Elezioni regionali. Avete vinto, e adesso?

Narrano le cronache che nel 1947, quando i comunisti vincitori della guerra civile spadroneggiavano con violenza nelle piazze, attivisti rossi occupassero manu militari la Prefettura di Milano. Un eccitatissimo Giancarlo Pajetta telefonò trionfante a Palmiro Togliatti: “Palmiro, abbiamo occupato la Prefettura di Milano!”. E il Migliore, gelido: “Bravi, e adesso che cosa ve ne fate?”.

Il centro-destra ha vinto le elezioni nelle due regioni, per motivi diversi, più importanti d’Italia. Una vittoria netta, inequivocabile, nonostante gli astiosi, rabbiosi tentativi della stampa mainstream, cioè quasi tutta, di minimizzare, giustificare, inquinare quello che può essere tranquillamente definito un trionfo. Bene, bravi, cari vincitori. Siamo, con molta moderazione e qualche perplessità che andiamo a spiegare, soddisfatti di questa indubbia vittoria.

Ma, adesso, cosa ve ne fate? Non c’è bisogno di essere grandi politologi per sapere che questo risultato aiuterà l’azione del governo. Ma quale azione? Verso quali obiettivi? Questo governo si è autodefinito di destra-centro. Accettiamo, per pura convenzione, questa definizione. In realtà, su cosa sia la destra, il suo ubi consistam, quali siano (o debbano essere) i suoi valori, le sue connesse linee guida molto si è discusso e molto ci sarebbe ancora da discutere. Ci sarebbe anche da verificare se il cleavage destra-sinistra sia ancora politologicamente descrittivo e distinguente. Forse in parte sì, in parte no (chi scrive ritiene: in buona parte sì, in misura minore no). Ma non siamo qui per discutere questo. Ripetiamo la domanda: e adesso? Dopo questa brillante vittoria, che ha indubbiamente anche un pesante rilievo anche nazionale e che fa seguito a una altrettanto netta vittoria alle elezioni politiche, cosa succederà, cosa cambierà, rispetto al precedente governo Draghi?

Fermeremo l’invasione che minaccia il nostro futuro di popolo bianco e cristiano, con o senza i promessi, ma mai attuati, blocchi navali? Faremo cessare l’irridente tracotanza delle ONG che favoriscono quest’invasione, certe di avere alle spalle la forza della magistratura e di paesi europei? Avremo il coraggio di rispondere a muso duro ai diktat minacciosi di un’Unione europea sempre più torva nelle sue imposizioni ecologiste, ultra-liberal, decostruzioniste di nazioni, tradizioni, popoli e libertà? Riusciremo a stare nella NATO almeno con un po’ di dignità e a schiena dritta, visto che ci è impedito di uscirne essendo ormai occupati, prigionieri e sorvegliati a vista da decine di basi USA e obbligati da una dipendenza che è psicologica, prima ancora che politica, nei confronti dell’imperialismo americano? Potremo liberarci di quella torbida russofobia che inquina la nostra cultura, ancora prima della nostra politica estera, con miserabili ostracismi alla grande letteratura russa, alla grande musica russa, ai bravissimi concertisti russi e posizionarci in modo meno fazioso e guerrafondaio rispetto al conflitto in corso, con maggiore rispetto della verità storica su chi è il provocatore e chi il provocato, chi l’aggressore e chi l’aggredito? Saremo in grado di impedire, nel futuro, ed è solo un esempio, squallide esibizioni provocatorie di disgustosi pervertiti come quelle di Sanremo, “vomitevole performance” (copyright Marcello Veneziani)? Fermeremo la corruttiva aggressione omosessualista-genderista alla nostra scuola, alle nostre famiglie e, più in generale, alla nostra società? E ci libereremo della decennale cancel culture antifascista che vuole obliterare espressioni, fatti e monumenti della nostra storia e impedire sentimenti, valutazioni e analisi anche con tutt’ora vigenti, anacronistiche “disposizioni transitorie e finali” e con leggi liberticide e censorie?  E si potrebbe continuare per pagine e pagine. Ma, qualcuno potrebbe obiettare, questa destra non persegue questi obiettivi, E, allora, dovremmo chiederci, una volta per tutte, cos’è la destra o quantomeno chiarirci a quale, tra le destre possibili (e sono molte), ci riferiamo.

