, anziché acqua per vivificare il deserto. ” Se il sale perde il sapore, con cosa lo si salerà? “. Signore, cosa ci chiedi Tu veramente?