FUOCO AMICO SULLA FAMIGLIA – di Patrizia Fermani

di Patrizia Fermani

 


smLa Chiesa viene accusata di ingerenza, dai custodi della ortodossia laica, di fronte a qualunque pronunciamento che essi ritengono dissonante con le proprie scelte politiche.

Ma si dà anche il caso che la stessa predicazione, per una serie di fortunate coincidenze, venga a soddisfare un tale interesse politico sicché, quello che ieri era ingerenza inaccettabile, oggi può essere ritenuto un proficuo e autorevole sostegno. È evidente, invece, come da simili ondeggiamenti di mero opportunismo, rimanga esente la Chiesa che, data la sua unica, costante, incomprimibile obbligazione di dichiarare la verità cristiana, non potrebbe nè dovrebbe discostarsi da questa in alcun caso, e rispetto ad alcun interlocutore. E la verità cristiana, com’è noto, riposa nella Scrittura e nella Tradizione della Chiesa, che il Magistero custodisce per assicurarne la trasmissione e l’univocità.

Su queste premesse, che dovrebbero a tutti risultare pacifiche, si innesta un evento tanto stupefacente da trasformare improvvisamente la Chiesa, agli occhi e alle orecchie della sempre agguerrita a mezzo stampa ortodossia laica, da nemica endemica ad amica condiscendente. Infatti, il neoeletto presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, ha pensato bene, come è noto, di manifestare in una conferenza stampa la propria adesione al riconoscimento giuridico delle unioni di fatto. La dichiarazione, troppo imprudente per non essere calcolata, andava a bilanciare, nella strategia curiale, la precedente ufficiale riaffermazione della intangibilità del matrimonio canonico. Come dire, una botta al cerchio e una alla botte: una mano a Pietro e una al mondo, per un galleggiamento sicuro o per un affondamento indolore. Sicché, la contraddizione formale, probabilmente non casuale, appare come il male minore di questa mortificante vicenda.

Monsignore, dunque, auspica quella innovazione, di definita colorazione politica, che, secondo un cliché già collaudato, aprirebbe la strada al definitivo insediamento nell’ordinamento italiano di ben altri stravolgimenti di istituti giuridici fondamentali. E tutto ciò in omaggio ad una una ideologia che intende il “diritto oggettivo” come sistema capace di tutelare ogni possibile pretesa, anche non rivestita di effettivo o potenziale rilievo sociale, e il “diritto soggettivo” quale interesse individuale tutelato indipendentemente dall’assunzione di adeguate responsabilità corrispondenti, cioè senza corredo di doveri, secondo il modello che fu fatto proprio, con le conseguenze note, dalla rivoluzione giacobina.

Il consorzio matrimoniale ottiene da sempre tutela giuridica perché gli sposi si impegnano ad adempiere dei precisi doveri reciproci, a contribuire al bene della collettività attraverso l’organizzazione del nucleo famigliare, la cura e l’educazione dei figli.

La regolamentazione di unioni extramatrimoniali avverrebbe invece “a titolo gratuito”, e senza che alcun interesse collettivo venga soddisfatto attraverso il legame di una obbligazione liberamente assunta.

Questa pretesa, se accolta, tradirebbe la stessa vocazione del diritto, introducendo un vulnus gravido di conseguenze ai criteri sui quali si costruiscono gli istituti giuridici. Infatti, o un sodalizio umano acquista rilevanza sociale in virtù degli scopi che si prefigge conformandosi al tipo matrimoniale, e allora ne diventa un inutile duplicato, oppure rivendica una tutela senza contropartita, e allora introduce la possibilità di una serie imprevedibile di pretese di tutela, ingiustificate perché socialmente inutili. D’altra parte,  dovrebbe risultare chiaro anche ai più sprovveduti che quella proposta nasconde il più vasto programma di scardinare proprio la già indebolita istituzione matrimoniale, in vista del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali e della tanto agognata possibilità di adottare minori.

