di Piero Vassallo
Le ideologie sono morte, il pensiero subalterno sopravvive: pertanto la vicenda emblematica di Franco Rodano rimane al centro del dibattito politico, dove rappresenta l’infanzia della religiosità cattocomunista, che svanisce, trasferendosi nei quartieri squisitamente laici e risorgimentali come da indicazione di Palmiro Togliatti.
L’ingenuo pensiero di Rodano, manipolato dagli influssi del salotto di Raffaele Mattioli e della redazione della rivista di Elena Croce, infatti, trovò ultimo e beato alloggio nella laicità. Come previsto dal copione, scritto dalla massoneria per le coscienze cattoliche rapite dalla chimera del progresso.
Una leggenda democristiana, resa inossidabile dalla ripetizione martellante, vuole che Alcide De Gasperi abbia salvato l’Italia dal comunismo, affrontando e vincendo un duello politico con il rivale Togliatti. Duello? Tra cattolici e comunisti il vero duello politico iniziò dopo il 1947, quando Pio XII (piegando la dubbiosa e riluttante volontà di De Gasperi) incoraggiò e approvò la rottura del governo tripartito (democristiani, socialisti e comunisti).
Il duello continuò nel 1948, quando Pio XII fornì a Luigi Gedda i mezzi necessari ad organizzare i Comitati Civici e a condurre la vittoriosa campagna anticomunista del 18 aprile.
Lo storico Giuseppe Bedeschi dal sua canto ha dimostrato che, nel 1947, De Gasperi, approfittando della delicatezza del momento, prese congedo dalla dottrina sociale della Chiesa: “Per quanto riguarda tale dottrina, infatti, De Gasperi, come è stato giustamente osservato, non si limitò ad una semplice revisione … fece qualcosa di più definitivo e sotto molti punti di vista stupefacente: la cancello con un solo tratto di penna. Alla luce della sua esperienza governativa egli bollò a fuoco come radicalmente antistorico il corpo dottrinale che dalle prime esperienze importate d’oltralpe passando per la Rerum novarum e le elaborazioni tonioliane, il cattolicesimo italiano aveva laboriosamente accumulato dalla metà dell’Ottocento in poi” [1].
All’inizio degli anni Ottanta, mentre Augusto Del Noce osservava che la cristianizzazione dell’Italia era avvenuta durante i governi democristiani, Cornelio Fabro indirizzò parole di fuoco ai militanti della Dc: “Qualche volta, di fronte a certe dichiarazioni irresponsabili di alcune personalità si ha quasi l’impressione che qualcuno, e più d’uno, cerchi già d’assicurarsi un rifugio sicuro sull’altra sponda. Saremmo allora giunti al punto critico del supremo orrore morale ch’è il tradimento della fiducia degli elettori, della fedeltà alla Chiesa e della fiducia in Dio: se la Dc intende comportarsi da partito a-confessionale, come sembra abbia fatto alle volte intendere in questo periodo postbellico, deve allora togliere la Croce di Cristo dal suo simbolo sul quale si fonda la fiducia della massima parte degli elettori” [2].
Nella Dc la resistenza a Pio XII si era organizzata fin dal 1944: Gedda (in perfetto accordo con Pio XII) si rivolgeva pertanto agli elettori proponendo il partito di De Gasperi come un male minore, e non come un campione di fedeltà adamantina alla Chiesa. I contenuti dei manifesti affissi dai Comitati Civici durante la campagna elettorale del 1948 non lasciano dubbi al proposito. De Gasperi non era il campione del cattolicesimo anticomunista.
Probabilmente De Gasperi ignorava l’esistenza della strategia detta fabiana, elaborata da alcuni liberali inglesi, convinti dell’ineluttabilità della vittoria comunista e perciò rassegnati a risolvere l’anticomunismo in un’azione temporeggiatrice (onde il riferimento al console Fabio Massimo il temporeggiatore), azione intesa a guadagnare tempo in attesa dell’ineluttabile. Ciò non ostante, il suo centrismo in cammino verso la sinistra mostrava le stigmate del fabianesimo.
La verità, che con fatica si diffonde nell’area culturale del centrodestra, sfatando la mitologia intorno alla diga democristiana, è che, nel 1947, De Gasperi non si oppose ai socialcomunisti con la necessaria risolutezza.
Lo statista trentino, dopo aver a lungo esitato e temporeggiato, si adattò di malavoglia ai suggerimenti della curia romana e del governo americano, rassegnandosi a rompere l’alleanza con i partiti della sinistra senza credere nel successo elettorale del partito di centro.
Frutto tangibile dell’arrendevolezza di De Gasperi nei confronti della sinistra marxista sono alcuni cedimenti dei redattori della carta costituzionale alle tesi dei giuristi socialcomunista (ad esempio la censura del nome di Dio).