In realtà, quello che emerge con vistosa evidenza, è una solidissima e inattaccabile impreparazione, con pochissime eccezioni, della classe dirigente della destra-centro alla comprensione dell’innegabile fatto che se si vuole veramente vincere sul lungo periodo, conquistare realmente la società attraverso i cuori e le menti delle persone, prevalere nelle istituzioni e nel deep state, vedere le “nostre” idee e i “nostri” valori (già, ma quali sono?) saldamente instaurati, vincere una tornata di elezioni non basta. Ci vuole molto di più. Oggi, con pochissime eccezioni, tutte le agenzie “datrici di senso”, tutte le realtà statuali e sociali che impattano sulla società civile e creano le mentalità collettive, i comuni sentire, le idee accettate da tutti o quasi, sono in mani “loro”: la scuola, l’università, i docenti di ogni livello, le case editrici, i testi scolastici, i premi letterari, le fondazioni culturali, i think-tank, i cosiddetti “social”, la stampa, le televisioni, gli spot pubblicitari, le radio e poi la magistratura, i sindacati, le associazioni dei consumatori, i centri sociali, le femministe di tutte le scuole, il variegato mondo omosessualista-genderista, le associazioni degli ecologisti, i gruppi di quartiere, le parrocchie, le Onlus e le ONG immigrazioniste, le beghine e i collitorti dell’equo-solidale, spesso anche gli ordini professionali (basti pensare al ruolo dell’Ordine dei medici nella repressione per conto della dittatura sanitaria), gruppi di avvocati dediti alla protezione delle ONG immigrazioniste. Nei comuni gestiti dagli eco-comunisti, come Milano, i municipi finanziano associazioni, punti di aggregazione, persino birrerie “arcobaleno”. E poi fondazioni e lobby di vario genere, come quelle di oligarchi come Soros, che inondano di soldi partiti e associazioni di sinistra. Abbiamo dimenticato qualcosa?  Ogni interstizio della società è occupato da loro. C’è solo da stupirsi se nelle recenti elezioni la maggioranza degli elettori non “si è buttata a sinistra”, come diceva Guareschi. Un miracolo, o un sintomo di una fondamentale tenuta etico-politica degli italiani, nonostante Sanremo (e, ovviamente, tutto il resto). E anche il sintomo di una gigantesca incavolatura (ma il termine è blando) per i soprusi e le tasse volute dell’UE, la persecuzione europoide contro proprietari di casa, artigiani e piccoli produttori come i balneari e, in futuro, i tassisti, gli effetti delle inique sanzioni alla Russia sui prezzi, soprattutto dei carburanti, i mancati introiti per la cacciata dei facoltosi turisti russi.

La destra, in tutte le sue declinazioni, non è mai stata capace di costruire uno straccio di progetto di conquista dei gangli culturali e strategici della società, una strategia “gramsciana” di penetrazione nella società civile, nel metodo, per influenzare o costruire idee collettive, luoghi mentali comuni. Una delle più grandi case editrici italiane, la Mondadori, è di proprietà della Fininvest di Berlusconi. Analizzate il suo catalogo e contate quanti libri “di destra” (ancora una volta: usiamo questo termine con le pinze) pubblica in un anno. Non arrivate alle dita di una mano. Mediaset ci regala l’inquinante Grande Fratello, ma non c’è una trasmissione culturale “non-conforme”. Durante il governo Berlusconi, l’unica iniziativa culturale degna di menzione fu il finanziamento della rivista liberal-conservatrice IDEaZIONE, peraltro voluta dall’ex missino Domenico Mennitti. La regione Lombardia è in mano alle destre da anni: l’unico a proporre qualche iniziativa culturale “di destra” fu il bravo assessore Marzio Tremaglia, morto prematuramente. La RAI ha avuto amministratori, direttori di TG e di canali, addirittura presidenti “in quota” alla destra. Hanno occupato diligentemente il loro posto, ma nulla è cambiato, la RAI continua ad essere una fonte di disinformazione di sinistra. E’ la regola del deep state: se si vogliono veramente cambiare le cose, uno spoil system di vertice non basta.

