Grande successo dello storico Luciano Garibaldi a Firenze – di Domenico Rosa

di Domenico Rosa

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fi 702bNell’auditorium della Regione Toscana nel pomeriggio di ieri, venerdì 7 febbraio, si è tenuta un’interessante conferenza sugli anni di piombo. E’ intervenuto lo storico e giornalista genovese Luciano Garibaldi, autore dei libri (entrambi editi da Ares) “Gli anni spezzati – Il Commisario Luigi Calabresi Medaglia d’oro” e “Il Giudice nella prigione delle Br”, scritto a quattro mani con Mario Sossi.

Le inchieste di Garibaldi hanno ispirato la fiction omonima andata in onda su Rai 1 nel gennaio scorso. Hanno partecipato alla manifestazione l’avvocato Ascanio Ruschi, presidente della Comunione Tradizionale, Pucci Cipriani, direttore di Controrivoluzione, Giovanni Donzelli, capogruppo di FdI in Regione.

Una serata di riflessione sul periodo più buio della Repubblica italiana all’insegna del ricordo di due servitori dello Stato che hanno pagato a caro prezzo la loro missione, il giudice Mario Sossi con il sequestro e la prigionia durata 35 giorni nel covo delle Brigate Rosse e il commissario Luigi Calabresi, assassinato da esponenti di Lotta Continua facenti capo all’intellettuale amico dei cani Adriano Sofri.

Nella prefazione a ‘Il Giudice’, Marcello Veneziani, non senza una certa classe, parla della trasformazione del movimento di estrema sinistra da Lotta Continua a Lobby Continua: “Belle intelligenze, non c’è che dire, ma anche spietati radicali, feroci nel linguaggio e duri nei servizi d’ordine, teorici convinti che ‘uccidere un fascista (o un poliziotto) non è reato’ che poi si disseminarono nella tv e nel giornalismo, nella sinistra ma anche nel centro-destra, come una specie trasversale di Lobby Continua”. Al contrario Garibaldi venne ripagato del suo lavoro di cronista di razza con l’allontanamento dal settimanale Gente di cui era caporedattore e mandato in riviste tipo Star bene, 4 ruote, Mani di Fata. Insomma un osso duro che era meglio tenere lontano dal giornalismo che conta.

Su Calabresi, ricorda Pucci Cipriani, venne messa a punto una campagna d’odio dopo la morte dell’anarchico Pino Pinelli, lanciatosi dalla finestra dello studio del commissario al IV piano della questura milanese. Il giornalista genovese, autore della prima intervista alla vedova Gemma Calabresi nel 1980, a 8 anni dalla morte di Luigi, dimostra nella sua inchiesta l’umanità e la professionalità del poliziotto, tra l’altro fervente cattolico. Smonta passo passo l’approssimazione di gran parte della stampa italiana dell’epoca che anziché affidarsi ai loro cronisti di nera ,che vedevano ogni giorno il commissario, cavalcarono le più bieche fantasticherie e teoremi improponibili. Sul corpo di Pinelli la perizia autoptica parla chiaro sin dall’inizio: non ci sono segni di violenza, nessun colpo di karatè. Come scriveranno per primi l’Avanti e L’Unità.

La campagna diffamatoria ha il suo picco più alto con il manifesto degli Ottocento intellettuali, il gotha della cultura italiana, apparso su L’Espresso del 13 giugno 1971, in cui si chiedeva la rimozione di Calabresi dal suo incarico e lo si dichiarava colpevole della morte di Pinelli. Tra gli altri ricordiamo Norberto Bobbio, Lucio Colletti, Paolo Mieli, Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Umberto Terracini, Carlo Rossella, Margherita Hack. L’appello arma la mano dei sicari di Lotta Continua, come ricorda il pentito Leonardo Marino (autista del killer del commissario Ovidio Bompressi) : “Nomi di quel calibro scendevano in lizza contro Calabresi? Era dunque l’obiettivo principale. Come se togliendo di mezzo lui, si fosse fatta la massima operazione possibile di giustizia”.

Una delle poche voci fuori dal coro è quella di Enzo Tortora (anche su di lui si abbatterà più tardi una campagna diffamatoria), amico fraterno di Garibaldi. L’inviato de La Nazione scrive sul quotidiano fiorentino il 18 maggio 1972, a poche ore dal delitto: “Io credo che il commissario Calabresi sia stato ucciso da piombo sì, ma anche dal piombo di certi giornali, che per lui avevano coniato da tempo, e in esclusiva, gli insulti più atroci, i marchi più roventi e infami, che avevano allestito un retroterra ideale per un delitto”.

Giovanni Donzelli torna indietro con la memoria a quando da giovane presidente del Fuan fiorentino organizzò un dibattito sull’omicidio Calabresi e sulla verità giudiziaria che inchiodava e inchioda Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani alle loro responsabilità di mandanti. Il consigliere scatenò l’ira dei collettivi che occuparono tutte le università, tranne quella di Architettura dove avevano il preside amico e non si preoccuparono più di tanto. Con uno stratagemma i giovani di destra riuscirono ad entrare e tenere la loro conferenza. “Di Sofri – commenta Donzelli – a Firenze non si può parlare”. “Eh no – precisa Pucci Cipriani – Bisogna rispettare le sentenze, quelle degli altri, però”.

Ancora oggi il clima è avvelenato e l’avvocato Ruschi ricorda le innumerevoli offese allo storico Garibaldi che girano on-line. Il genovese però sorride di gusto abituato a ben altre minacce, quelle di morte delle Brigate Rosse che non l’hanno mai fatto arretrare nemmeno di un millimetro. “Un tale mi ha definito – continua Garibaldi – credendo di indispettirmi ‘storico di matrice cattolica collocato all’estrema destra del Padre’. Un fiore all’occhiello” precisa il ‘vecchio’ cronista, suscitando l’ilarità generale del pubblico, che gli riserva un applauso lungo due minuti.

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e dopo la conferenza, un brindisi con gli amici di Comunione Tradizionale (clicca sulla foto per ingrandirla). Da sinistra: Pucci Cipriani (di profilo), Luciano Garibaldi, Domenico Rosa e Giovanni Dedola. La foto è stata scattata dall’Avv. Ascanio Ruschi, presidente di Comunione Tradizionale

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