Tali cedimenti furono il risultato di un compromesso che poteva essere evitato, dal momento che la composizione dell’assemblea costituente offriva la possibilità di dare vita a solide maggioranze di centrodestra (310 deputati su 556 eletti).
Di recente (12, 16, 17 e 18 febbraio 2004) il quotidiano “Il Giornale” ha pubblicato una serie di articoli a firma di autorevoli costituzionalisti e politologi (Francesco Perfetti, Federico Guiglia, Paolo Armaroli, Gaetano Quagliariello, Ferdinando Adornato) che smentiscono la leggenda della diga democristiana contro il comunismo, e dimostrano che De Gasperi affidò a Giuseppe Dossetti e a Giorgio La Pira l’incarico di elaborare una costituzione atta a non turbare le sinistre.
La sintonia era inscritta nel codice ideologico della Dc, cioè in “Umanesimo integrale”, il saggio in cui il cattolico liberale Jacques Maritain affermava l’esistenza di alcune verità cristiane operanti surrettiziamente nelle ideologie rivoluzionarie.
Cosa si deve pensare allora del drammatico duello tra Togliatti e De Gasperi, mito cattolico-liberale? Ed anzi tutto: quali erano le ragioni del (presunto) irriducibile contendere tra De Gasperi e Togliatti?
Giovanni Tassani, autore di un lucido commento all’avventura cattocomunista, ha dimostrato che Franco Rodano non era più vittima di un abbaglio giovanile, ma lucido funzionario di un progetto laico rivolto contro Pio XII, quando, dopo aver ascoltato le lezioni di Palmiro Togliatti e di Raffaele Mattioli [3] affermò il superamento della rivalità tra De Gasperi e Togliatti e il loro accordo su una politica laica.
Nel saggio su Rodano, che Tassani ha pubblicato nel lontano 1978, per le Dehoniane di Bologna, si trovano, dunque, le ragioni della diffidenza da più parti manifestata nei confronti del modello degasperiano.
L’esemplare biografia di Rodano rappresenta la metamorfosi dell’ingenua fantasticheria antimoderna dei cattocomunisti in strumento inconsapevole dell’aggressione laicista alla tradizione spirituale e morale del popolo italiano.
Il partito cattocomunista (PSC) si costituì, infatti, all’inizio degli anni quaranta, per l’iniziativa di alcuni giovani della borghesia romana, coinvolti nelle acrobatiche avventure di certo intellettualismo gesuitico, e perciò “Fermamente comunisti in politica, proclamava Franco Rodano nel 1944, ma cattolici, assolutamente e intransigentemente cattolici per la loro fede religiosa”.
La piissima, candida peripezia di un frequentatore della gesuitica “Scaletta”, quale era appunto Rodano, arrivava al punto di tentare la separazione della prassi comunista dalla filosofia materialistica di Marx, giudicata “Oltre che non indispensabile, dannosa per lo sviluppo di una corretta e incisiva politica rivoluzionaria”.
Rodano era intimamente convinto che solo i comunisti fossero interpreti delle istanze politiche dei cattolici refrattari alla reazione e alla suggestione modernista: “Questo significa che il problema politico del mondo cattolico non può essere risolto in Italia che dal Pci e cioè da tutta la classe operaia del nostro paese, non dalla sinistra cristiana e dallo strato cattolico del proletariato italiano”.
Considerata da questo singolare punto di vista, la politica del Pci assumeva – agli occhi di Rodano – l’aspetto di una radicale alternativa al laicismo liberal-massonico, alla sociologia anglosassone, e all’ingiustizia praticata dalla classe borghese modernizzante.
Il giudizio di Pio XII, che condannando ogni forma d’obbedienza comunista, riaffermava l’opposizione assoluta tra la fede cristiana e il comunismo negatore dei fondamenti stessi del diritto naturale [4], non era neppure preso in considerazione. Rodano non riusciva a staccare lo sguardo dalla consolante visione del Pci partito diverso.
Gianni Baget Bozzo, in un intervento pubblicato nel volume che raccoglie i saggi di Tassani, ha peraltro dimostrato che la dimensione politica rodaniana “Non ha mai avuto spunti di aggancio con la teoria delle istituzioni statuali da un lato, con la filosofia e la teologia dall’altro”.
Separati da Marx ma non indenne dalla suggestione millenarista, Rodano e gli altri militanti della sinistra cristiana non poterono fare altro che affluire disciplinatamente nel Pci. Nel dicembre del 1945, infatti, fu deciso, con voto quasi unanime, lo scioglimento del movimento della sinistra cristiana e l’adesione al partito di Togliatti.
