Evviva don Ferrante (a proposito degli esperti di coronavirus)

“…al primo parlar che si fece di peste, don Ferrante fu uno de’ più risoluti a negarla, e che sostenne costantemente fino all’ultimo, quell’opinione; non già con ischiamazzi, come il popolo; ma con ragionamenti, ai quali nessuno potrà dire che mancasse la concatenazione.” “In rerum natura” diceva, “non ci sono che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser né l’uno né l’altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera.”

È noto come il Manzoni considerasse “burattini” (l’espressione è sua) i suoi personaggi, verso i quali voleva suscitare, attraverso la loro descrizione, i sentimenti dei suoi “venticinque lettori”: simpatia o antipatia, comprensione o condanna, dileggio o ammirazione. Il personaggio “minore” di don Ferrante è stato costruito dal Don Lisander (alcuni critici dicono con “sublime ironia”, a noi sembra con sarcasmo greve e cattivello) con uno specifico scopo ideologico e culturale.

Alessandro Manzoni non è una persona di quelle che inviteremmo volentieri in società: ansioso o in alternativa depresso, sofferente di crisi di panico e di agorafobia, balbuziente, preciso e puntiglioso fino alla maniacalità, conosciuto come “Il gran bacchettone”, bigotto, nel senso più deplorevole del termine, di una bigotteria cupa, calvinista, puritana, anche dopo la sua conversione. Illuminista fino al midollo (di quell’Illuminismo lombardo così declamato dagli storici liberali e in realtà presuntuosetto e snobistico dei Verri – uno dei fratelli era il vero padre di Alessandro – dei Beccaria, degli Imbonati, amante della madre), contributore della “leggenda nera” illuministico-risorgimentalista della “cattiva amministrazione” spagnola della Lombardia, certamente influenzato dallo scientismo e dal razionalismo dei Lumi, aristocratico ma ultraliberale, Manzoni costruì caricaturalmente nel povero don Ferrante un “personaggio-summa” di molte delle sue idiosincrasie culturali: l’aristotelismo, la seconda scolastica cattolica, la cultura erudita secentesca, la logica sillogistica, l’orgoglio del proprio lignaggio, persino l’astrologia (lui pieno di tic e di credenze irrazionali) dimentico che la Chiesa condannò l’astrologia quale “vana osservanza”, ma solo se deterministica, seguendo San Tommaso (Astra inclinant, non necessitant”) che salvaguardava il libero arbitrio. E così, colpevole per le sue oscurantistiche idee, don Ferrante venne condannato a morte, per contrappasso di quella peste in cui non credeva, dal suo crudele creatore.

La già negletta figura di don Ferrante è stata recentemente tirata in ballo da qualche semicolto commentatore come rappresentazione, “idealtipo” delle varie tipologie di scettici, o semplicemente di critici (definiti “negazionisti” e “antiscientifici”), rispetto ai vari dogmi che ci sono stati imposti, in questo periodo, dal regime salutista imperante.

Agli occhi dei profani, la Scienza Medica ha mostrato, durante la crisi, un duplice volto: innanzi tutto quello eroico fino al sacrificio dei medici di corsia, dei primari battaglieri, spesso lasciati soli e senza mezzi di alcun genere, ignorati nei loro appelli. Un volto di cui tutti noi andiamo orgogliosi e del quale non ci dimenticheremo. Ma c’è anche il volto della Scienza Medica Ufficiale, dei ricercatori, degli accademici, dei medici burocrati dei vari Istituti di Sanità (però “Superiori”), delle Organizzazioni Mondiali, delle Università più prestigiose, delle altrettanto prestigiose e “autorevoli” riviste mediche mondiali come Lancet, o i vari Journal of Medicine.

Possiamo noi profani, con tutto il nostro più profondo rispetto, far presente che le loro diatribe, i litigi da cortile, le denunce incrociate, gli insulti reciproci, le tesi contrapposte hanno mostrato una loro immagine decisamente misera? Noi siamo dei profani incompetenti, sappiamo di non sapere, quindi ce ne guardiamo bene dal giocare ai virologi da caffè, agli epidemiologi da salotto, agli immunologi da aperitivo. Pero, facciamo appello alla memoria: come possiamo dimenticare che, a febbraio, la pandemia era stata considerata un’infezione appena più seria di un’influenza? E che anche oggi illustri clinici la considerano “una forma influenzale non più grave di altri coronavirus”? E la diatriba sulle mascherine? Prima considerate inutili, poi indispensabili, “criminale non portarle”; oggi per alcuni di nuovo dannose: “qualunque cardiologo vi dirà che fanno rischiare l’infarto”. Le chiusure sociale ci hanno salvato? È comparso un appello di un gruppo di medici contro: “un numero impressionante di obblighi e divieti che non trova alcuna legittimazione scientifica e tantomeno giuridica.” Il professor Guido Silvestri ci ricorda i suoi effetti negativi: “lo snaturamento della vita sociale, scolastica, affettiva, costellata di fallimenti, crisi depressive, suicidi, tensioni domestiche”.

