Finanza verde la trionferà. Cosa sta accadendo in banca

Avete un conto corrente? Avete investito i vostri risparmi in prodotti finanziari? Avete in corso o intendete richiedere alla vostra banca un finanziamento o una linea di credito? Ebbene, allora l’acronimo ESG vi dovrebbe interessare e anche preoccupare. ESG sta per Environmental, Social and Governance ed è un metodo, che si può tradurre in un rating, in un punteggio, per la valutazione di un’azienda, di un’attività economica, di uno strumento finanziario alla luce di stringenti criteri eco-ambientalisti, “sociali” e di governance. In sostanza, è un’inquisitoria verifica che una certa azienda o un certo prodotto finanziario rispondano ai diktat della politically correctness e dell’ideologia liberal più radicale.

Non è casuale che la metrica ESG sia stata elaborata e promossa dal famigerato World Economic Forum di Davos con il sostegno (o complicità?) di colossi come Bank of America, EY, KPMG e PwC, come parte del progetto del patron del WEF, Klaus Schwab, dell’instaurazione, anche senza il consenso dei cittadini, di un neo-comunismo (“non possiederete nulla e sarete felici”) in cui, tra gli altri incubi, il “capitalismo degli azionisti” (“shareholder capitalism”) venga sostituito da un generico “capitalismo dei portatori d’interessi” (“stakeholder capitalism”: la cosiddetta “società civile”, i sindacati, gli ambientalisti, le associazioni di consumatori eccetera).

In sostanza: un potenziale esproprio della proprietà per via dell’imposizione di linee strategiche e di condotta, interne ed esterne. Nell’ambito dell’Environmental i parametri esaminati dall’ESG sono l’attenzione al cambiamento climatico, l’eliminazione di emissioni di CO2, la riduzione dell’utilizzo delle risorse naturale e tutti gli altri paraphernalia delle falsificazioni ecologiste: in sostanza si dà per scontato che ci sia un “consenso scientifico” intorno al cosiddetto riscaldamento climatico e alla sua presunta origine antropica.

Questo consenso non c’è: basti pensare all’appello sottoscritto poco tempo fa da 1.500 scienziati di diversi campi di ricerca e nazionalità contro la tesi del “cambiamento climatico” o agli elaborati scientifici del think tank Clintel (Climat Intelligence) che sostiene che la teoria Agw (Anthropogenic Global Warming) non abbia fondamento scientifico.

Ancora più intriso di ideologia liberal è ciò che è compreso all’ambito del Social: il rispetto dei cosiddetti “diritti umani” (e sappiamo bene cosa sottintende questa ambigua definizione: anche l’aborto, l’eutanasia, l’utero in affitto, il transessualismo sono “diritti umani”?), politiche di diversity aziendali con rigidissimi “codici di comportamento” che disciplinano severamente in azienda il linguaggio e le relazioni interpersonali, indottrinamento obbligatorio dei dipendenti attraverso “corsi di formazione”, adesione all’ideologia trans-omosessualista, sponsorizzazione di gay pride, imposizioni di quote (razziali, di “gender” e così via) nelle assunzioni e nelle promozioni. Tra i criteri che devono informare la Governance ecco la solita diversity nella composizione degli organi di amministrazione e della dirigenza, con sistemi di “quote rosa” o di altri colori.

Buona parte del sistema creditizio e finanziario mondiale ha adottato questi criteri. Il caso più emblematico è quello di BlackRock, la più grande società di asset management al mondo che ha sposato entusiasticamente queste scelte ideologiche (d’altronde il luciferino Klaus Schwab è membro del Board di BlackRock) e il cui CEO, Larry Fink, aveva più volte minacciato le aziende partner di togliere loro ogni investimento se non si fossero adeguate ai diktat eco-liberal voluti a Davos (“investimenti che presentano rischi dovuti alla non sostenibilità, come ad esempio il comparto del carbon fossile, dovranno essere scartati”).

