Ammettiamolo, le nostre parti politiche (ma, francamente, è da un po’ di tempo che queste nostre “parti politiche” non so più bene dove siano, se ci siano ancora, se siano diventate terra incognita, se non si siano inabissate nei gorghi del moderatismo, dell’atlantismo, dell’antifascismo), le nostre parti politiche, dicevo, hanno sempre avuto una attrazione fatale per la retorica della decadenza, della caduta della nostra civiltà: i tramonti dell’occidente, i pochi in piedi tra le rovine, il “piccolo resto”, l’ineluttabilità del kali yuga o, per i germanizzanti, del ragnarok. Nessuna ironia: in fondo è anche la visione del mondo di chi scrive.

Se ci si guarda attorno, vediamo infatti quasi solo segnali sconfortanti: l’avanzata della criminale cancel culture in tutti gli ambiti, la libertà di parola e la possibilità di affermare le più elementari verità naturali sempre più conculcate, la civiltà e la storia dell’Europa bianca e cristiana diffamate, condannate, negate e proibite, la dittatura di Bruxelles che ci vuole imporre una tragica e dolorosa “decivilizzazione” in nome delle falsità ecologiste, la guerra di Ucraina emblematica dell’aggressione dell’occidentalismo liberal e trans-omosessualista alla Russia che si oppone alla feroce egemonia USA e sostiene i valori tradizionali, la drammatica e dolorosa, per i cattolici, autodemolizione della Chiesa dal Concilio Vaticano II e così via.

Tuttavia, se riusciamo ad aguzzare gli occhi nella nebbia del nostro Kulturpessimismus, sia pur nobile e anche giustificato, e al talvolta conseguente e incapacitante (non sempre, per la verità) determinismo storico se non metastorico, dovremmo scorgere alcuni segnali positivi e constatare che, qua e là, alcuni fortini del buon senso e delle verità naturali ancora resistono. Non solo, si stanno moltiplicando e in diversi casi riescono a respingere gli assalti del wokismo, delle perversioni liberal di varia natura e della dittatura della politically correctness. E, fatto ancor più interessante, queste reazioni si manifestano proprio negli USA, cioè in quella società che da decenni, e forse ancor da prima, impesta il mondo con le peggiori infezioni sociali e politiche.

Interessante la reazione, ad esempio, che si sta sviluppando nei confronti della finanza e dei servizi finanziari che da tempo rappresentano la punta di lancia delle più estremiste e minacciose ideologie liberal. C’è da premettere che si sta diffondendo, nell’ambito degli attori creditizi e d’investimento, l’utilizzo del cosiddetto rating ESG. Di cosa si tratta? ESG sta per Enviromental, Social e Governance e tale rating, in buona sostanza, vuole misurare quanto le aziende clienti sono “sottomesse” ai diktat della più invasiva correttezza politica quindi si accerta la presenza, degli organi di governo, tipicamente il Consiglio di Amministrazione e altri Board, di donne, neri, trans-omosessuali e così via; si misura il presunto “impatto ambientale” delle aziende, come emissione di CO2, l’attenzione al cosiddetto “cambiamento climatico” e poi la composizione etnica dei collaboratori, la sempre presente “inclusività”, l’adozione di obiettivi di “sostenibilità ambientale” nella remunerazione variabile dei manager.

Questo rating è stato elaborato dal World Economic Forum di Davos (ma guarda un po’) con l’assistenza di Bank of America e di colossi della consulenza come Deloitte, KPMG e PWC. Il principale utilizzatore del ricattatorio ESG è senza dubbio BlackRock Inc., la più grande società asset management al mondo con 10 trilioni di dollari di asset e significative, e condizionanti, partecipazioni in altri colossi come Amazon, Apple, Microsoft, Google, Visa, Johnson & Johnson, JPMorganChase e molti altri. Il più potente investitore al mondo. BlackRock è naturalmente impegnato nel sostegno dell’agenda trans-omosessualista promuovendo il Corporate Equality Index che valuta le aziende su quanto sono attive nell’appoggio a “politiche e pratiche inclusive di LGBTQ”. L’indice è stato elaborato da un’organizzazione finanziata dalla Open Society di Soros. Tout se tient.