E poi la diatriba per eccellenza: si muore “di” coronavirus o “con” il coronavirus? Non lo sapremo mai. In alcuni Paesi, non da noi, enormi camion hanno disinfettato le strade, tutte, ripetutamente. Non serve, tuona l’OMS, anzi, è dannoso. Occorre disinfettare, bene, ovunque, replicano altri, Falso, disinfettare troppo fa male. E poi è antiecologico (ci mancavano gli stalker ecologisti). Il caldo annienterà il virus, secondo alcuni. Non è necessariamente vero, secondo altri. Poiché non ci sarà mai una prova provata, anche questo non lo sapremo mai.

In autunno il virus si ripresenterà? È quasi certo, secondo alcuni; no, l’esperienza di altri virus lo nega, dicono altri; non lo sappiamo, ammettono i più onesti. La clorochina serve? Certo, salva le vite. No, va vietata, come in Francia (forse perché “sponsorizzata” da Trump). La mitica distanza sociale? Un metro. No, non basta, due metri e forse più. Il virus è “clinicamente morto?” No, è vivo e lotta contro di noi. Da cabaret la rissa tra i professori Roberto Burioni e Giulio Tarro, riportata dal Corriere della Sera: “Tarro è stato candidato al premio Nobel quanto io a Miss Italia”. Risposta di Tarro: “Su un cosa ha ragione: lui deve fare le passerelle come Miss Italia, ma senza aprire bocca”. Non parteggiamo per nessuno, ma è indubbio che il professor Burioni ha un che di archetipale, di simbolico, ha le certezze di un Dottor Purgone del Malato immaginario di Molière, è l’incarnazione della Scienza come Verità Assoluta: “non avrai altro Dio oltre alla Scienza”. È il Piergiorgio Odifreddi della Medicina. Ha scritto un libro titolato “La congiura dei somari. Perché la scienza non può essere democratica” che lascia trasparire un poco (oh, ma solo un poco) di presuntuosa arroganza e da cui si potrebbe dedurre che la democrazia non è scientifica (e fin qui potremmo concordare). Ha fondato un fantomatico “Patto trasversale per la scienza” che ha prodotto una perentoria e democratica richiesta alla Procura di oscurare Byoblu, una Web-TV di orientamento sovranista perché, secondo lui, diffondeva fake news.

D’altronde non è il solo caso di scientismo liberal-censorio. Un sito americano, NewsGuard, con confidenti anche tra giornalisti italiani, ha incitato i giganti del web a oscurare diversi siti italiani, tra cui quello del noto psichiatra e criminologo Alessandro Meluzzi, oltre al già citato Byoblu, che in effetti si è visto oscurare da Youtube alcuni video. Tutti colpevoli di dubitare delle “Inoppugnabili Verità Scientifiche”. Torniamo a Burioni: il giornalista Alessandro Giuli ha ben interpretato il sentiment di buona parte dell’opinione pubblica chiedendosi: “Burioni ha un po’ rotto i maroni?”. Inelegante, ma efficace. E conclude: “a volte gli scientisti possono diventare molesti.” La stessa cosa potremmo di dire di un’altra star della virologia, Ilaria Capua, a cui il severgninesco “7”, inserto del Corriere, ha dedicato un’iconica e poetica copertina. Costei, prontamente arruolatasi nel circo dei gretini, ha accusato della pandemia l’uomo che non rispetta l’ambiente (che originalità!) ed esalta il lockdown: “Vedo quei grafici che mostrano l’area di Wuhan e li trovo bellissimi: madre natura si sta risvegliando”. Poi, una brillante considerazione scientifico-politica-ferroviaria: “In Lombardia i treni sono vecchi e sporchi e hanno contribuito a diffondere il contagio”. E poi la pandemia ha consentito una dolce vendetta degli economisti: ha consentito a uno di loro, Alberto Brambilla, di accusare soddisfatto gli scienziati perché “loro” non ne hanno azzeccata una.

Certo, nei mesi passati abbiamo assistito all’Apoteosi della Scienza, alla Dittatura dei Clinici, alla medicalizzazione della società. La Politica si è arresa, si è ritirata, non ha saputo decidere autonomamente neppure nello schmittiano “stato di eccezione”. Qualcuno si ricorda una bel racconto di Jules Romains, “Il dottor Knock o il trionfo della medicina”, da cui venne tratto un film e anche un ottimo sceneggiato televisivo? È il racconto di un medico che “medicalizza” abilmente un intero villaggio francese. Sembrava un elegante gioco letterario, e invece era preveggente.

Eppure, è doveroso comprendere le incertezze, le diatribe, le contraddizioni della Scienza. Dopo le intossicazioni del Secolo dei Lumi, poi quello del Positivismo, con le colonne sonore del Flauto Magico e del Gran Ballo Excelsior, dopo il mito dell’oscurantismo reazionario rotto dalla Luce veritativa della Scienza, dello scientismo invasivo e onnipotente del XX secolo, ci siamo dimenticati che questa, la Scienza, non è Verità assoluta: è dubbio, possibilità, probabilità, tentativo o, se si preferisce, “verità” temporanea, transitoria, parziale, sempre da verificare.