Tuttavia, Fink ha recentemente deciso di non utilizzare più la sigla ESG: “perché è stata male utilizzata dall’estrema destra”. Probabilmente non sono estranei a questa decisione i brontolii minacciosi provenienti dall’opinione pubblica USA, sempre più indisposta verso queste sciagurate ideologie, come hanno dimostrato il successo dei boicottaggi contro alcune aziende che si erano troppo esposte nelle scelte politically correct, come quello contro la birra Bud Light e anche le decisioni di disinvestimento dal colosso di Fink da parte di alcuni governatori repubblicani. Ma la politica di BlackRock non cambia: le aziende devono adeguarsi ai ricatti ecologisti e wokisti adottando comportamenti green e politiche filo-omosessualiste, genderiste e di “giustizia razziale” con sistemi di quote nelle assunzioni e nelle promozioni.

HSBC, la terza banca in Occidente, con una scelta che molti analisti finanziari ritengono controproducente per i suoi bilanci, ha annunciato che smetterà di finanziare nuovi giacimenti di petrolio e gas. Persino la storica e un tempo compassata Bank of England sta imponendo ai dipendenti politiche ispirate al “trans-omosessualismo” più estremo, con assegnazione ai collaboratori di “obiettivi di inclusione” e “raccomandazione” a tutti loro di esibire oggetti e simboli “pro-gay”. Tutti i candidati che si dichiareranno omosessuali, trans e così via godranno di una corsia preferenziale nelle assunzioni.

Interessante, per l’Italia, è l’analisi di un documento di Intesa Sanpaolo, reperibile sul sito ufficiale della banca, relativo alla “Gestione dei rischi ESG e climatici”. Questi “rischi” vengono inclusi nella policy di Risk Management poiché, a detta della banca, potrebbero anche impattare il cosiddetto Reputational Risk. I modelli di rating per la valutazione del creditizio della clientela includono anche tematiche ESG e “aspetti socio-ambientali”. Non si dice a che punto si spingono: se un’azienda viene ritenuta poco ecologica, le revocano i fidi? Inoltre, viene citata l’attenzione a presunte “violazioni di diritti umani” da parte dei clienti.

Altrettanto interessanti sono l’elencazione dei potenziali rischi ESG per la banca e le azioni attuate per la loro mitigazione. Ad esempio, riguardo all’integrità nella condotta aziendale la banca cita come contromisura l’istituzione di un sistema di whistleblowing, procedura inventata negli USA, importata in Europa e adottata da molte banche, ma il cui utilizzo molti giuslavoristi ritengono di dubbia liceità, che consiste nella messa a disposizione di linee di comunicazione anonime attraverso le quali i dipendenti possono denunciare, senza essere riconosciuti, eventuali irregolarità. Una sorta di delazione istituzionalizzata i cui possibili abusi sono ben intuibili e la cui eticità è molto discutibile.

Ancora: viene citato un rischio definito di “diversity e inclusion”, per mitigare il quale sono previste “iniziative per valorizzare la diversità e l’inclusione inclusa la formazione”, poi “regole in materia di diversità per orientamento e identità sessuale”, e “regole per il contrasto alle molestie sessuali”. Il wokismo di queste iniziative non ha bisogno di essere sottolineato.

Intesa Sanpaolo, che pubblicizza anche mutui green per adeguare le case alle maledette e costose imposizioni ecologiche dell’UE, non è la sola banca che ha introdotto i criteri ESG nel business: Unicredit, ad esempio, offre per certi settori economici finanziamenti a condizione che l’impresa finanziata s’impegni ad azioni che abbiano obiettivi quali l’incremento delle ore di formazione all’anno per dipendente sui temi ESG, l’incremento percentuale delle nomine a quadro direttivo e a dirigente dei dipendenti donne, l’uguaglianza di genere nel Consiglio di Amministrazione, iniziative per la sensibilizzazione sulla sostenibilità. Anche qui, il trionfo della più feroce politically correctness.