Ovviamente BlackRock è politicamente schieratissimo con tutte le più feroci istanze liberal ed ecologiste, ha strettissimi rapporti con l’amministrazione Biden, del quale ha abbondantemente finanziato le campagne elettorali e molti ex dipendenti del colosso finanziario siedono ai vertici delle istituzioni finanziarie dell’amministrazione democratica. Klaus Schwab, il luciferino fondatore e guru del World Economic Forum, è un componente del Board della BlackRock. Il suo CEO, Larry Fink, tiene sotto scacco migliaia di aziende con il ricatto del rating ESG minacciando di non investire nelle aziende renitenti a obbedire ai diktat ecologisti. Ancora nel 2017, in una lettera in cui si rivolgeva ai CEO delle aziende, Larry Fink intimava loro singolarmente di “assumersi le loro responsabilità […] anche attraverso sane politiche ambientali, sociali e di governance”. E ancora: “I comportamenti dovranno cambiare e questa è una cosa che chiediamo alle aziende. Devi forzare i comportamenti e noi di BlackRock stiamo forzando i comportamenti”.

Eppure, nonostante le dimensioni e lo strapotere di BlackRock, sempre più investitori si stanno rendendo conto della pericolosità delle sue posizioni e imposizioni politico-ambientaliste e ritirano i loro investimenti. Un’associazioni di consumatori, Consumers’ Research, ha lanciato l’anno scorso una campagna contro questo colosso liberal. Scrive Andrea Wailzer, giornalista cattolico austriaco collaboratore di LifeSiteNews e ripreso anche dal sito di Maurizio Blondet: “Cresce anche la resistenza degli stati governati dai Repubblicani. Il governatore della Florida, Ron DeSantis, ha recentemente prelevato 2 miliardi di dollari dal fondo di tesoreria di BlackRock. Anche la Luisiana e la Carolina del Sud hanno annunciato che ritireranno da BlackRock fondi statali e l’Arkansas ha già prelevato 125 milioni di dollari dai conti gestiti da BlackRock. DeSantis sta anche guidando una coalizione di 19 governatori per opporsi all’agenda ESG. All’ultima Conservative Political Action Conference si è tenuta una tavola rotonda intitolata “The New Axis of Evil: Soros, Schwab and Fink”, incentrata sulla capacità delle élite benestanti, tra cui BlackRock, di forzare le politiche di estrema sinistra degli Stati Uniti e nel mondo.”      

Un altro caso emblematico di azienda schierata con il mondo ultra-liberal, con l’agenda trans-omosessualista e con il terrorismo ambientalista è la Disney, con l’aggravante della natura stessa di questa grande corporation che si rivolge a un pubblico prevalentemente, anche se non solo, infantile e che ha quindi un potenziale corruttivo e pervertente che la rendono una minaccia per la morale naturale e l’educazione dei più piccoli.

Sono molti i fatti che documentano la scelta ideologica della Disney (paradossale anche perché  il suo fondatore, Walt Disney, era un fervente e attivo conservatore): i Gay Pride ospitati nelle varie Disneyland, la produzione e la distribuzione, attraverso i canali della multinazionale che si rivolgono ai bambini, di materiale e di storie che “sdoganano” le relazioni omosessuali e i “matrimoni gay” come, nel 2014, la serie I Foster, con protagonista una coppia di lesbiche, poi Buona fortuna Charlie, della Disney Channel: anche qui una coppia di lesbiche.

