IDEALISMO E MAGIA – di P. Giovanni Cavalcoli, OP

di P. Giovanni Cavalcoli, OP

 

 

ejvNella metà del secolo scorso operò un filosofo e storico della filosofia assai acuto e dotto, Julius Evola, ammiratore dell’idealismo tedesco e di Nietzsche, il quale in alcune sue pubblicazioni si fece sostenitore di una forma di idealismo che egli chiamò “magico”[1].

La sua interpretazione dell’idealismo non fu ben accolta negli ambienti idealistici accademici del tempo, che ne rimasero piuttosto seccati negando qualunque rapporto dell’idealismo,  da loro considerato suprema scienza razionale, con la “magia”, da loro disprezzata proprio perché vista come emblema della mentalità che mescola l’ignoranza con la superstizione, quindi qualcosa di più irrazionale ed antiscientifico che si possa immaginare.

Ricordiamo inoltre che l’idealismo tedesco è uno sviluppo immanentistico del luteranesimo, nel quale la pratica sacramentale cattolica, i carismi dello Spirito Santo o il dono dei miracoli sono considerati con tono sprezzante come “magia”.

Tuttavia Evola aveva perfettamente ragione nel collegare l’idealismo con la magia. In realtà è vero che l’idealismo è nato con Cartesio e si presenta come rigoroso razionalismo e dottrina della scienza, ma, come mise bene in luce il famoso filosofo idealista Giovanni Gentile, è altrettanto vero che le radici prime dell’idealismo, soprattutto nel suo sbocco antropocentrico e panteista, si trovano nel Rinascimento italiano, e qui nessuno storico serio nega la presenza dell’interesse per la magia[2], certo non intesa nelle sue forme volgari e popolari (benchè non siano escluse), ma nelle sue forme più raffinate e metafisiche, rintracciabili soprattutto nella tradizione ermetica e gnostica, ossia del leggendario Ermete Trismegisto, la cui complessa e profonda opera che va sotto il suo nome, il Corpus Hermeticum, fu studiato a fondo nel secolo scorso dal grande studioso dello gnosticismo il Domenicano francese Padre André-Jean Festugière[3].

Lo stesso Gentile tuttavia, preso dalla preoccupazione di tutti gli idealisti di esibire una patente di rigoroso speculativo e ritenendosi voce o, vorremmo dire,  sacerdote e vate della Ragione assoluta e della Scienza suprema, quella che appunto in antico fu detta “Gnosi” e che egli come tutti gli idealisti che si rispettino chiama tout court la “Filosofia”, Verità superiore a tutte le religioni compreso il Vangelo di Cristo, il Gentile, dicevo, pur sostenendo e dimostrando con la sua notevole conoscenza della storia della filosofia, la derivazione dell’idealismo dal Rinascimento italiano, si guardò bene dal mostrare gli agganci con la magia in quelli che egli considerava gli antesignani dell’umanesimo e della teologia dell’idealismo panteista dell’Ottocento tedesco.

Uno di questi personaggi, molto ammirato dal Gentile ed anche da altri idealisti, come per esempio lo Schelling[4], è Giordano Bruno, che effettivamente per molti aspetti è da considerarsi come lontano precursore dell’idealismo panteista per la visione della realtà come Uno-Tutto vivente, Anima del mondo, infinito come il mondo è infinito, nonché la visione dell’uomo come naturalmente divino capace con opportuna tecnica anagogica di innalzarsi al livello dell’Assoluto, che non è superiore all’uomo e al di là dell’uomo, ma è l’infinito orizzonte supremo dell’autotrascendenza umana.

Ma Gentile e con lui molti altri studiosi idealisti e non idealisti di Bruno, si guardano bene dal mettere in evidenza l’ispirazione che lo stesso Bruno traeva dalla magia[5], come se essa sia stata in lui un’ appendice accidentale e posticcia del suo pensiero o uno scotto pagato alla superstizione dei suoi tempi e non invece come veramente è un aspetto essenziale del suo sistema di pensiero[6] e di conseguenza un aspetto essenziale anche se inconscio dell’idealismo moderno.

Possiamo comprendere in questi idealisti il disprezzo per la magia e non è quindi sbagliato, in linea di principio, il loro tentativo di recuperare in Bruno ciò che essi ritengono valido lasciando cadere gli aspetti superati o inaccettabili. Tuttavia possiamo chiederci se e come e quanto l’idealismo riesce, nonostante i suoi espliciti intenti scientifico-razionali, ad evitare di cadere nell’errore che caratterizza la vera essenza della magia.

A parte il fatto che lo stesso Evola stima la magia, ma proprio perché è un autentico idealista, risulta quindi valida la sua tesi che la magia non è che il logico sbocco pratico dell’idealismo. Per Evola infatti l’idealista è un mago. Ma è giusto, per lui, che sia così, proprio perché l’idealismo suppone una mentalità magica e porta all’attività del mago.