D’altronde, il presidente della Banca Centrale Europea, l’algida Christine Lagarde che sta rovinando famiglie e imprese con il suo insensato aumento dei tassi, ha recentemente dichiarato che la priorità per la BCE è la tutela dell’ambiente, la lotta al cambiamento climatico e la riduzione delle emissioni di gas serra. Inoltre, la BCE farà di tutto per imporre l’ideologia green: costei ha sostanzialmente minacciato che chi non si adegua alla “transizione ecologica” avrà problemi ad accedere al credito. Un ricatto nel nome dell’ecologismo.

Ipocritamente, i creatori dei criteri ESG non solo travestono di presunta “eticità” quella che è invece una discutibile, estremistica scelta politica eco-progressista, ma contrabbandano anche l’idea che un’azienda o un investimento in linea con l’ideologia ESG siano, per loro stessa natura, più redditizi. Il che è semplicemente falso. In USA i prodotti ESG, fondi e obbligazioni, non vanno affatto bene: Sergio Giraldo su La Verità ci ha recentemente informato che solo nel secondo trimestre di quest’anno c’è stato un deflusso netto di oltre 15 miliardi di dollari da questa tipologia d’investimento: gli investitori stanno scoprendo la fallacia finanziaria di questi prodotti, caratterizzati da cattiva finanza e ispirati da pessime ideologie.

 Non solo nel 2023: il professor Mario Giaccio, tra l’altro docente di “Tecnologia e innovazione”, e di “Tecnologia ed economia delle fonti di energia”, autore di numerosi test sull’ambientalismo, tra cui un illuminante “Il climatismo, una nuova ideologia”, in un suo recente articolo ha documentato che anche il 2022 è stato un disastro per i prodotti ESG: “l’ETF S&P ESG Screened di BlackRock ha perso il 22,2% del suo valore, mentre l’indice S&P 500 Energy Sector (fonti energetiche tradizionali) è salito del 54%”.

Chiediamo scusa per le criptiche sigle: premesso che gli ETF (Exchange Traded Fund) sono un particolare tipo di fondi il cui rendimento è collegato a un settore, a una materia prima, a un indice o a un mercato e che S&P sta per Standard & Poor’s 500, il più importante indice azionario statunitense, è evidente che chi ha investito in strumenti ESG ha perso non poco, mentre chi ha investito in fonti energetiche tradizionali (carbone, petrolio eccetera), ha guadagnato parecchio.

Quindi, conclude Giaccio: “l’ESG non funziona né come strategia di investimento, né come catalizzatore per l’ambiente. Sembra che la doppia finalità degli ESG: aumentare i rendimenti degli azionisti e rendere il mondo un posto migliore sia ritenuta irraggiungibile. Sebbene l’insuccesso degli ESG nel 2022, come strategia d’investimento, sia diventata inequivocabile, la dottrina politica ESG continuerà fino a quando non sarà sconfitta politicamente”.

I criteri ESG hanno impestato anche un altro strumento della relazione tra banca e cliente: il famigerato questionario Mifid (Markets in financial instruments directive), voluto dalla solita Unione Europea nella sua smania di omologazione e di controllo. Chiunque ha un rapporto con un istituto di credito lo conosce bene: ogni tre anni viene molestato dalla sua banca per la compilazione o l’aggiornamento del questionario, dettagliatissimo, inquisitorio, intrusivo, curato e imposto dall’Esma (European Securities and Markets Authority) una specie di super-Consob europea. Ci vengono chiesti non solo i dati anagrafici, ma anche professione, livello di istruzione, composizione familiare, frequenza e tipologia dei nostri investimenti, la nostra competenza riguardo ai mercati e ai prodotti finanziari, in qualche caso con anche un insultante esamino con test a risposta multipla per accertare le nostre conoscenze. E poi la fonte di reddito, la nostra capacità reddituale netta, il nostro risparmio mensile, l’indebitamento, la consistenza patrimoniale, l’eventuale possesso di un patrimonio immobiliare, la sua quantificazione e molto altro ancora.

