FRATERNITA’ SAN PIO X. REALISMO E FEDE CATTOLICA NELLA POSIZIONE DI MONS. FELLAY – di Marco Bongi

di Marco Bongi


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La lettura dello scambio di lettere fra mons. Fellay e gli altri tre Vescovi della Fraternità San Pio X ha lasciato francamente interdetti molti fedeli che, pur sapendo di alcune diversità d’opinione all’interno della congregazione, non  immaginavano una divaricazione così profonda ed apparentemente quasi insanabile.

Con il passare dei giorni tuttavia sembra emergere una più diffusa consapevolezza di quanto il grave gesto compiuto dalla “talpa”, al di là delle intenzioni evidentemente destabilizzanti, dopo un momento di comprensibile sbandamento, stia in parte favorendo i “pompieri” ovvero coloro che, avendo toccato con mano il pericolo concreto di una drammatica lacerazione, si stanno dando da fare per ricondurre lo sgradevole episodio nell’alveo più realistico del legittimo confronto fra soggetti che comunque si riconoscono e rispettano.

E così, colpiti evidentemente dalla potenzialità dirompente del fatto, si sta cercando di gettare acqua sul fuoco da entrambe le parti. La cosa è positiva e rappresenta senz’altro un segno di maturità.

Già… perchè fra i possibili pericoli denunciati dai tre Vescovi, ossia quello di una FSSPX gradualmente “digerita” dal pantano romano e quello, denunciato da mons. Fellay, di una deriva para-sedevacantista e settaria, il modo più sicuro per favorirli entrambi sarebbe una spaccatura verticale della Fraternità. In  questo caso i “duri”, non più bilanciati dai “romani”, finirebbero per partire verso lidi difficilmente recuperabili mentre gli altri, indeboliti numericamente, correrebbero davvero il rischio di essere lentamente “metabolizzati” come è purtroppo accaduto con alcuni Istituti “ecclesia Dei”.

Come negare infatti i mali e i pericoli denunciati dai tre ma…, come d’altra parte, si può cattolicamente rifiutare l’abbraccio sinceramente offerto dal Vicario di Nostro Signore Gesù Cristo, da tutti e quattro riconosciuto come tale?

Ognuno dunque, almeno dal proprio punto di vista, ha delle ragioni ma, in tutta sincerità, credo che, contrariamente alle apparenze, sia mons. Fellay a mostrarsi più combattivo e meno arrendevole. Cercherò di spiegarmi:

i tre infatti, seppur a parole propongono la guerra ad oltranza e nessuna concessione al “nemico” modernista, poi, nella pratica, preferirebbero mantenere ben salde le loro truppe all’interno delle caserme; discorsi bellicosi, esercitazioni pratiche nei “poligoni di tiro”, grandi manovre militari sul prato antistante il seminario di Econe ma…, nella pratica,   nessuno scontro aperto, mai sporcarsi davvero le mani con la polvere del vero campo di battaglia.

Una posizione apparentemente fiera e combattiva, in pratica abbastanza comoda. Mons Fellay invece, con il fiuto dello stratega, ritiene che sia giunto il momento di affrontare il nemico in campo aperto e che, nella battaglia campale, si potrebbero trovare nuovi ed insperati alleati che, finchè si rimane chiusi in caserma, difficilmente verrebbero a cercarci.

Sarà giusta la sua valutazione delle forze in campo? Francamente non lo so. Sono tuttavia convinto che il teatro del confronto resti la Chiesa e che, quando un esercito ben organizzato, trova un varco per entrare in una città assediata, sarebbe un atteggiamento da pavidi quello di colui che non volesse oltrepassare le mura. Servono certo le cautele necessarie, bisogna stanare i “cecchini” sui tetti ma non entrare nella città significherebbe perdere in partenza.

Oltretutto, a quanto si sa, nessuno ci chiede cose cattive nè sul piano dottrinale nè su quello morale. Se un superiore dunque, anche se a volte esprime idee non totalmente condivisibili,  mi chiede di fare una cosa buona, io ho il dovere di farla. Ciò vale ovviamente ancor di più se tale Superiore è il Papa, ovvero il Vicario di Nostro Signore Gesù Cristo. Giudicare le sue intenzioni non è mio compito ma è cosa riservata a Dio.

Nella lettera di mons. Fellay inoltre si percepisce uno spirito missionario davvero Cattolico. I missionari infatti si sono sempre dovuti, in un certo senso, mescolare con le popolazioni dove essi erano inviati. Erano spesso pochi e deboli. Se i Papi avessero troppo temuto che le altre religioni li avrebbero potuti carpire, il Cristianesimo non si sarebbe espanso nel mondo e, prima o poi, si sarebbe certamente estinto.

Ritengo, in conclusione, che se i termini della questione sono realmente soltanto questi, e non c’è altro, al di là dei mugugni, alla fine tutti o quasi seguiranno mons. Fellay. Non fu del resto proprio mons. Alfonso de Galareta, alle ordinazioni sacerdotali di Econe nel 2011, ad affermare che “il poco bene che si può fare a Roma, vale assai di più del molto bene praticabile altrove?”

Una cosa pertanto sono gli sfoghi confidenziali e privati, tutt’altra le prese di posizione ufficiali.

L’incidente della settimana scorsa rimane dunque sicuramente grave ma la sua portata effettiva può, a ragion veduta, essere ridimensionata. Il mio parere personale, basato essenzialmente su impressioni e sensazioni, è che, al momento opportuno, la FSSPX saprà dimostrarsi ben più disciplinata e matura di quanto sperano certi mestatori, sia sul Tevere che sulla Senna o sul Tamigi.

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