di Piero Vassallo
Durante la fase scientifica della rivoluzione, l’apparato sovietico professava una fede intransigente nella ragione e perciò provvedeva alla lesta diagnosi e alla severa segregazione psichiatrica dei dissidenti e dei deviazionisti.
Nell’arcipelago Gulag, la diagnosticata follia del nemico reazionario testimoniava continuamente la superiorità della mente sovietica.
Dopo la caduta del muro mentale a Berlino, insorsero i distruttori della dialettica illuminista, i quali condussero i rivoluzionari nei territori magici, un tempo assegnati alla reazione in agguato perpetuo.
Preambolo del viaggio nelle regioni dell’irrazionalità fu la contestazione impropriamente detta giovanile. Correva il maggio radioso del 1968 e prestigiose case editrici cominciarono a rovesciare sul mercato manuali specialistici e opuscoli divulgativi, dove il malato di mente era esaltato quale testimone del disagio sociale dunque quale profeta della rivoluzione.
Non un delirante da camicia di forza, ma James Hillman, in veste di presidente dell’autorevole e stimata fondazione Carl Jung, sostenne (nelle pagine di libri ultimamente pubblicati dal più aristocratico e raffinato editore di sinistra) che le malattie mentali sono oracoli divini.
Non deve dunque stupire che un devoto lettore di Hillman, l’escandescente Umberto Galimberti, abbia sostenuto, nelle seriose colonne di “Repubblica”, la necessità di condurre una spietata lotta contro l’uso degli psicofarmaci, che contrastano la malattia o ne limitano il danno.
Il filo logico teso da Galimberti è inflessibile: gli psicofarmaci sono una camicia di forza, che trattiene la malattia. Se non che la malattia è divina. Si deve pertanto vietare l’applicazione della camicia di forza agli dèi.
Guai a chi prescrive psicofarmaci. Nell’età della sinistra ulteriore, il potere culturale sostituì il filo spinato con il filo “logico”.
Il sottobosco dei maghi neri, bianchi e arcobaleno, infine, giubilò e gongolò perché Roberto Calasso, l’illuminato editore, dopo aver avvolto in delicate copertine color pastello i cabalistici ectoplasmi di René Guénon, aveva pubblicato, ad uso della diaspora progressista, i trattati magici di Giordano Bruno. Milleseicento pagine di elucubrazioni tumultuose e alienanti.
Accreditato interprete del pensiero psicopatologico in libera uscita, il diluviante Umberto Galimberti, dalle pagine della sussiegosa “Repubblica”, quasi sviluppando le divagazioni di Roberto Calasso (cfr. la prefazione a “Ecce homo”, Adelphi, Milano 1968) sulla volontaria fuga di Nietzsche nella follia, fece udire il nuovo grido di battaglia: “Il delirio dei folli è l’ultimo rifugio per quanti non possono accettare la perpetuazione delle pratiche sostanzialmente vuote della vita normale”.
Archiviato il vecchio Karl Marx, l’alienazione si combatte … alienandosi. Detto ciò la cultura della rivoluzione si arrese alla malattia e diventò il cuore palpitante e deragliante della futura società.
L’Utopia psicopatica occupò la scena abbandonata dalla gloriosa armata rossa e rappresentò il naturale orizzonte della condizione umana: “Ragione e follia, sentenziò Galimberti, per quanti sforzi facciamo per separarle, in realtà abitano lo stesso mondo”.
Gli studiosi ancora saldi sui binari della ragione hanno dimostrato, tuttavia, che gli antichi preamboli della psico-rivoluzione, i fondamentali trattati magici di Giordano Bruno, sono scartafacci dove sono intrecciate millanterie e fantasticherie.
Nelle fumose pagine del precursore nolano, frate deviante in ogni direzione, perfino l’indiscussa autorità laica di Francis Yeats fu costretta a vedere l’incontro dell’antica superstizione pagana con i disturbi della mente apostata.
In base alle teorie esposte nei trattati di magia ermetica, Bruno dichiarava, oltre al resto, di essere in grado di entrare nel pensiero altrui per piegarlo al proprio piacimento.
Affascinati dall’esibizione di una memoria prodigiosa e irretiti da un’eloquenza straripante, i principi protestanti di mezza Europa avevano versato nelle tasche del magico frate robuste cifre. In cambio fu loro promessa la rivelazione di un “segreto” che conferiva poteri favolosi.