C’è un episodio, a questo proposito, che rappresenta uno dei più fastidiosi e ripetuti “miti di fondazione” dello scientismo contemporaneo: il processo di Galileo Galilei. Su questo fatterello storico gli apologeti anticlericali e anticattolici hanno costruito, con una evidente appropriazione indebita della Scienza, un monumento retorico. Pur senza prove, si può essere certi che il nome di Galileo Galilei gareggi con quello di Giordano Bruno nell’intitolazione di logge massoniche. Nella vulgata scientista Galilei è una della Vittime della Scienza, perseguitato dall’oscurantismo clericale per aver detto che la Terra gira attorno al Sole. L’iconografia illuministico-massonico-protestante lo rappresenta torturato, condannato, rinchiuso in una oscura prigione. E spesso così se lo rappresenta anche un’opinione pubblica afflitta da becero luogocomunismo.

Ovviamente siamo di fronte a un conclamato falso storico: Galilei non venne mai torturato, non fu mai imprigionato, scontò la sua “pena” al confino nella sua villa ad Arcetri. Era stimato dal Cardinal Bellarmino, Santo e Dottore della Chiesa, dal coltissimo Cardinal Cesare Baronio, che non era contrario alla teoria eliocentrica, e dallo stesso Pontefice, Urbano VIII, che gli concesse ben sei udienze per dargli modo di spiegare le sue teorie. Che fosse la Terra a girare attorno al Sole non fu certo il Galilei a scoprirlo: tra i molti altri prima di lui, l’avevano insegnato il Cardinale Nicola Cusano e, più recentemente, Nicolò Copernico. Galileo rappresentò una forma di “arroganza della Scienza”, e personale, dell’epoca: mentre la Chiesa, e in particolare il Cardinal Bellarmino, gli chiedevano amichevolmente di esporre la teoria eliocentrica non come una Verità assoluta, ma come un’ipotesi (cosa che Galilei aveva promesso di fare anni prima), il nostro scienziato ridicolizzò e caricaturizzò il Pontefice nel suo Dialoghi sopra i massimi sistemi, s’impicciò di teologia e soprattutto dichiarò “verità” la sua teoria, che all’epoca non era dimostrabile come tale e che sostenne con prove non veritiere. In sintesi: “La Chiesa Cattolica aveva chiesto galileianamente a Galilei di proporre l’eliocentrismo ancora come ipotesi finché non ne fosse dimostrata la veridicità: un atteggiamento scientifico estremamente corretto, che fa scuola”, troviamo scritto nel Dizionario elementare della Civiltà Cattolica. Insomma, era più “popperiano” il cardinal Bellarmino di Galilei e dei suoi apologeti moderni.

E allora sia concesso a noi profani della scienza, a noi il cui unico Credo è quello niceno-costantinopolitano e non quello fallace e falsificante dell’Organizzazione Mondiale della Santità, di dubitare sempre delle asserite “Verità della Scienza” e di accoglierle come mere ipotesi, ricordandoci sempre che le presunte “dimostrazioni” sono, per loro natura, destinate a essere smentite nel giro di qualche anno o qualche secolo. Alla luce di una corretta epistemologia, anche tesi che ci possono apparire le più stravaganti dovrebbero essere verificate sine ira ac studio e trattate con lo stesso rispetto di quelle approvate dalla maggioranza (ma la scienza non doveva essere “non democratica”?) dei chierici della Scienza Medica. E quindi, anche le apparentemente paradossali dimostrazioni sillogistico-aristoteliche di un don Ferrante (e altre odierne demonizzate dai guru scientisti) dovrebbero essere prese in considerazione. Quindi: viva don Ferrante!

4 commenti su “Evviva don Ferrante (a proposito degli esperti di coronavirus)”

    1. Viva il Manzoni, invece, ingiustamente maltrattato.
      Trentacinquemila morti nella piccola Italia non sono stati pochi.
      Le terapie intensive erano stracolme di infetti, e medici e infermieri morivano a loro volta,…. Con buona pace delle elucubrazioni di don Ferrante.
      Che poi scienza e politica, presi alla sprovvista, sono caduti in contraddizioni, esagerazioni e talora mancanza di elementare buonsenso, pure questo è vero.

  1. La scienza, operata da uomini, è spesso soggetta alla loro corruzione. I falsi scientifici non si contano, e non sono stati tutti denunciati.

  2. In realtà, contrariamente alla visione comune, riguardo al Caso Galileo, Galileo aveva torto e la Chiesa Cattolica ragione come è stato dimostrato rigorosamente, in base alla logica e alla scienza attuale, in un libro recentemente pubblicato:
    Pace C. M., IL CASO GALILEO: Perché Galileo aveva torto e la Chiesa Cattolica ragione, Youcanprint, Lecce 2020

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