È giusto che un Governo accetti di pagare il riscatto di un ostaggio?

Perché il Governo costringe i cittadini a pagare in conto terzi il riscatto che è stato chiesto per un sequestro di persona? Ovvero, a quale titolo un Governo, per di più abusivo, si può permettere di sottrarre ai cittadini una cospicua somma di denaro e di passarla ai sequestratori in cambio di una persona sequestrata? Questa è la domanda che ogni italiano dovrebbe porsi anche se la confusione generale cresciuta nel tempo grazie anche al frastuono mediatico ha offuscato la capacità di leggere la realtà delle cose, obnubilato la ragione, e persino il senso comune.

Partiamo dai presupposti sui quali dobbiamo fermarci a riflettere. Il sequestro di persona a scopo di estorsione è una delle forme delittuose che può assicurare il maggior profitto con minimo rischio immediato. Lo schema vuole che il prezzo del riscatto venga chiesto a chi si presume abbia un forte interesse personale alla liberazione della vittima, sia ritenuto in grado di esborsare la somma richiesta e quindi anche disposto a soddisfare la richiesta.

La leva psicologica è data normalmente dagli affetti famigliari e quella economica dalla capacità patrimoniale dei ricattati. È ovvio che la richiesta del riscatto di uno sconosciuto chiesto all’ignaro passante sarebbe senza costrutto. Come inutile sarebbe chiedere anche ai famigliari della vittima una cifra o il trasferimento di un bene del tutto al di fuori della loro disponibilità.

Invece, quando l’interesse in gioco o la misura della richiesta rendono l’affare credibile, esso diventa un’arma micidiale nelle mani della delinquenza di qualunque tipo, anche perché il tentativo di liberare l’ostaggio senza pagarne il prezzo risulta in generale molto pericoloso per il sequestrato e per il liberatore. Non per nulla si tratta di un dispositivo adottato storicamente e con gli adattamenti necessari anche sul piano più alto della politica, nelle lotte tra forze contrapposte, sia all’interno degli Stati che nello scenario internazionale.

In questi casi il rischio di una liberazione forzata degli ostaggi è giustificato dalla rilevanza della posta in gioco, che può essere data dal numero e dal peso simbolico delle vite in pericolo, dal prestigio del potere statuale offeso dal gesto ricattatorio, dalla messa in pericolo della stessa sicurezza nazionale, e dalla sua inaspettata vulnerabilità. Quanto basta per giustificare appunto il tentativo di liberazione che, se a Monaco si risolse in una tragedia collettiva, nella impresa leggendaria di Entebbe si tradusse nella vittoriosa esibizione di capacità tecniche e determinazioni morali mirabolanti capaci di rovesciare lo smacco in successo, l’umiliazione in prestigio nazionale e istituzionale.

In ogni caso, se il comune sequestro a scopo di estorsione fa leva sull’interesse e sulla capacità patrimoniale del ricattato, l’operazione andata a buon fine per chi la promuove rafforza l’idea che essa sia una forma di illecito molto proficua e tutto sommato a basso rischio.

Di qui l’interesse dello Stato a scoraggiare una pratica che ha afflitto per anni questo paese ed è stata poi stroncata proprio anche in virtù del divieto imposto alle famiglie di pagare i riscatti.

Secondo la versione ufficiale, la stessa logica avrebbe guidato la decisione dello Stato di non pagare il riscatto per Aldo Moro. Vera o falsa che sia stata di fatto la ragione addotta, rimane indiscutibile l’esigenza dello Stato di non consentire qualsiasi cedimento al ricatto che, una volta andato a buon fine, rischia di perpetuarsi innescando una spirale perversa.