Dunque era impensabile che, di quella proposta devastante per lo stesso istituto matrimoniale, potesse farsi promotore morale chi è stato preposto proprio alla sua difesa. Allora non rimane che ipotizzare o una ignoranza ingiustificata della intera questione, ovvero la volontaria introduzione di una ambivalenza, oscura nelle finalità e sicuramente distruttiva negli esiti. Come esemplarmente dimostra il plauso riscosso dalle affermazioni del Monsignore, che, per la parte da cui proviene, dovrebbe risultare, per lui stesso, molto imbarazzante…

Ma tutta la vicenda appare poi ancora più sorprendente quando si passa a considerare che la riforma auspicata si pone in pieno contrasto soprattutto con i principi religiosi che dovrebbero ispirare e guidare chi è stato eletto a custode della integrità degli istituti familiari. L’unione matrimoniale assume valore sacramentale in virtù della sua istituzione divina. Il consenso degli sposi, ministri del sacramento, costituisce l’adesione al progetto superiore che esclude ogni possibilità di qualsiasi accomodamento ad esigenze o inclinazioni individuali incompatibili con esso. Al di fuori del Sacramento liberamente accolto non c’è nè ci può essere consorzio che corrisponda ad un progetto trascendente.

Dunque, quando il pastore che deve custodire la famiglia secondo disegno superiore, propone allo Stato un modello in pieno contrasto con quell’unico che egli stesso dovrebbe predicare come esclusivo, la contraddizione si fa insuperabile. Infatti, se Monsignore parla da privato cittadino, dovrebbe quanto meno conoscere l’aporia giuridica e l’insidia culturale che si annida nella proposta politica che egli fa propria e dovrebbe verificare se essa è veramente compatibile con il proprio orizzonte etico, dal momento che anche in una prospettiva laica, come abbiamo visto, la inevitabile dissoluzione dell’istituto matrimoniale spalanca le porte alla ben più vasta dissoluzione di una intera società, lasciata in balia dei propri arbitrii. E a quel punto dovrebbe anche verificare la compatibilità con il proprio ministero che, presumibilmente, non ammette uno sdoppiamento interiore, e in ogni caso non ammette, né dovrebbe ammettere, uno sdoppiamento del  proprio annuncio.

La seconda ipotesi è che il Magistero ecclesiastico abbia ripudiato, nell’anno di grazia 2013, un fondamentale principio di fede, sicché Monsignore esprima un nuovo dogma che mette d’accordo la dottrina cristiana con il fascinoso spirito del tempo, che tante idilliache novità ha apportato al mondo, specie da un paio di secoli a questa parte. Insomma, Monsignore viene forse ad annunciarci in via informale quel prossimo totale abbraccio tra Chiesa e mondo, che solo pochi attardati cultori della ortodossia cattolica si ostinano anacronisticamente a pensare come fatale.

Rimane il fatto di tanti pronunciamenti papali, forti quanto chiari, che certamente  non offrono spazio a cedimenti di sorta, a compromessi o a dubbi. Come rimane il fatto di dichiarazioni formali di Monsignore sostanzialmente incompatibili con quelle informali. E allora tutto si può forse riassumere nel titolo di un acuto saggio di Prezzolini, che sembra un po’ ritrarre questa sconfortante vicenda: Cristo e/o Machiavelli. Con buona pace di chi, fidandosi più del primo che del secondo, continui a non apprezzare il sincretismo curiale.

Alla fine di queste divagazioni, giunge la notizia della rinuncia di Benedetto sedicesimo. Insieme a tanti altri, chi scrive riconosce l’incomparabile privilegio di vivere nel tempo della sua vita, di avere ricevuto la luce del suo pensiero e delle sue parole, di avere sentito da lui, come da nessuno, il conforto di uno spirito che ci può sorreggere e accompagnare in ogni momento della nostra esistenza con il dono del suo esserci. Al di là di ogni sofferenza privata o collettiva, sappiamo di avere già ricevuto una straordinaria eredità spirituale, di cui nessuno sarà mai abbastanza degno.

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