Lo scopo ufficiale di questa inquisizione è quello di verificare i nostri investimenti in termini di “adeguatezza” e di “appropriatezza” rispetto al nostro profilo personale e finanziario. Insomma, sarebbe “per il nostro bene”. Viene in mente cosa diceva a questo proposito l’indimenticato Sergio Ricossa: “Se qualcuno bussa alla tua porta dicendo che vuol farti del bene, scappa dalla finestra”. In realtà l’odioso euro-questionario serve alla banca per rifiutare eventuali nostre richieste di acquisto di strumenti finanziari che la stessa banca, sulla base delle nostre risposte, giudica “inadeguati” o “inappropriati” (cioè, troppo rischiosi) per il nostro profilo e quindi evitare future rogne giudiziarie. In sostanza una limitazione, “per il nostro bene”, della nostra libertà di scelta finanziaria.

Inoltre, è una formidabile fonte d’informazioni per il marketing riguardo a possibili offerte mirate. Il questionario inquisitorio risponde poi all’orwelliano principio “Know Your Costumer” (“Conosci il tuo cliente”) che l’European Banking Authority (EBA) ha imposto al sistema. La banca deve sapere tutto di te e tu devi collaborare. L’ennesima forma di controllo: infatti la compilazione del questionario è, di fatto, obbligatoria per il cliente. In caso di rifiuto della compilazione, parziale o totale, la banca non presterà al reprobo alcun servizio d’investimento. La banca, il sistema, il regime deve sapere tutto di te e tu non puoi opporti. 

Recentemente l’Esma, aderendo ai diktat e alle falsità green, ha imposto alle banche europee di integrare il questionario con una parte relativa alla cosiddetta “sostenibilità”, termine la cui in-significanza (è il derivato di un falsificante costrutto ideologico), è pari solo al fastidio per il suo insopportabile abuso in tutti i possibili contesti: non solo la propaganda “verde”, ma anche la politica, i media, i programmi di divulgazione e di intrattenimento, persino la pubblicità.

Ecco, quindi, l’inclusione nel questionario dei fattori ESG. Ci viene quindi richiesto (e siamo obbligati a rispondere) il nostro interesse ad integrare nei nostri investimenti prodotti finanziari che tengano conto delle nostre “preferenze di sostenibilità”. Con ciò attribuendoci e imponendoci – senza interpellarci – la convinzione che la cosiddetta “sostenibilità” abbia per noi un qualsiasi senso scientifico e logico e non sia invece un mero termine del menzognero, falsificante e manipolativo vocabolario della neolingua orwelliana, analogo a femminicidio, gay, sessismo, omofobia eccetera.

Poi ci viene richiesta la nostra preferenza per le varie tipologie di “sostenibilità”: investimenti “eco”, obiettivi sociali o di governance, eventuali effetti negativi che vogliamo essere presi in considerazione: emissione di gas serra, biodiversità, problematiche sociali eccetera. Il questionario può variare un poco da banca a banca, ma l’impostazione voluta dall’Unione Europea è comune. Per l’Unione Europea e le sue authority bancarie e finanziarie, la “crisi climatica” è un dogma indiscutibile e le scelte di “sostenibilità” sono un dovere morale. Falsificazione unita alla manipolazione.

Anche Banca d’Italia ha fatto propria questa scelta ideologica. In un documento del 7 aprile 2023 reperibile sul suo sito ufficiale al titolo “Investire in un prodotto finanziario: questionario MIFID e preferenze di sostenibilità”, la banca centrale elenca le nostre tre possibili opzioni: strumenti finanziari “ecosostenibili”, strumenti finanziari “sostenibili” con una gradazione più attenuata e infine “prodotti finanziari non focalizzati sulla sostenibilità. Questi strumenti non possono utilizzare i termini “ESG” o “sostenibilità”, né possono essere promossi come sostenibili”. Segue poi una formulazione inquietante e preoccupante: “Per questa categoria di prodotti, la normativa richiede di spiegare perché non siano contemplate tra le scelte di investimento quelle sostenibili e, nel caso in cui si ritenga il rischio di sostenibilità non rilevante, quali sono le ragioni di questa valutazione.”