La sottile astuzia di Togliatti, invece, aveva consigliato a Rodano di confluire nella Dc, dove le tesi dei cattocomunisti avrebbero dato più consistenti risultati a vantaggio della rivoluzione. Fu l’ostinata avversione del giovane Rodano a De Gasperi a decidere in senso contrario.
Ma dopo l’adesione al Pci, Rodano cominciò a subire l’influenza di Togliatti, le cui ragioni erano coincidenti con quelle del crociano Raffaele Mattioli: il vero ostacolo alla rivoluzione italiana non era De Gasperi, ma Pio XII, che in vista di un argine a difesa del diritto naturale, aggredito dall’immoralità emanata dai laboratori laicisti, aveva concepito e affidato alla cura di Luigi Gedda il progetto di un’alleanza con la destra moderata del cattolico Arturo Michelini.
Per Raffaele Mattioli (e per Palmiro Togliatti) il nemico da battere non era il gruppo democristiano che seguiva l’indirizzo liberale e paramodernistico, ma il partito romano, costituito dai curiali fedeli a Pio XII, che tentavano d’imporre alla Dc la politica dell’attenzione per le tesi della destra interclassista e patriottica.
Rodano convinto da Togliatti, da Mattioli e da don Giuseppe De Luca, modificò profondamente il suo giudizio su De Gasperi e su papa Benedetto Croce.
La strategia iniziatica di Mattioli – Parvus e di Togliatti non contemplava guadagni per il proletariato ma una radicale secolarizzazione e corruzione dell’Italia. La secolarizzazione era infatti il preambolo a quella rivoluzione culturale di segno anarchico e libertino, che doveva scatenarsi nel fatidico Sessantotto, quando le fondazioni dell’oligarchia iniziatica e finanziaria sostennero l’utopia francofortese-californiana.
Tassani chiarisce l’argomento che aveva convinto Rodano a riabilitare e in qualche modo a far propria la linea politica di Togliatti, quindi ad apprezzare apertamente il cattolicesimo liberale di De Gasperi: occorreva ripartire dal risorgimento, l’unica rivoluzione riuscita in Italia, quella liberal-democratica, laicista e borghese.
Era da quel punto che occorreva ripartire, dopo la parentesi fascista. Di qui l’unilaterale esaltazione del suo antagonista Benedetto Croce.
Ripartire dal recupero degli aspetti positivi della rivoluzione liberale attraverso la rilettura di Benedetto Croce, avrebbe reso possibile il pieno innesto nel moderno processo rivoluzionario delle masse.
Massimo Caprara ha dimostrato che questo recupero procedeva nella stessa direzione dei lavori compiuti dal raffinato esoterista cantrabigense Piero Sraffa su Gramsci e da Benedetto Croce su Marx (e su Gramsci).
Nel 1955, Rodano detterà la formula di questo recupero della tradizione liberale: “Il problema politico del nostro tempo è quello di una fuoriuscita dall’ordinamento liberal-liberalista, che si svolga in termini di organica compiutezza e di superiorità positiva: tale cioè da non cancellare e non perdere quell’aspetto fondamentale e preziosissimo di paragone e di concorrenza, che da quel sistema, appunto, viene formalmente garantito”.
La scena squisitamente adelphiana del 1974, con Enrico Berlinguer che festeggia, insieme con gli alleati risorgimentali (liberali, repubblicani, azionisti) la rivincita del risorgimento oligarchico sul popolo (popoulace) cattolico che aveva bocciato la legge divorzista, e su Mussolini, che aveva realizzato la conciliazione, chiarisce il significato ultimo e la finalità della politica imposta da Togliatti a Franco Rodano.
Da un opposto osservatorio, Tassani sostiene dunque la stessa tesi di Augusto Del Noce: in Italia il processo di secolarizzazione – la vera rivoluzione attuata nei cinquant’anni di vita repubblicana – è passato attraverso la Dc.
NOTE
[1] Cfr.: “Le ideologie politiche in Italia dalla Costituente al centrismo”, Einaudi, Torino 2003, pag. 27.
[2] Cfr.: “L’inaccettabilità del compromesso storico, Quadrivium, Genova 1980, pag. 17.
[3] Massimo Caprara ricorda che Mattioli, il gran banchiere crociano, si dichiarava emulo di quel Parvus che, nel 1917, organizzò il viaggio di Lenin a Pietroburgo.
[4] Cfr. anche le meditate conclusioni di Carlo Alberto Agnoli, secondo il quale “È evidente la stretta connessione tra comunismo e immoralismo: l’etica del piacere senza vincoli e senza limiti e la conseguente negazione della stabilità del legame tra i genitori e dei loro diritti-doveri verso i figli aprono la via all’abbandono dei giovani all’incondizionato dominio dello stato”: “Educazione sessuale, tappa massonica verso l’annientamento dell’uomo”, Civiltà, Brescia 1992, pag. 35.