Promessa vana, onde la fuga dell’imbroglione iniziatico e le disavventure che lo storico Matteo D’Amico ha narrato diffusamente nella pregevole biografia bruniana, edita in Casale Monferrato da Piemme.
Fortunosamente, Giordano Bruno sfuggì alla minacciosa delusione della truffata oligarchia protestante. Purtroppo conservò la persuasione di possedere, oltre all’immunità, un’invincibile arma mentale. Accompagnato dalla fatale convinzione sull’efficacia del “segreto”, scese in Italia, per plagiare il papa. Progettava, infatti, di trasformare la chiesa cattolica nello strumento di una cervellotica rivoluzione neopagana.
Un papa refrattario alla magia e ostile al paganesimo e un drastico inquisitore (il cardinale Roberto Bellarmino) gli sbarrarono la strada, dimostrando, purtroppo, l’amara verità dell’antico proverbio intorno allo spaccio della pietra filosofale: truffa i fanti ma lascia stare i santi.
L’opinione degli storici, secondo i quali lo spaventoso e feroce esito del viaggio italiano di Bruno si sarebbe evitato se la cultura del Seicento avesse conosciuto l’arte delle perizie psichiatriche, non ha trattenuto gli aspiranti maghi al lavoro apologetico nella redazione di “Repubblica”.
Risolta la gara tra l’istinto che vuole denunciare il c. d. oscurantismo cattolico e il furore anticattolico che suggerisce il tuffo nelle braccia delle stregonerie neopagane, i redattori del quotidiano illuminista al lumicino scelsero la magia filosofante del frate.
La preziosa miscela di panteismo e illusionismo rapì Umberto Galimberti, psicoanalista egemone nella redazione di “Repubblica”, e lo fece cadere in ec-stasi. E nell’ecstasi il discepolo del nolano dettò una memorabile sentenza: “La magia di Bruno si colloca in quella sotterranea corrente di pensiero, il pensiero per immagini, che, anche se è risultato perdente in Occidente, continua ad essere la fonte del pensare” (“Repubblica”, 11 febbraio 2001).
Il pensiero per immagini, figure e simboli, oltre che uno schema della cabala medievale eterodossa (si pensi allo Zohar) è una fissazione circolante nell’infelice sottobosco culturale dove infuria lo spaccio degli allucinogeni.
Nella redazione di una rivista trionfalmente collocata nell’area guénoniana, dominava intanto un filosofo immaginario, secondo il quale il pensiero è annullato e sostituito da una figura elettrica: l’energumeno nerboruto e nudo, presumibilmente di fede pagana, che tende la spada al cielo, attirando il fulmine e scaricandone a terra la celeste potenza.
Probabilmente la fonte del pensatore fulmineo si trovava in una curiosa pagina scritta dall’iniziato René Guénon nel 1931, per definire la tradizione segreta e a-logica del pitagorismo: “Possiamo affermare che l’insegnamento silenzioso usava figure, simboli e altri mezzi che avevano lo scopo di portare l’uomo a stati interiori che gli permettessero di giungere gradualmente alla conoscenza reale o saggezza” (Cfr.: “Conosci te stesso”, in “Il Demiurgo”, Adelphi, Milano 2007, pag. 76).
L’imbarazzante precedente costituito dalla dal cacciatore di fulmini, non ha trattenuto Galimberti, conquistato dal pensiero per immagini al punto di dichiarare che esso è il termine della discussione sull’illuminismo “opportunamente inaugurata da Scalfari”.
Giordano Bruno, è diventato l’avversario di quel pensiero occidentale, quello che ha affermato il principio di identità e non contraddizione.
Mentre il lettore di “Repubblica”, in attesa di sapere se Scalfari appartiene alla scolastica dei fulminati, contempla una pioggia di ideogrammi ipercinetici, Galimberti continua a combinare caratteri latini e pensieri cuneiformi, ovvero a sostenere che alla filosofia occidentale (personificata dal fascista Aristotele) resistettero Gnosticismo e Neoplatonismo. Finché sant’Agostino, “logico e retore saldò il cristianesimo alla logica greca”.
Immerso nella luce del pensiero magico, Galimberti avanza fino al punto in cui l’opera di sant’Agostino sembra il preambolo della tecnocrazia occidentale e del berlusconismo.