Sono anni che intellettuali anticonformisti come Marcello Veneziani, Gianfranco de Turris, Pietrangelo Buttafuoco e altri lamentano il mancato supporto della “destra politica” alla “destra culturale” (non fateci ripetere le solite precisazioni sull’imprecisione e indeterminatezza del termine). Negli ultimi anni sono nate, spesso per coraggiosa iniziativa di giovani, nuove case editrici di “non conformi”. Supporto dalla destra politica? Nessuno. Sono circa 7.900 i Comuni italiani. Quanti sono in mano a giunte, diciamo così, non di sinistra? Quanti di questi propongono iniziative culturali (presentazioni di libri, convegni, conferenze, mostre etc.) non inquinate dall’ideologie di sinistra? E sono solo esempi.

Nel 1945, mentre la Democrazia Cristiana occupava le banche, le aziende pubbliche e i consorzi agrari, il Partito Comuniste e le sue affiliazioni iniziarono un lento, scientifico, sistematico percorso di occupazione di scuole, università, case editrici. L’occupazione della casa editrice Einaudi fu un caso di scuola.

C’è una leggenda metropolitana: che negli anni ’50 e ’60, Togliatti raccomandasse ai segretari di sezione del PCI e ai capi cellula di far laureare i loro figli a Giurisprudenza e indirizzarli ai concorsi per la magistratura. Non sappiamo se sia vera, ma i risultati li abbiamo sotto gli occhi.

Un vecchio, autorevole “barone” universitario raccontava, riferendosi a quando i docenti avevano il potere di nominare i loro assistenti, figura oggi abolita dalle innumerevoli, perniciose riforme dell’università: “i professori di destra sceglievano i loro assistenti tra i laureati bravi, i professori di sinistra tra i laureati di sinistra”. Anche in questo caso, i risultati li vediamo.

Se non si conquista, con pazienza ma con determinazione, la società civile ogni vittoria elettorale sarà effimera. Peggio: vedremo politici, amministratori di destra farsi vittime di un “trasbordo ideologico inavvertito”, farsi persino attuatori di politiche tipiche degli avversari. Se non ci sono solide basi culturali, si è facile preda del conformismo. Recentemente, un parlamento in cui ci dovrebbe essere una solida maggioranza di centrodestra ha votato, quasi all’unanimità, salvo qualche astenuto, una mozione che impegna il governo a non modificare la legge sull’aborto. Sconfortante. E di esempi come questi se ne possono citare parecchi, al centro e nelle periferie. La difesa della famiglia, ad esempio, è ormai un argomento tabù. L’attacco e la decostruzione del linguaggio, il suo pervertimento è una tecnica in cui la sinistra è bravissima e la destra è incapace di risposta, per impreparazione e/o quieto vivere: finché sentiremo esponenti di questa maggioranza usare parole falsificanti come “gay”, “femminicidio”, “sessismo” e molte altre, la battaglia civile sarà, sul lungo periodo, perduta. “Loro” vinceranno, anche con la destra al governo perché “loro” hanno più megafoni, più mezzi. “Loro” determinano l’agenda, “loro” stabiliscono i temi, “loro” lanciano anatemi e condanne, “loro” inventano parole o nuovi significati di queste, obbligandoci sul terreno da “loro” scelto e a “loro” favorevole.

Eppure, la vittoria del centro-destra, o destra-centro, è un segnale che dovrebbe confortare anche chi, per disperazione, scoraggiamento o disillusione non ha votato. Significa che ci sono ancora molte speranze per una controffensiva culturale, molte opportunità per costruire, o ricostruire, una società civile fondata su valori “buoni”. Spetta ai nuovi vertici, nazionali e locali (e tra questi massime a chi ha responsabilità culturali) iniziare questa riconquista, con decisione e coraggio, senza lasciarsi spaventare da termini come spoil system, epurazione, occupazione o altri: perché “loro” possono farlo e noi no? Ma non mancano gli spazi di attività alla portata di tutti: acquistare pubblicazioni e libri non conformisti, non comprare prodotti pubblicizzati con spot multirazziali o omosessualisti, promuovere iniziative culturali, sollecitare gli amministratori locali, le parrocchie, le associazioni culturali a costruire eventi, supportare economicamente, secondo le proprie possibilità, chi combatte la “buona battaglia”. E, no, non me ne sono dimenticato, anche pregare.

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