Una premessa è doverosa: sempre più scienziati si ribellano al pensiero unico della presunta origine antropica del presunto riscaldamento globale. Dopo il premio Nobel Carlo Rubbia che in un’audizione alle Commissioni di Camera e Senato aveva scientificamente smentito la bufala degli eco-terroristi, dopo il professor Antonino Zichichi che ha dichiarato che “attribuire alla responsabilità umana il surriscaldamento globale è un’enormità senza alcun fondamento: puro inquinamento culturale”, dopo il professor Franco Prodi (sì, il fratello), che ha osato affermare “al momento, nessuna ricerca scientifica stabilisce una relazione certa tra le attività dell’uomo e il riscaldamento globale” e, peggio: “con Greta siamo di fronte a un abbaglio mondiale”, è recente l’appello di 800 scienziati (climatologi, fisici, geologi e di altre discipline) di 18 paesi, tra i quali diversi italiani, a non cadere nei deliri ambientalisti sul riscaldamento globale di origine antropica. In Italia, l’appello è stato inviato anche al Presidente della Repubblica e al Vaticano.

Tuttavia, l’attività terroristica degli ambientalisti ha ormai conquistato i più alti livelli e si è imposta anche con la censura, con il taglio dei fondi ai dissenzienti, persino con la violenza. La cosiddetta “economia verde” è ormai una (costosissima) imposizione e la totalitaria e menzognera ideologia ambientalista spadroneggia all’ONU, nell’Unione Europea, nei consessi finanziari. Spiega a Libero il geologo Umberto Crescenti, uno dei firmatari dell’appello: “L’economia verde è un business globale. L’alta finanza ci ha scommesso e se sei un ricercatore allineato ottieni finanziamenti, altrimenti è difficile anche diffondere le tue opinioni. Gli ambientalisti cercano di impedire i nostri congressi. A volte ci è voluta persino la polizia per allontanarli.”

L’invasività della dittatura intellettuale ecologista la si può percepire anche in fatterelli che possono sembrare insignificanti. Il CIPE, Comitato Interministeriale per la Politica Economica è un organismo governativo assolutamente inutile, un relitto, un fossile degli anni ’60 e dell’infatuazione democristiana di una ideologia economica semi-sovietica fatta di pianificazione, programmazione, piani quinquennali, IRI, nazionalizzazioni selvagge, dittatura sindacale. Questo ente da museo delle dottrine economiche cambierà nome: si chiamerà Comitato Interministeriale per la Politica Economica e lo Sviluppo Sostenibile. “Sviluppo sostenibile che per noi rappresenta una priorità” ha dichiarato uno sconosciutissimo Sottosegretario di Stato alla Presidenza Riccardo Fraccaro, aggiungendo che “il nostro obiettivo è quello di rafforzare il coordinamento delle politiche pubbliche per raggiungere gli obiettivi in materia di sviluppo sostenibile indicati all’Onu.”

Ora, sarebbe interessante se un bambinello uscito della sempre istruttiva fiaba di Andersen “I vestiti nuovi dell’Imperatore” chiedesse “ma cosa vuol dire sostenibilità?” Già, perché nessuno ce l’ha mai spiegato. “Sostenibile” è una di quelle parole-trappola, di quelle parole-cavallo-di-Troia, come “equosolidale”, “economia circolare” o “inclusivo” inventate per far passare qualsiasi nequizia. Viene citato l’ONU con i suoi Sdg: i Sustainable (appunto) development goal che prevedono, con onusiana vaghezza e inconcretezza, la “fine di ogni forma di povertà e della fame”, “la salute e il benessere per tutti”, “un’educazione di qualità, equa e inclusiva”, “la riduzione dell’ineguaglianza”, “pace e giustizia” e, non poteva mancare in nome della correttezza politica, “raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”. Qualcuno avrebbe detto: “vasto programma”.

Ma la più entusiasticamente scatenata nella sciamanica danza della pioggia ecologista è l’Unione Europea che ha emanato un programma vincolante per i membri denominato “Green Deal europeo”, il cui fanatismo ambientalista s’intravvede già dall’incipit del documento di presentazione: “I cambiamenti climatici e il degrado ambientale sono una minaccia enorme per l’Europa e il mondo.” Molteplici sono gli obiettivi di questo Green Deal europeo, stabiliti in un piano dettagliato che prevede che “nel 2050 non siano più generate emissioni nette di gas serra, che la crescita economica sia dissociata dall’uso delle risorse” (che cosa voglia dire non è chiarito neppure nel testo) e la minaccia che “nessuna persona e nessun luogo sia trascurato.” Così commenta i contenuti di questa imposizione il giornalista Dario Fertilio: “Il tutto in una logica di un piano trentennale di sviluppo da far invidia a quelli staliniani.

