“I FRUTTI DEL CONCILIO”. PADRE GIOVANNI CAVALCOLI SCRIVE A PIERO VASSALLO

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Sabato 14 u.s. abbiamo pubblicato l’articolo “I frutti del Concilio” di Piero Vassallo. Pubblichiamo ora queste riflessioni di P. Giovanni Cavalcoli, OP, mentre ringraziamo entrambi gli Autori per il prezioso contributo su un argomento di grande importanza per la Santa Chiesa e per la serenità dei fedeli.

PD

 

 

Carissimo Professor Vassallo,

12cil suo articolo su “I frutti del Concilio” mi ha fatto riflettere. Noto un tono di grande serietà e senso di responsabilità, preoccupazione autentica per la situazione ecclesiale, percezione dell’attuale malcelato disagio dottrinale, accompagnato da perniciose persistenti illusioni modernistiche, considerazioni che invano purtroppo vorrei sentire nella bocca dei vescovi e che invece spesso sento nel buon popolo di Dio, non solo negli illustri uomini di cultura come Lei, ma anche del comune fedele, oggetto del mio ministero sacerdotale, soprattutto nella predicazione e nel confessionale.

Mi ha colpito la libertà e l’anticonformismo della dichiarazione iniziale, da Lei citata, di Papa Benedetto circa i difetti di un importante documento del Concilio, quale laGaudium et Spes, senza per questo misconoscere naturalmente quanto di buono ha portato il Concilio, al quale del resto egli dette un contributo importante.

Sotto quest’ultimo aspetto, le analisi del prof. Pasqualucci, per quanto puntuali e spesso condivisibili, non sembrano tuttavia render sufficiente giustizia all’aspetto di sana novità portato dal Concilio e dal postconcilio sotto la guida della Chiesa, mentre nessun vero cattolico nega la falsificazione operata dai teologi modernisti.

L’infallibilismo modernista (quello che Paolo VI chiama “magistero parallelo”) è una vera piaga, perché coloro che osano relativizzare il dogmi definiti della Chiesa, hanno poi l’audacia di un’arrogante sicumera circa la loro interpretazione modernista del Concilio, che non temono di imporre in modo dogmatico, senza che dubitino minimamente circa il valore della loro interpretazione.

Certo, come hanno detto sempre i Papi del postconcilio, le dottrine del Concilio, benchè non contengano nessun dogma definito, vanno comunque accolte con piena docilità, laddove esse trattano, magari solo indirettamente, di dottrina di fede, senza turbarsi delle nuove formulazioni, le quali, ben lungi dal tradire il Magistero tradizionale, lo esplicitano e lo sviluppano in modo adatto alle nuove circostanze storiche.

Il nodo di fondo di tutta la questione e di tutto il disagio che ogni uomo di coscienza avverte nel campo della dottrina, resta la questione della modernità, che la Chiesa sino al Vaticano II non si era mai posta con tanta chiarezza e sistematicità. Mons. Gherardini si è compiaciuto di segnalare l’infinità di volte nelle quali nei testi conciliari appare l’aggettivo “nuovo”.

Il Concilio è veramente il progetto complessivo di una nuova cristianità. L’intento è stato quello di una vaglio critico della modernità per assumerne, in vista di una nuova evangelizzazione, alla luce delle immutabili verità di fede meglio conosciute ed esposte, gli aspetti validi sia dal punto di vista del linguaggio che dei contenuti, e dar così alla Chiesa un nuovo slancio missionario sulla base di una più approfondita autocoscienza della Chiesa da parte di se stessa.

L’eccesso di ottimismo o una certa faciloneria sociologistica nelle analisi del mondo moderno e l’assenza o scarsezza di opportune condanne degli errori, come sempre hanno fatto i Concili, e come notava la stesso Benedetto XVI, è un difetto di una tale evidenza, lampante dopo quarant’anni di chiarimenti, commenti, spiegazioni, discussioni, applicazioni, interpretazioni, insuccessi, che il negarlo appare ormai come segno di imperdonabile ignoranza o di mala fede ed è tuttora l’ultima spiaggia di un modernismo svampito e sempre meno credibile, che comincia a far grosse crepe e a non credere neppure in se stesso, sempre più rabbiosamente arroccato su posizioni difensive, benché tuttora detentore di un forte potere repressivo.

Sono convinto anch’io con Padre Fabro e molti altri studiosi di alto livello, come per esempio il Card. Siri, che tutta la crisi dottrinale e quindi morale presente, che si trascina da quarant’anni, si potrebbe raccogliere, anche se in modo un po’ semplicistico, attorno al nome fascinoso e fanfarone  di Rahner ed al riguardo La ringrazio per aver citato il mio libro, frutto di trent’anni di studi e di insegnamento della teologia nelle Facoltà ecclesiastiche.

Ma come rimediare oggi agli immensi danni procurati dal rahnerismo in quarant’anni di libera circolazione, tanto che esso appare ormai come una specie di paradigma del clima dell’attuale teologia e quindi, cosa molto grave, della formazione sacerdotale e quindi dei nuovi vescovi?

Come liberarci da questa consolidata koiné teologica, mai ufficialmente approvata dalla Chiesa ma purtroppo neppure mai condannata, che ormai ha invaso tutti gli ambienti ed ha formato una vera e propria classe di governo ecclesiale di stampo rahneriano? Come rimediare a un male del quale sono affetti proprio coloro che ci dovrebbero curare? Chi curerà i medici? Dobbiamo ancora scendere più in basso?

Certo in una qualunque società umana, se vengono meno le strutture sanitarie, non c’è niente da fare, se non ricostruirle, se ci si riesce. Ma nella Chiesa è diverso: accanto e al di sopra dei medici umani impotenti esiste il Medico divino: Cristo e lo Spirito Santo. Ormai non abbiamo altro rimedio, altra speranza che il ricorso alla potenza divina.

Certo resta il Papa, che nessuna forza infernale può vincere: ma il Papa ha bisogno di essere sostenuto e non tradito da coloro che più strettamente dovrebbero essere i suoi collaboratori. Nessuno tuttavia ci impedisce di stare accanto al Vicario di Cristo, anche nella nostra povertà, in questa lotta mortale contro il potere delle tenebre. Christus vincit, Christus imperat.

Occorrerà però una buona volta che la S.Sede in uno sforzo supremo di obbedienza allo Spirito di Cristo, ci liberi, con la sapienza che sempre l’ha caratterizzata, dal rahnerismo, non certo per tornare al preconcilio, come improvvidamente alcuni vorrebbero, ma per indicarci quella sana modernità che era negli intenti del Concilio e che il Concilio stesso non sempre ha saputo indicarci con totale chiarezza e coraggiosa linearità.

P. Giovanni Cavalcoli, OP

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