In sostanza, secondo Banca d’Italia, noi dovremmo “spiegare” e rendere conto perché non crediamo nell’ESG e nei relativi prodotti, i motivi per i quali non contempliamo tra le nostre scelte d’investimento i “prodotti sostenibili” e soprattutto giustificarci se valutiamo “non rilevante” il cosiddetto “rischio di sostenibilità” o addirittura ne denunciamo la falsità.

Che il pubblico, comunque la pensi sulle menzogne ecologiste, non sia consapevole della invasività e pervasività della finanza green la rende, evidentemente, ancora più pericolosa.

Il mondo ecologista – a sua volta componente assai attivo del fronte del radicalismo progressista, della sovversione, della decostruzione, della decivilizzazione, della negazione del reale, della distruzione di tutti i valori fondanti della nostra civiltà – è una realtà composita, articolata, in qualche caso apparentemente contraddittoria. Una sorta di plateau de fromages ove ciascuno può trovare il gusto che più gli aggrada.

C’è la Deep Ecology, che si è data come padri nobili Jean-Jacques Rousseau e Henry David Thoreau e che ritiene, con uno dei suoi guru, Paul Shepard, che l’umanità dovrebbe ritornare a una “società” di cacciatori-raccoglitori; ci sono i “cancristi” secondo i quali l’uomo sarebbe il “cancro” della Terra con quanto ne consegue: dichiara Dave Foreman, co-fondatore di Earth First: “La gravidanza dovrebbe essere un crimine contro la società” e David Brower, direttore esecutivo del Sierra Club: “Una popolazione totale di 250-300 milioni di persone sarebbe l’ideale”; c’è “l’ipotesi Gaia” del chimico James Lovelack che propone la visione quasi mistica della Terra come “organismo vivente” che fa tanto New Age; c’è l’antiumana, falsificante e distruttiva ideologia della “decrescita felice”.

Ci sono gli eco-gretini, adolescenti ignoranti, rumorosi e arroganti, seguaci di quella Greta Thunberg che ha toppato l’ennesima profezia: il 21 giugno 2018 dichiarò che entro cinque anni l’umanità sarebbe scomparsa dalla terra. Purtroppo per lei, e per fortuna per noi, siamo ancora qui. Ci sono i “cattolici” bergoglioni con il loro tribalismo amazzonico, nativista e sciamanico che idolatrano Pachamama, sanguinaria e infera divinità tellurica. Poi ci sono gli eco-tecnocrati del Club di Roma, che non hanno mai azzeccato una delle loro funeste previsioni sull’esaurimento delle risorse; gli eco-pirati di Greenpeace che assaltavano pescherecci e piattaforme petrolifere; gli eco-vandali che in questi giorni danneggiano allegramente, impuniti e vantandosene, palazzi e opere d’arte; gli eco-terroristi come quelli dell’Earth First, dell’Earth Liberation Front e dell’Earth Liberation Army. Ma ci sono anche gli ecologisti “fighetti” del WWF o le “signore bene” dell’istituzionale e seriosa Italia Nostra per non parlare della ben ammanicata e sinistrorsa Legambiente che gode dei favori dei media, con una genealogia poco nota e interessante: nata nel 1980 da una costola dell’ARCI, a sua volta costituita negli anni ’50 su iniziativa del PCI per raggruppare, dice il suo sito: “circoli, Case del Popolo, Società di Mutuo Soccorso che si riconoscono nei valori democratici e antifascisti” e che ha ancora come simbolo una stella rossa. Quando vedete una “goletta verde” davanti alle nostre spiagge, sappiate qual è il suo vero colore. A tutto ciò, si aggiunge ora anche la “finanza green”. Dobbiamo conoscerla, denunciarla e, per quanto ci è possibile, evitarla come la peste.

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