Come sarebbe bello poter contare su un’idea o mandante per spiegarci l’eccidio norvegese
Breivik è purtroppo anche nostro figlio, padre e fratello
di Piero Laporta
fonte: ItaliaOggi – gruppo Class
Biondo, norvegese, reazionario, antislamico, è Anders Behring Breivik, solitario crociato fondamentalista sedicente cristiano e, non bastasse, massone. Dissoltisi gli allarmi antislamici, i giornali dissero «Ah, be’ allora abbiamo capito tutto», scaldando Bergman e il malessere scandinavo, il nazismo latente, conditi con intolleranza intrinseca del cristianesimo e religioni fattrici di violenza.
Tirata la linea sulla conta dei morti, quasi cento, non vi fu sociologia a spiegare la furia d’uno solo. Persino un esperto d’assassinii, come Adriano Sofri, non parlò di vittime e carnefice, ripiegando sul sogno infranto del paese felice, nato dalla polvere rimasta sulle dita di Dio creatore. Bel santino con un pensiero tuttavia interrotto: se Dio creò un paese felice, allora un diavolo esiste, crede in Dio e vive per distruggerne l’opera.
Arduo parlare di diavolo ai tempi del cyber e convincere un ateo della personificazione del Bene e del Male, non di meno tale dualità, seppure il diavolo non esistesse, agisce come le contrapposizioni del mondo fisico, buio-luce, vuoto-pieno, bianco-nero, operando nella vita di tutti i giorni, vita-morte, salute-malattia, pace-guerra. Breivik, che fu bambino prima che arma letale, testimonia il coesistere del bene e del male, come noi stessi testimonieremmo, per fortuna su altra scala, se fossimo onesti.
Non sopportiamo la frattura interna e cerchiamo spiegazioni illusoriamente razionali. Così blog e mail, smarrito l’iniziale rifugio del complotto islamico, virano sul complotto ebraico o ebraico statunitense, che punirebbe la contrarierà norvegese ai bombardamenti su Tripoli, la tepidezza verso la Ue, gli accordi con Gazprom e il sostegno ai palestinesi.
Accettiamo pure che vi sia un lurido vecchio a guidare le follie di Breivik; il dato reale è tuttavia Breivik stesso, senza il quale i cento morti non vi sarebbero, nonostante i desideri del lurido vecchio ipotetico. Breivik è nostro figlio, padre e fratello, è peculiare al mondo come l’aria, l’acqua, la malattia e la morte. «Voleva colpire il Papa e l’Italia» si appura nelle ultime ore e puntuale mi giunge la mail di chi vede il protestantesimo, la Riforma coi suoi tratti comuni a Bisanzio, per gli accenti sulla razza, sul sangue, sull’individuo e l’azione, ecco un altro disegno, un altro complotto bell’e confezionato. Tutto verosimile, ma non sono la Riforma o la Controriforma le cause delle sciagure bensì l’uomo che se ne fa mantello, grazie alla banalizzazione della violenza, oramai reputata un diritto individuale, una sorta di bene di consumo.
Tale perversione non è figlia della Shoa, come lasciano intendere troppo spesso, bensì del relativismo. Così il lager è orribile mentre il gulag è sopportabile e viceversa, la guerra è orrenda mentre la rivoluzione è un sogno e viceversa, il cannone è brutto mentre la P38 è bella e viceversa. Noi italiani siamo in prima fila in queste sciagurate trasposizioni, almeno dai tempi di Sergio Leone, la cui cinematografica banalizzazione della morte cruenta, con diabolica estetica, accompagnò mano nella mano la violenza di massa.
Nonostante il farneticante cristianesimo di Breivik, quanto più s’acuiscono i drammi collettivi, tanto più il campo si divide fra chi crede e chi nega che l’unico antidoto alle contrapposizioni cruente sia il Cristianesimo che non dichiara guerra a nessuno ed è unicamente un invito, non di meno sovente rifiutato o, come in questo caso, inquinato con volgarità. Non possiamo sapere quanti Breivik vi sono nelle nostre famiglie, ma certamente sono tanti quanto ne merita il nostro codardo ossequio all’illuminismo, madre e padre dello stato di polizia, di tutte le dittature, dei gulag e dei lager, maestro di tanti che hanno fatto da maestri in questi anni, nonno perverso e diabolico di Anders Behring Breivik e dittatore del pensiero unico e omologato che ci fa sbranare gli uni gli altri.