Con l’obiettivo della “neutralità climatica” a base di greenbond e fondi di investimento “verdi”, dazi “climatici” sul cemento e sull’acciaio (cioè affossando definitivamente settori già boccheggianti), riducendo i crediti e azzerando gli aiuti per il trasporto aereo (già sull’orlo del fallimento) e istituendo tasse sul traffico.” In effetti la parte che riguarda la mobilità è la più minacciosa per il nostro stile di vita, ispirata alla più cupa ideologia descritta della menzognera ed orwelliana espressione “decrescita felice” e che lascia intravvedere un odio tipicamente socialista per la libertà di movimento. Aumento dei prezzi dei trasporti (“devono riflettere l’impatto sull’ambiente”, in omaggio alle contestatissime teorie sulle cosiddette “esternalità”), ancora più stringenti standard sulle emissioni delle auto, vincoli alle attività aeree, marittime e portuali. Egualmente minacciosi i nuovi obblighi in agricoltura e nella pesca, attività macroeconomiche nelle quali le eccellenze italiane, spesso artigianali e di elevata qualità, sono da sempre nel mirino dell’Unione Europea che privilegia le agricolture industriali del nord e i loro prodotti standardizzati. I costi di questo piano sovietico saranno elevatissimi: si parla di un costo annuo pari all’1,5% del Pil, circa 270 miliardi di euro annui.

Il professor Francesco Battaglia, uno dei firmatari dell’appello degli 800 scienziati, storico combattente contro la bufala dei cambiamenti climatici di origine antropica, denuncia: È un affare da un miliardo al giorno. La presidente della Commissione UE ha detto di volersi impegnare affinché si mettano 300 miliardi all’anno per dieci anni sull’ambiente. Una pacchia per chi intascherà quei soldi, ma un disastro per noi”. Ovviamente il nemico principale rimane il combustibile fossile che, oltre a essere molto meno inquinante di quanto la propaganda verde voglia farci credere, è, allo stato, difficilmente sostituibile, se non al prezzo di una drastica riduzione della qualità della vita, che poi è l’obiettivo dei sadici sostenitori della “decrescita felice”. Illuminante, a questo proposito, un documentatissimo libro di Alex Epstain, fondatore del Center for Industrial Progress, dal titolo: In difesa dei combustibili fossili, edito in Italia da IBL. Questo piano poi è una pistola puntata contro i riottosi Paesi del gruppo di Visegrad, specie della Polonia che vuole continuare ad usare il suo carbone nazionale.

Non ci saranno libertà per autonomie nazionali: il diktat della UE è chiarissimo: “La Commissione e gli Stati membri devono inoltre garantire che le politiche e la normativa siano applicate correttamente e producano risultati.” Poi le minacce: “Il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali sarà fondamentale per fotografare la situazione in ciascuno Stato membro.” Non solo: “nuovi meccanismi di monitoraggio” e “un nuovo quadro di controllo” verranno posti in essere.

Nel frattempo, il perverso combinato disposto dell’European Green Deal e del discusso Ricovery Fund ha già prodotto una nuova, pesantissima plastic tax europea che si riverbererà sui prezzi al dettaglio in un mercato retail già in picchiata per il coprifuoco governativo, tassa che non metterà a tacere l’isteria plasticofobica degli ecologisti ma appesantirà ancor di più i prezzi dei prodotti.

L’European Green Deal è una vittoria delle feroci, aggressive e ricchissime lobby ambientaliste che imperversano a Bruxelles: documenta Antonio Grizzuti su La Verità che i lobbisti verdi (3.120 individui per 2.206 pass al Parlamento Europeo) hanno tenuto, negli ultimi anni, circa 2.400 meeting di “pressione” con i commissari UE. Tra le associazioni più attive, il WWF, Greenpeace (che dispone di una flotta con cui assalta pescherecci e piattaforme petrolifere) e il Climat Action Network. Queste tre associazioni, da sole, spendono più di 5 milioni di euro l’anno per le loro attività di “pressione” a Bruxelles.

Ciò che tuttavia è più inquietante in assoluto è la rapidissima conversione ecologista della potentissima grande finanza internazionale. Intervistato da Libero (“L’alta finanza punta a fare i soldi col verde a spese dei poveri”), assieme ai già citati Umberto Crescenti e Franco Battaglia, il climatologo Nicola Scafetta, un altro degli 800 firmatari dell’appello, ha affermato: “Il sospetto è che sia in corso un tentativo di sfruttare la paura del clima per generare un catastrofismo che agevoli un cambiamento di modello economico e sociale nella direzione in cui hanno investito alta finanza e multinazionali.”

