di Piero Nicola

 

E questa la chiamano libera informazione!               gheddafi

I giornalisti che pascono il pubblico con le notizie attraverso i canali maggiori e accreditati – i commenti fuori del coro contano come conta a briscola il due di picche – si sono dati ancora una volta allo sport dello sciacallaggio. Sappiamo che le informazioni, siano autentiche o fasulle o semiveridiche, vengono accompagnate da osservazioni. Un semplice aggettivo ha una forza talvolta dirompente. Chiamando un tale despota, bieco, mandante di azioni criminali, quando l’ascoltatore è stato predisposto a convincersene, ad acconsentire, il marchio d’infamia viene impresso a fuoco.

Ultimamente è stato questo il caso per Ben Alì, per Mubarak e per Gheddafi. Non interessa se in effetti costoro siano stati e siano tuttora responsabili di nefandezze, che in gran parte restano da assodare. Fino a ieri questi signori di popoli erano riguardati come alleati, come soci; con essi si sono stretti patti di collaborazione, e più che nel mero ambito commerciale. Li abbiamo ricevuti con gli onori, con formule di amicizia.

Caduti in disgrazia a casa propria, ritenuto che avessero perduto la possibilità di riprendersi, ancorché averli abbandonati al loro destino, sono stati accusati di ciò che era noto facessero anche in precedenza, allorché con loro si concludevano accordi preziosi. Tuttavia nessuno si è cosparso il capo di cenere per avere loro tributato il rispetto. I loro sudditi li hanno rifiutati? Se avevano il diritto di liberarsene, non per questo gli uomini che li guidarono sono cambiati. Che essi abbiano resistito, senza avere ragione, ciò non toglie che il loro atteggiamento restasse in linea con la loro politica di sempre.

Ma è poi vero che in Egitto la gente abbia deciso a maggioranza il cambiamento, che gli abitanti della Tripolitania non vogliano più Gheddafi? Quanto alla Cirenaica, saremmo noi disposti a lasciare andare il Sud Tirolo, qualora volesse passare all’Austria?

D’altronde molti imperi-mosaico ebbero vita migliore degli staterelli nazionali che se ne staccarono. Tutto lascia credere che i governi occidentali e le potenze del vasto mondo abbiano gettato a mare i capipopolo nordafricani per convenienza, con l’alibi della realpolitik. Sicché la scena appare di generale disonore. Né avrebbe potuto essere diversamente, in un mondo dove l’onore è stato reso obsoleto, oggetto di scherno, dove, a sproposito, ci si riempie la bocca di dignità umana. Altro che maramaldi! Maramaldo uccise un uomo morto tuttavia in battaglia. I maramaldi del Duemila non rischiano nulla, non sono neppure scesi in campo con le armi in pugno.

E allora ecco il solito annunciatore leggere, con tacito compiacimento, che un capo di stato notevolissimo ha accusato Gheddafi di aver bombardato il popolo insorto. Su questa base di giudizio un sempliciotto, che ragiona con la propria testa e provvisto di debita memoria, cadrebbe dalle nuvole. L’indignato al vertice dei massimi consessi internazionali si macchiò di uguali bombardamenti. Forse che c’è differenza – egli si chiede – tra il massacrare con bombe micidiali una città in un paese straniero e l’usare lo stesso trattamento ai ribelli domestici?

Ho sempre avuto un occhio di riguardo verso i sovrani cosiddetti assoluti e verso certi dittatori. Ammetterlo non mi costa un caso di coscienza. Il motivo è piano. Necessariamente, essi assumono la responsabilità dei loro atti e, venuto il momento, pagano di persona, a torto o a ragione. Gli altri capi e capetti, che decidono insieme per conto proprio o altrui, col consenso di un popolo più o meno consapevole, hanno buon gioco a scagionarsi. Possono vantarsi di ogni soperchieria, fino a tanto che non perdano una guerra, per cui, in seguito a un’invasione, subiscano il rovesciamento. Del che si è perduto il ricordo. E se ciò avvenisse, come in ogni caso di fallimento politico, possono sempre difendersi con lo scaricabarile. Il nemico peggiore non montò mai processi ai governanti democratici. Però non è detto che in futuro egli non debba imitarli.

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