Nel 2016 il cartone animato Gravity Falls, sempre con una coppia omosessuale. Da citare anche l’impegno politico dell’azienda contro lo stato della Florida, colpevole di iniziative legislative a difesa delle famiglie e dei loro diritti sull’educazione e, a livello federale, la pressione esercitata dalla Disney e di altre aziende sulla Corte Suprema usa a favore dei “matrimoni gay”.  Nei negozi Disney viene venduta una linea di prodotti “a tema”, come le orecchie arcobaleno di Topolino o le spille “LGBT” da collezione. E’ iniziata una collaborazione tra la Disney e il San Francisco Gay Men’s Chorus per la produzione di un musical a tema omosessualista per l’indottrinamento dei bambini. All’interno dell’azienda, vigono stringenti policy gay-friendly e sono attive forti azioni propagandistiche “LGBT” sui dipendenti.

Eppure, tutto questo sembra non bastare agli ambienti liberal che richiedono alla Disney ancora più impegno nell’azione contro la famiglia e la morale di sempre. Con un suo tweet la Planned Parenthood, la famigerata multinazionale dell’aborto, ha così intimato: “Abbiamo bisogno di una principessa Disney che abbia avuto un aborto, che sia pro-choise, che sia un’immigrata clandestina e che sia un trans.”

Tuttavia, dal mondo conservative e pro-life statunitense è da tempo partita un’offensiva contro la degenerazione omosessualista dell’azienda, offensiva che, negli ultimi anni, si è fatta più forte, solida ed efficace. L’appello al boicottaggio dei prodotti Disney ha prodotto significativi danni ai conti dell’azienda. Il 13 aprile del 2022 centinaia di famiglie si sono ritrovate davanti alla sede principale dell’azienda, a Burbank in California, per dire basta alla linea ideologica fatta propria dalla Disney.

Già da anni attivisti pro-life partecipano come azionisti all’assemblea annuale esortando l’azienda a smetterla di sostenere l’agenda woke e trans-omosessualista. All’ultima assemblea, il 3 aprile di quest’anno, il rappresentante di una nota organizzazione internazionale pro-life, CitizenGO, ha ricordato ai vertici aziendali e agli altri azionisti i danni che questa scelta ideologica ha prodotto: perdita di milioni di abbonati, calo del valore delle azioni, licenziamenti di personale su amplia scala. Il boicottaggio funziona. L’anno scorso molti dipendenti hanno sottoscritto una lettera aperta alla Disney lamentando “l’ambiente di paura” creato all’interno per chi non si adegui alle politiche aziendali “progressiste”.

Il governatore della Florida, il repubblicano conservatore Ron DeSantis, in risposta agli attacchi e alle minacce della Disney per contrastare una legge che vieta l’indottrinamento trans-omosessualista nelle scuole, ha deciso di togliere alla Disney storiche esenzioni fiscali di cui questa godeva fin dal 1960. Per rappresaglia, la Disney ha deciso di denunciare DeSantis. La lotta continua in tribunale. È interessante, tuttavia, notare come la mobilitazione di milioni di famiglie nel mondo abbia costretto la Disney a un approccio più prudente sul tema. Come afferma CitizenGo, la risposta della Disney è stata meno arrogante di quelle degli anni passati, quando chi protestava contro le politiche “gay-friendly” veniva trattato con derisione e disprezzo. Qualcosa sta cambiando.

Un altro caso è quello della Gillette che in una sua provocatoria, offensiva (ma anche autolesionistica) pubblicità (si è mai vista un’azienda che insulta gli acquirenti dei suoi prodotti?) accusava la sua clientela maschile di “mascolinità tossica”, espressione priva di senso ma che piace alle femministe. Beh, i clienti “maschi tossici” non l’hanno presa bene: sulla rete è partita una tempesta contro la Gillette, gli inviti al boicottaggio si sono moltiplicati e le vendite dei rasoi sono crollate. Il responsabile dell’azienda, Gary Coombe ha comunque ipocritamente affermato che, per una buona causa, il calo dei profitti era un prezzo che valeva pagare. Forse lui è contento, ma gli azionisti dell’azienda certamente no.