Pochi conoscono l’esistenza di un “sodalizio”, definiamolo così, denominato Climat Action 100+, una lobby, un gruppo di pressione, una sorta di loggia paramassonica che raggruppa 370 società d’investimento, società finanziarie, banche. Aderiscono colossi come State Street, Vanguard Group e recentemente ha aderito anche la più grande società al mondo d’investimento, BlackRock, che gestisce quasi 7 mila miliardi di dollari di fondi e investimenti. Con quest’ultimo apporto questa “cupola” finanziaria raggiunge i 41 mila miliardi di dollari. L’ingresso di BlackRock ha rivitalizzato l’attivismo ambientalista del sodalizio che vuole obbligare le aziende ad accettare costosissime politiche ecologiste. Larry Fink, CEO di BlackRock usa toni non propriamente amichevoli verso le imprese restie a convertirsi al dogma del riscaldamento globale. Scrive il giornalista Maurizio Blondet: “Vuole, il Fink, che tutte le industrie e i trasporti del pianeta escano dal carbone […] E si faccia attenzione al tono con cui si mette alla testa del “movimento ambientalista globale”: di comando. Anzi di intimazione e minaccia: si rivolge ai manager delle mille aziende nei cui consigli d’amministrazione siede BlackRock come “investitore” e intima: “Siate più verdi o vi votiamo contro.” E sentenzia: “Il cambiamento climatico sta rivoluzionando la finanza globale”. Sussurra prudente Riccardo Barlaam, corrispondente da New York de Il Sole 24 Ore in merito alle aziende intimidite da questi lobbisti miliardari e potentissimi: “Il rischio è quello di essere scartati, di non rientrare più nei portfolio dei grandi investitori internazionali.” Al Climat Action 100+ si affianca l’ancor più potente Network for Greening and Financial System, una rete di 69 tra banche centrali e autorità di regolamentazione, il cui scopo è quello di “rinforzare il ruolo del sistema finanziario di gestire i rischi e di mobilitare capitali per investimenti verdi e con bassi livelli di carbone nel più ampio contesto di uno sviluppo ambientalmente sostenibile.”

L’ONU si è dato un nuovo responsabile per l’azione climatica e la finanza. È tale Mark Carney, membro permanente del Direttivo del Forum di Davos. Guarda caso, costui era il Governatore della Banca d’Inghilterra. Il suo tono nei confronti delle aziende è solo un po’ più felpato di quello del CEO di BlackRock, ma altrettanto tranchant: “Le aziende e le industrie che non si stanno muovendo verso emissioni zero saranno punite dagli investitori e falliranno.”

Tutto questo mentre sempre più spesso attivisti verdi invadono e disturbano berciando le assemblee dei grandi gruppi spaventando gli azionisti e minacciando campagne diffamatorie se questi non cedono ai diktat ambientalisti.

Ma anche alcune banche italiane, nel loro piccolo, non scherzano nel loro agitarsi per l’ecologia. Riferisce Il Sole 24 Ore che l’AD di Banca Intesa, Carlo Messina, ha pubblicamente ringraziato gli esponenti di BlackRock, azionista e partner strategico della Banca, gli “amici” Larry Fink, come abbiamo visto CEO del colosso finanziario, e il presidente Rob Kapito. Quest’ultimo si è detto orgoglioso di “lavorare con Carlo Messina a spostare l’ago della bilancia sulla sostenibilità.”

In effetti è interessante sapere che Banca Intesa ha uno specifico programma di sviluppo per le piccole e medie imprese, “Imprese Vincenti”. Per partecipare, sapete qual è il requisito più importante? Esatto, avete indovinato (ma era facile): la “sostenibilità”.

Quindi, concludendo, verrebbe da dire: povera Greta Thunberg, in che brutto e venale mondo si è ritrovata. Rimangiatevi la commiserazione. Su di lei Gian Micalessin su il Giornale, definendola legata alla “finanza verde”, ha scritto: “Dietro le sue felpe sdrucite e il suo incedere dismesso si nasconde, infatti, un progetto da centinaia di miliardi destinato a cambiare il volto della produzione occidentale e a generare colossali investimenti.” E poi la ragazzotta svedese ha appena annunciato l’intenzione di registrare il marchio del suo nome e di Fridays for Future, il suo movimento. “Per evitare che vengano sfruttati a livello commerciale. Alcune persone fanno soldi a nome mio.” Già, è proprio un gran brutto mondo.

3 commenti su “I soldini di Greta. Ecologia e alta finanza”

  1. Un mondo così durerà tanto quanto il Padreterno ha concesso a Lucifero di scatenare tutto il suo male e la sua infernale ferocia. Perché, in definitiva e senza nascondersi dietro un dito, tutti costoro e tutti i loro annessi e connessi non sono altro che sataniche diramazioni. Non dimentichiamo la terribile visione che ebbe Leone XIII allorquando compose la preghiera a San Michele Arcangelo poi sciaguratamente soppressa (forse perché troppo scomoda) nel settembre ’64: un danno inestimabile. Chi può che la reciti nella lingua originale e non nelle libere traduzioni.

  2. E’ sempre il comunismo di sempre, che cambia pelle: ora con l’ecologia, ora con la gestione statalista del corona virus, poi il libero amore e con il gender, ora con la sottrazione dei minori ai genitori stile unione sovietica, superamento della famiglia naturale come ai primi tempi di Engels, tra poco con le quote Gay. Insomma purché si campi gratis al libro paga dello stato e delle partite iva, ogni pretesto ideologista e scientista fa brodo.

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