I PROSCRITTI – UN NUOVO SAGGIO DI PIERO VASSALLO E SERGIO PESSOT

Dai torchi della casa Novantico editrice in Pinerolo ( novantico@novantico.com ) è uscito “I proscritti”, saggio di Sergio Pessot e Piero Vassallo dedicato alla memoria dei genovesi militanti nella destra censurata e condannata al silenzio e all’oblio. Dall’introduzione riproduciamo il seguente brano, che rivela la “filosofia” soggiacente alla ricostruzione delle storia proibite.

PROSCRITTI

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La storia la scrivono i vincitori. Ovviamente e con autorità legittima. I giudizi agli atti della grande e vincente cultura non si possono contestare. Se non che anche i vinti hanno una storia, quantunque i vincitori la disconoscano e la aborriscano (peraltro autorevolmente). Intrigante e paradossale – da proscritti – è dunque la storia scritta dai vinti.

Intendiamoci: la giustizia della sconfitta non si discute per nessuna ragione al mondo. Cosa fatto capo ha. Chi è vinto giace e alla fine si dà pace.

Siamo sicuri, ad esempio, e non ci è consentito di dubitarne, che la civiltà persiana fu vile e feroce, come il Serse di Giacomo Leopardi. Punto è basta. Chi osa dubitare di Leopardi? La verità è la massiccia verità dei vincitori storici e dei loro eredi spirituali.

Malgrado Leopardi anche i persiani hanno una storia. Una storia leggera e sfuggente e graffiata dall’unghia della sfortuna, quella che contempla la vicenda dei persiani, barbari vinti, che mostrano ai greci – civili ma strutturalmente etnicisti – le vie dell’universalismo.

E’ noto, peraltro, che i greci, quasi ripetendo la parabola dei maestri persiani di Alessandro, catturati, catturarono la mente dei romani. Storie non prive di una singolare ironica, indicibile bellezza, a ben vedere, quelle scritte nel triangolo greco-persiano-romano.

In Italia, la guerra civile ha generato storie di vite parallele. Le biografie dei fratelli Antonio e Mario Gramsci, ad esempio: il comunista Antonio morì nella clinica Qusisana, dove era stato ricoverato grazie all’intervento del fratello fascista Mario Gramsci (Sorgòno 1893- Varese 1947).

Mario era il fratello fascista del fondatore del comunismo italiano. Secondo la vulgata il figlio di un dio minore. Ma intervenne a favore del fratello comunista e maggiore secondo l’anagrafe e secondo gli storici di regime, dopo aver rimosso la memoria delle bastonate ricevute nel 1921 dai ruvidi compagni di Antonio.

Il suo Dio non doveva essere poi tanto minore se Mario morì – repubblichino senza conforti, dopo una penosa sosta nei campi di concentramento australiani. Dove il bastone e il digiuno forzato erano gli ordinari strumenti della rieducazione degli italiani irriducibili al verbo anglosassone.

I libri stampati per l’edificazione degli studenti medi, dedicano pagine luminose ad Antonio, antifascista irriducibile e fondatore dell’egemonia culturale che declina il suo cognome. Non dedicano neppure una parola al fratello della vergogna. Silenzio sui suoi scritti, peraltro opportunamente demonizzati e dati alle fiamme. Silenzio sul suo alto e ostinato valore di soldato, volontario di tre guerre. Silenzio sulle sue attività di politico onesto, sulle sue decorazioni. Silenzio sulla sua fedeltà all’ideale perdente.

Ai giorni nostri Giampaolo Pansa ha riscritto le storie proibite dei fascisti morti ammazzati e/o sepolti dal silenzio indignato. Si può citare, con qualche cautela, un episodio eloquente anche se marginale della storia italiana: la sfortunata avventura del giovane fascista valdostano Piero Sassara.  Arruolato da un contrario destino, il fascista Piero Sassara marciava con commilitoni già proscritti dalla storia, quando sulla colonna si strinse il cerchio di preponderanti forze partigiane.

I vincitori hanno certezze morali indeclinabili. Un drammaturgo greco dimostrerebbe che la giustizia lascia il campo dei vincitori, se la nostra attenzione al teatro non fosse distratta dalle sentenze degli intellettuali di alto grido.

Ad ogni modo solo Dio conosce i contenuti che attraversavano la mobile mente della giustizia, quando Piero Sassara e gli altri prigionieri furono messi al muro e lestamente fucilati. A proposito di attraversamenti, è stabilito che a Sassara un proiettile passò – da zigomo a zigomo – attraverso la faccia girata dall’orrore, che lo possedeva nel momento  della verità quasi suprema: orrore della morte bieca e orrorosa inopportunità della fede inattuale che gli suggerì di gridare “Viva l’Italia e viva il Duce!”

I giustizieri, ispezionata la sua faccia spaventosamente insanguinata, credettero che Sassara fosse morto come gli altri fascisti e si allontanarono gongolando dal muro della ratta giustizia. Se non che nella scena irruppe un testimone che, nascosto, aveva assistito alla fucilazione: notò che Piero Sassara respirava ancora e di corsa si recò (in preda dell’agitazione) a lanciare l’allarme nel luogo deputato, secondo lui non la sede del commando partigiano attrezzata allo sparo del colpo di grazia, ma il più vicino covo fascista.

Mentre annunciava il massacro avvenuto, il concitato testimone spiegò al piantone fascista che Piero Sassara aveva affrontato il plotone d’esecuzione con dignità e coraggio, inneggiando all’Italia e al Duce. Informato, il comandante delle camicie nere propose ai superiori che a Sassara fosse attribuita la più alta decorazione.

Era il marzo del 1945 e sulle gerarchie del fascismo repubblicano incombevano altri e più urgenti problemi. A ad ogni modo una medaglia repubblichina non avrebbe giovato alla futura carriera di Piero Sassara. Anzi.

Piero Sassara sopravvisse. Obliquamente e di soppiatto la vicenda del vinto entrò nella storia dei vincitori. Irruppe dalla splendida porta dell’ironia, che è sempre aperta, sia che bussino i persiani e i greci, sia che a bussare, con la camicia della sfortuna nera, sia l’oscuro e declassato eroismo di Piero Sassara.

La storia non sopporta il peso delle negazioni perdenti, ma non riesce a tacitare le verità infiltrate e nascoste negli errori e nelle contraddizioni dei vinti. La pietà del pensiero è il motore clandestino degli storici a futura memoria. La pietà pulsa segretamente nel cuore delle biografie dedicate ai proscritti e fa coincidere il loro resto con il disegno della provvidenza.

La pietà del pensiero consente di comprendere che una parte degli ideali professati dai vinti passa invisibilmente nel tesoro dei vincitori storici. Frammenti dell’ideale persiano sono ereditati dai greci, preziose schegge del pensiero greco passano nel patrimonio dei vincenti romani. Alcune intuizioni dei fascisti sono finite nella riluttante costituzione antifascista. Gocce carsiche dell’umanesimo gentiliano inquinano il fiume solenne del sindacalismo comunista.

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