Tuttavia, il caso più emblematico anche per la risonanza internazionale (persino qualche testata mainstream italiana ne ha parlato) è quello della birra Bud Light, un marchio diffusissimo negli USA, Errore. Riferimento a collegamento ipertestuale non valido.appartenente a un gruppo multinazionale che annovera anche altri marchi famosi come Budweiser. Gli esperti di marketing dell’azienda pensarono che fosse una brillante trovata pubblicitaria assoldare un noto attivista e blogger trans, Dylan Mulvaney, ripreso mentre beveva nudo una lattina di Bud Light in una vasca per festeggiare il suo primo anno come “donna”.

No, gli effetti della trovata non sono stati per nulla brillanti. Le inevitabili, vigorose campagne di boicottaggio promosse da vari siti, associazioni, esponenti conservatori hanno fatto crollare le vendite della birra di oltre il 25% (altre stime parlano del 50%). I valori delle azioni della casa madre, la Anheuser-Bush, si sono inabissati: la perdita, in termine di capitale di mercato, è stata superiore ai 6 miliardi di dollari. Non solo: il marchio e il logo vengono rifiutati e le persone non vogliono farsi vedere in pubblico a bere questa marca di birra.

Lo ha dimostrato un singolare esperimento di un organizzatore di concerti che ha offerto gratuitamente ai partecipanti a un evento lattine di Bud Light: nessuno le ha volute. Un gruppo di investitori conservatori ha lanciato un nuovo marchio di birra, la Ultra Right Beer (“birra di estrema destra”) solo per boicottare la “birra trans”. Nato come provocazione, questo marchio sta avendo un inaspettato successo di mercato: le vendite sono ormai prossime al milione di dollari. La responsabile del marketing della Bud Light ha preferito prendersi un lungo congedo. Il trans Dylan Mulvaney è stato nel frattempo ingaggiato per la pubblicità di un’azienda di reggiseni (che non aveva imparato nulla dalla lezione della Bud Light). Nuovi boicottaggi e un nuovo fallimento di mercato.

I casi di netto rifiuto, da parte del pubblico, di scelte commerciali politically correct si stanno moltiplicando. La DC Comics, l’editrice dei fumetti di supereroi, che aveva lanciato un filone narrativo in cui Superman era omosessuale e aveva anche un partner, ha dovuto precipitosamente rinunciare alla narrazione di questa liaison dangereuse a causa del crollo delle vendite del fumetto. Ancora: la Fox news, canale tradizionalmente moderato licenzia, quasi certamente per pressioni esterne, l’apprezzatissimo commentatore televisivo conservatore Tucker Carlson. Gli investitori puniscono Fox news: il titolo perde il 4% a Wall Street. Altro esempio: da quando la cerimonia degli Oscar è diventata il palcoscenico per l’esaltazione di tutte le ideologie liberal immaginabili, il wokismo, la cancel culture, l’antirazzismo, il femminismo, l’omosessualismo e via depravando, l’audience televisiva dell’evento è crollata: solo nel 2021 di ben il 60%.       

Da tutto questo ricaviamo due notizie finali. La prima: non esiste alcun determinismo storico che imponga necessariamente la distruzione della nostra civiltà millenaria, dei suoi principi etici, sociali e politici e delle sue radici greco-romane e cristiane. È possibile non solo fermare la marea dei liquami della decostruzione, della depravazione, della decivilizzazione, ma anche costringerla ad arretrare. La seconda: tutti noi possiamo essere partecipi a questa resistenza al male, con le nostre scelte quotidiane d’investimento e d’acquisto, con il boicottaggio di prodotti la cui pubblicità è politicamente ed eticamente distruttiva dei nostri valori, con messaggi di protesta alle aziende infettanti. E queste sono entrambe buone notizie.

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