Ora, se guardiamo alla sconsolante vicenda di questi giorni, possiamo affermare al di là di ogni ragionevole dubbio che, nel quadro di uno dei peggiori esempi di amministrazione della cosa pubblica della storia unitaria, non ci è stato risparmiato neppure l’ultimo sberleffo. Quello di uno Stato che si piega a pagare ad una banda di tagliagole il riscatto della ennesima Vispa Teresa, andata a gonfiare il proprio piccolo ego in lande sconosciute, munita della giusta miscela afrodisiaca di compiacimento morale e di eroica audacia.

Il pagamento pubblico del riscatto di tale Vispa Teresa, ricca di avventura come il torero cantato da Garcia Lorca, avrebbe dovuto essere giustificato da un forte interesse collettivo, che invece è ben difficile individuare. E da qualunque parte si rovesci la faccenda, soltanto l’interesse tutto privato della famiglia rimane l’unico plausibile, oltre quello dei sequestratori. È vero che a destra e a manca si ripete, per quel noto meccanismo di risonanza automatica obbligatoria delle medesime frasi, che noi “abbiamo sempre scelto la via umanitaria del pagamento del riscatto”. Dove l’umanitario, concetto che va misurato ancora una volta sugli interessi collettivi e non sui sentimenti individuali, andrebbe anche calibrato su tutti gli effetti che una scelta del genere comporta ad ampio spettro, come ogni iniziativa di rilievo pubblico.

Del resto, la sostituzione all’interesse comunitario dell’interesse individuale sta alla base di tutta la deriva etica e politica dei nostri giorni, che è deriva più ideologica che filosofica dato il respiro corto del pensiero che vi è sotteso.

Che poi iniziative del genere siano state già prese in passato non significa affatto che siano state legittime allora e siano legittime oggi. L’errore ripetuto è più grave di quello che lo ha preceduto. E che il precedente sia stato un errore lo dimostra proprio il reiterarsi del meccanismo ricattatorio. Invece la liberazione di questa eroina del nostro tempo, di fatto, è risultata di importanza superiore ad ogni interesse comunitario.

L’interesse individuale è stato anteposto all’interesse pubblico che andava di certo nel senso contrario. Che imponeva non venisse accreditata la criminalità dei tagliagole islamici al soldo di non si sa chi, e non fosse aperta la strada ad una serie reiterata di sequestri, magari ai danni di funzionari dello Stato e di lavoratori di aziende pubbliche o di chiunque altro possa essere trovato a portata di mano degli stessi tagliagole. Ogni Stato, ovvero il suo popolo sovrano, deve mantenere una distanza siderale e irrinunciabile da interessi opposti a quelli della intera comunità. E questa non può rinunciare alla difesa della propria libertà, del proprio prestigio di nazione sovrana. Non può piegarsi alle trame o alla pavidità di una accozzaglia di pavidi pronti a inchinarsi davanti alla protervia di bande criminali di qualunque natura. 

In questo quadro miserrimo non va dimenticato che il pagamento del riscatto è stato addebitato agli italiani senza che nessuno di essi sia stato interpellato in merito. A quegli italiani diventati sudditi e basta. L’interesse privato è stato anteposto non solo ad ogni interesse pubblico, ma anche all’interesse di ogni cittadino che si è trovato di fatto a finanziare le bande criminali islamiste nel momento in cui a lui vengono negate risorse essenziali, e versa in gravi difficoltà, anche per la gestione dissennata della crisi economica connessa alla crisi sanitaria.

Così, mentre sacrifica definitivamente un prestigio nazionale già scosso dalla intollerabile sudditanza suicida all’UE, un governo abusivo fa pagare agli italiani, in senso culturale, giuridico ed economico, la pruderie umanitaria di una Vispa Teresa emula della Charlotte Rampling di Portiere di Notte. Senza alcun senso del pudore. 

Del resto anche costei sembra soffrire della carenza di un normale senso del pudore. Infatti, invece di sgattaiolare via per andare a scrivere, posto che con la fede non abbia perso anche l’uso della scrittura, una lettera di scuse all’inerme popolo italiano, ostaggio di una banda di scriteriati, pare si sia esibita felicemente nell’avanspettacolo dei guitti della politica, allestito negli spazi aeroportuali.