Giordano Bruno, in definitiva, rappresenterebbe la radiosa riemersione dello gnosticismo e del neoplatonismo, in unione ipostatica, “per quanto conflittuali siano state queste due forme di pensiero”.
In questo caso Galimberti non ebbe torto: di là della facile lettura antignostica delle Enneadi plotiniane, il pensiero neoplatonico presenta curiose analogie con i miti gnostici intorno al pleroma.
Si tratta dei miti che attuano un piano culturale inteso alla svalutazione dell’essere e in ultima analisi all’oblio dell’Essere sommo dei cristiani.
Étienne Gilson ha dimostrato, appunto, che il cuore del neoplatonismo è la svalutazione dell’essere: “Diventa perfettamente chiaro che l’essere non è più principio primo, ma occupa invece una posizione seconda nell’insieme dei princìpi. Plotino stesso ha chiaramente definito la sua dottrina su questo punto, dicendo che è perché nulla è in esso, che tutto viene da esso; e che perché l’essere sia se stesso non è l’essere ma il creatore dell’essere; e l’essere è come il suo primogenito” (Cfr.: Étienne Gilson, “L’essere e l’essenza”, a cura di Antonio Livi, Massimo editore, Milano 1988, pag. 34).
Si fece un passo avanti ed ecco apparire la risposta a tutti gli enigmi: al pensiero per immagini “si accede non con architetture logiche ma con pratiche erotiche”.
Nella illuminata redazione di “Repubblica”, Galimberti celebrò il matrimonio di Eros e Delirio.
All’improvviso Galimberti sfondò la porta dell’effervescenza erotica che introduce alla psichiatria – che “può tutto spiegare senza nulla comprendere”.
Ci si chiede: verso quali soluzioni sono indirizzati i cortei pittoreschi e festosi, che oltrepassano il socialismo scientifico e celebrano la rivoluzione sessuale?
Sulla natura delle delizie, che attraggono le colonne rivoluzionarie marcianti oltre il socialismo classico, un chiarimento è offerto dalle “Memorie di un malato di nervi”, immancabilmente pubblicate dalla sontuosa casa editrice Adelphi, benemerita nel campo della diffusione di pensieri eccentrici.
Scritte nella belle époque da un famoso paranoico germanico, il dottor Daniel Paul Schreber, le “Memorie” condensano, in una leggiadra esclamazione la dottrina ultimamente rivelata dagli oracoli della rivoluzione: “per un uomo è bellissimo diventare una donna che soggiace alla copula” (Citato da Roberto Calasso, cfr.: “L’impuro folle”, Adelphi, Milano 19802, pag. 46). Soggiacenza che Giordano Bruno non disdegnava…
Quando non fosse nota la cupa austerità di “Repubblica” si potrebbe pensare che la cosa stesse per prendere un’ allarmante piega ridolinesca.
Ma Galimberti eluse l’insidia e dettò un serioso programma filosofico: “Smascherare quella sotterranea parentela che, al di là delle dispute, lega la tradizione cristiana all’agnosticismo scientifico. L’una e l’altra, infatti, condividono la persuasione che l’uomo, disponendo dell’anima, come vuole la religione, o della facoltà razionale, come vuole la scienza, è tra gli enti di natura l’ente privilegiato che può sottomettere a sé tutte le cose”.
Adesso la magia rappresenta l’ultimo destino della sinistra: bidibibadibibù, la ragione non c’è più, la religione è superata, la tecnica sta per morire. Rimane il delirio, festante nella capovolta sessualità.
Forse gli avversari dell’Occidente berlusconiano viaggiano sul trenino di Luxuria & Vendola, leggendo “Repubblica”. Forse sognano nel fumo delle canne. Forse e senza forse stanno facendo il verso alla zanzara della famosa barzelletta goliardica, narrata dal re dell’avanspettacolo, Fanfulla.
1 commento su “I RETROSCENA MAGICI DEI PENSIERI CONTRO BERLUSCONI – di Piero Vassallo”
Curioso vedere nell’ Adelphi un baluardo del sinistrume:i cui riferimenti classici sono appunto Nietzsche, Junger, Heidegger, Severino, Guénon, Zolla ecc. Quanto alla devozione di Galimberti verso Hillman, non so dove la si possa supporre, stanti le decise critiche al determinismo culturale che deriverebbe dall’ irrigidita teoria archetipica di Hillman.