Dobbiamo intenderci bene però sul concetto di magia, dobbiamo cogliere non tanto il senso volgare o popolare del termine, a volte meramente fantastico, quanto piuttosto quello più reale, profondo, teoretico, che è poi quello essenziale, che rende maggiormente pericolosa la magia e che può e dev’essere collegato col fenomeno dell’idealismo panteista.

La parola “mago”, come si sa, viene dal termine, magos, che i Greci usavano per designare i sacerdoti persiani zoroastriani, adoratori della volta stellata della quale essi erano considerati interpreti e mediatori dotati della stessa potenza divina che pervade il cosmo. Il termine originario persiano è magu.

Tutti conosciamo l’episodio evangelico dei Re Magi, che giungono a Betlemme perché avevano “visto” ossia interpretato nel cielo la “stella” del Re dei Giudei. Sorprendente è il loro interesse per Gesù, considerando l’estraneità del contesto culturale e religioso dal quale provenivano, appunto il mondo della magia, ben lontano dalla visione ebraica di un Dio creatore del cielo e della terra e quindi anche dell’uomo, una visione, questa, che certo ammette la figura del sacerdote, ma rifiuta la funzione del mago, basata su di una visione cosmico-astrale-panteistica, nella quale non è Dio il Signore dell’uomo ma è l’uomo che ha la pretesa di possedere o di procurarsi una forza divina che piega Dio al volere dell’uomo: e questa è la sostanza della magia, frutto ad un tempo dell’idolatria, che divinizza il cosmo, e della superbia per la quale l’uomo divinizza se stesso.

In tal modo il mago, mediante l’uso di opportuni segni e formule e la pratica di appositi riti, ha la possibilità di sapere e di operare in un modo che supera le semplici forze dell’uomo comune e costituisce una casta più elevata di esseri umani che finisce per arrogarsi privilegi e poteri sugli altri che compromettono quella che è la naturale uguaglianza umana.

Analogamente nella visione idealista il “filosofo”, beneficiario della concezione idealista e in possesso della Verità assoluta, non appare come un comune membro della razza dei mortali, ma guarda con disprezzo all’ingenuo “realista”, che costituisce la gran massa degli uomini, imbrigliati ed illusi dal mondo delle apparenze e delle opinioni.

In base a queste considerazioni, che cosa è allora sostanzialmente la magia dal punto di vista morale o religioso? Non parliamo qui evidentemente di quella “magia” del tutto innocua per il quale il “mago” è semplicemente l’illusionista che fa divertire i ragazzi estraendo colombe dal cappello, ma parliamo di una cosa molto più seria della quale però in realtà pochi si rendono conto, limitando appunto il loro concetto di magia o a una specie di gioco ovvero praticandola nel suo significato peccaminoso ma senza rendersi conto dei danni che subiscono o del male che fanno.

Consideriamo dunque i maghi in questo antico e tuttavia attuale significato pagano, che oggi purtroppo è alquanto praticato nella nostra società sia tra i dotti che nel popolo. Dobbiamo dire allora in questo caso che la magia si fonda su di una vera e propria metafisica, un’intera concezione del mondo, dello spirito e della divinità. E qui troveremo l’aggancio con l’idealismo.

Al riguardo, infatti, possiamo dire anzitutto che, partendo da una concezione del reale e in particolare del cielo come un infinito Essere divino signore del destino umano mediante gli influssi astrali, animati da esseri celesti, questi “magi” si facevano interpreti, mediatori ed esecutori – ecco il nesso col sacerdozio – delle decisioni del cielo e, mediante le loro conoscenze e pratiche rituali segrete come simboli e segni dell’Assoluto immanente al cosmo, ritenevano di entrare in possesso e di fruire degli stessi poteri del Cosmo divino e delle potenze celesti, con la possibilità di rivelare arcani celesti ed operare azioni meravigliose o a beneficio (premio) o a danno (castigo) dell’uomo.

Indubbiamente nella concezione antica della magia, oltre all’Uno-Tutto immanente nel cosmo ed identico al cosmo, presente originariamente nella coscienza del mago, giocano altri mediatori, divinità o potenze intermedie chiamate con vari nomi, come per esempio dèi, angeli, spiriti, demoni o anime di defunti, entità mitiche che indubbiamente poi sono state ignorate o disprezzate  – ed in parte anche giustamente –  dal moderno idealismo, il quale tuttavia non manca di conservare la sua anima magica, se per magia intendiamo l’arte o il potere che si arroga l’uomo che intende se stesso come essere divino – appunto il mago -, tale da operare divinamente o piegare il divino alla sua volontà.

Ora, considerando che nell’antropologia idealista l’uomo è appunto concepito come Autocoscienza assoluta e che ovviamente questa Autocoscienza non può non operare divinamente, è evidente che anche nell’idealismo, benchè esso non voglia riconoscerlo, si ammette una morale o una dottrina della condotta umana che prevede che l’uomo possa godere di una libertà e di un potere così assoluti, da innalzarsi (“autotrascendenza”) al livello della divinità con la conseguente o presupposta negazione di una divinità trascendente, che implicherebbe l’uomo come creatura, cosa che l’idealismo precisamente rifiuta perché per esso – vedi l’idealismo “morale” di Fichte – l’uomo crea, fa o “pone” se stesso in forza della sua azione (“causa sui” o, come dirà Gentile, “autoctisi”). E che cos’è questa se non magia? E’ la magia nella sua più pura essenza, come la grappa è il distillato e  il concentrato più sostanzioso del frutto della vite.