Ma il comune senso del pudore è ormai scomparso da ogni piano del condominio istituzionale, e forse la prodezza umanitaria è servita per spargere un po’ di fumo sulla vergogna delle scarcerazioni, in spregio ad una ecatombe di morti ammazzati e alla storia mostruosa del sopruso diventato istituzione. Nessuno conosce la vergogna, nessuno nei palazzi romani sente la necessità morale di sparire per sempre dalla scena pubblica.

Intanto nelle amministrazioni locali qualcuno pensa di mettere la camicia di forza a chi esprime liberamente il proprio dissenso. Qualcun altro mette trionfalmente i richiedenti asilo, cioè quelli che sono di fatto dei clandestini, a controllare i cittadini andati a passeggiare nei parchi, con l’incarico di redarguirli e denunciarli nel caso non fossero ligi alle direttive antiepidemiche. Usque tandem abutere patientia nostra? No. Non c’è più tempo.

4 commenti su “È giusto che un Governo accetti di pagare il riscatto di un ostaggio?”

  1. Controllati da chi deve essere controllato! … Roba da non credere se non fosse che sto leggendolo qui.
    Ci prendono a sberle sonore dalla mattina alla sera e ogni giorno di più e per ringraziamento gli suoniamo pure le campane.

  2. “La Giornata di “preghiera, digiuno e carità” del 14 maggio, esprime il desiderio di ogni religione di vivere, nel mondo, la forza del proprio patrimonio umano e spirituale. Tale forza non può mai essere contro gli altri”
    Ma che razza di discorso è mai questo? La Buona Novella affidataci da Cristo affinché la portassimo a tutte le genti, sino ai confini della terra, non è mai stata contro nessuno, ma sempre a favore di tutti, per la salvezza eterna di tutti. Il nasconderla agli uomini, ai seguaci di false religioni, questo è essere “contro gli altri”, poiché significa provarli della salvezza eterna, quella per cui Cristo si è incarnato, ha sopportato la Passione e la morte in croce. Il mantenere gli uomini nelle loro false credenze è disobbedire al comando di Cristo, è porsi contro di lui e disinteressarsi della salvezza eterna del prossimo. L’aiuto materiale, corporale (le opere di misericordia corporale) viene dopo quello spirituale, dopo l’annuncio della salvezza portataci da Cristo, da Lui solo. Non è cristiano lasciare che un buddista muoia da buddista, che un induista muoia da induista, ecc. (come faceva una certa suora posta sugli altari dai papi modernisti). Ben facevano una volta le levatrici a battezzare i neonati in pericolo di morte, così pure i missionari che battezzavano di nascosto i bambini figli di musulmani, induisti, buddisti, a rischio di morire, e ciò perché i loro genitori non lo avrebbero mai consentito.
    Questo clero ribelle e ostile a Cristo, al vero Cristo (non a quello falso che si sono costruito a loro uso e consumo) inganna gli uomini facendo loro credere di volere il loro bene mentre invece impedisce loro di entrare nel Regno dei Cieli. “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare.” (Mt 23, 13)

    1. Parole sante, caro Catholicus, come sempre. Personalmente neanche ce la faccio più a scandalizzarmi, né della festa mariana di ieri passata sotto silenzio durante la messa a Santa Marta, né dell’obbrobrio massonico di oggi con richiesta di digIuno e preghiere a qualsiasi divinità. Quando si ha l’ardire di sostenere che se il tralcio senza la vite muore, ma per reciprocità muore anche la vite senza il tralcio (omelia di ieri), allora concludo che un bel digiuno ci vuole davvero: sì, quello dalle reiterate bestemmie contro il Padreterno e contro la Sua Santissima Madre.

  3. Il cretinismo politicamente corretto sta dilagando anche a destra, come dimostrano certi commenti di esponenti di FdI a favore della protagonista del caso in esame

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