Ora, nella visione idealista della magia, come in tutti gli errori umani, c’è una parte di verità. E’ vero che un atteggiamento umano ragionevole e il vero amore della scienza non possono che provar disprezzo per la magia, rifiutandola nettamente sia come metodo di conoscenza che come principio di operazione. A parte che facilmente il mago, per avvalorare il suo potere, ricorre anche all’impostura e alla mistificazione.

Ma il guaio per l’idealismo è che la sua “razionalità” e la sua “scienza” sono in fin dei conti la razionalità e la scienza del mago, in quanto, con atteggiamento orgogliosamente autoreferenziale (vedi il cogito cartesiano), ribelle all’adaequatio intellectus ad rem, l’idealista non si tiene umilmente nei limiti naturali e consentiti dell’umano, ma con impeto trasgressivo, spinto dalla ybris, direbbe la Grecia, ossia dalla tracotanza e dalla presunzione, fraintendendo quella vera divinizzazione dell’uomo che viene dalla grazia e dalla misericordia di Dio, come nel cristianesimo, autoproclama la propria divinità ma con ciò stesso precipita nella perdizione ed è causa di perdizione.

Gli idealisti hanno continuamente sulla bocca con tono solenne il verbo “celebrare” – celebrare l’Assoluto, celebrare l’Autocoscienza, celebrare l’immanenza, celebrare questo, celebrare quello, ecc. – in una perenne liturgia che è imitazione profana della liturgia del Dio vero ed appare come culto ad una divinità che, per dirla con la Scrittura, è solo una “maschera dell’angelo della luce”. E questo è significativo di come in essi vi sia una parodia del sacerdozio, o quasi la pretesa di considerarsi i sacerdoti della Scienza e della Verità. “Mago”, infatti come abbiamo visto, vuol dire “sacerdote”.

Gli idealisti, eredi dei luterani, che, come ho detto, considerano sprezzantemente come “magia” i miracoli, i doni carismatici, i riti e i sacramenti del cattolicesimo, si sono impantanati nella vera magia e quella più pericolosa che è servitù di Satana sotto le vesti di un “Assoluto” immanente come sfondo e fondamento dell’io empirico,  senza che essi, i poveretti, se ne rendano conto, giacchè per loro il demonio non è che una favola medioevale.

Stando così le cose, vediamo quanta sconvenienza oggi si dà in coloro che, credendo di ammodernare la teologia e il cristianesimo e di essere gli eredi del Concilio Vaticano II, mescolano empiamente la dottrina della Chiesa o S.Tommaso con la tradizione dell’idealismo. Non sono necessariamente mossi da cattive intenzioni: alcuni vorrebbero recuperare gli aspetti positivi dell’idealismo ed integrarli nella tradizione cristiana.

Questo intento in sé è buono, ma lo sbaglio che troppo spesso oggi vien fatto è quello di costruire un cattolicesimo idealista, non animato dal Vangelo, ma dove il Vangelo costituisce solo l’occasione per la costruzione di un’ideologia che non rende l’uomo servo di Dio ma schiavo di Satana.




[1] Vedi Julius Evola, Saggi sull’idealismo magico, Todi-Roma, Atanòr, 1925. Le Edizioni Mediterranee di Roma dispongono di un’edizione recente in commercio.

[2] Vedi per esempio gli studi del grande conoscitore del Rinascimento, Eugenio Garin. Un tentativo di conciliare la magia col cristianesimo fu fatto già durante l’umanesimo da Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola. In Germania invece successivamente si sviluppò una tale stima per la magia, come per esempio in Paracelso e Cornelio Agrippa di Nettesheim  e così pure in Inghilterra con John Dee, che, benchè anch’essi abbiano tentato il rapporto col cristianesimo, dello stesso cristianesimo alla fine si salva ben poco. Lo sbaglio di fondo di tutti costoro è l’idea che possa esistere una magia buona o benefica (“bianca”) accanto a una magia cattiva o malefica (“nera”). Ma la magia è sempre magia ed è sempre peccato di idolatria e di superbia.

[3] Révélation d’Hermès Trismégiste, Paris, Les Belles Lettres, 1944-1954

[4] Vedi, di Schelling, Bruno o il divino e il naturale principio delle cose, Edizioni Spano, Pompei (Napoli), s.d.

[5] Vedi il libro del Gentile Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, Le Lettere, Firenze 1991.

[6] Una studiosa inglese che ha mostrato con ogni evidenza e abbondanza di documentazione il legame di Bruno con la magia e come questa sia alla base della sua visione del reale, è Frances Yates, nel suo libro Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Edizioni Laterza, Bari 1992.

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