di P.Giovanni Cavalcoli, OP
“Chi vuol fare l’angelo – diceva saggiamente Pascal – finisce col fare la bestia”. E Papa Benedetto XVI, agli inizi del suo pontificato, ricordò il mito di Icaro, il quale, per aver voluto presuntuosamente salire sino al sole con ali ci cera da lui costruite, finì col precipitate sulla terra essendosi le ali sciolte al calore del sole.
La sottile e raffinata tentazione idealistica, che attecchisce negli spiriti intelligenti ma superbi o nelle anime ardenti ma prive di equilibrio, è un fuoco segreto che stimola da millenni sia ad oriente che ad occidente l’aspirazione ascetica e il desiderio di perfezione in una folta schiera di uomini e donne affascinati dalla grande potenza del pensiero e della volontà dell’essere umano aperto al desiderio del divino e dell’assoluto.
Ma nell’istanza idealistica, apparentemente così nobile, profonda e lodevole, a volte geniale e sublime, si nasconde, non sempre immediatamente visibile – latet anguis in herba – una visione dualistica della natura umana, un orgoglioso disprezzo per la sua dimensione di animalità, con la sua connotazione maschile–femminile. Molti idealisti, da Platone, passando per gli gnostici, i catari medioevali, Böhme, Cartesio, Berkeley, sino a Kant, Schopenhauer, Heidegger, Severino e Rahner, rifiutano esplicitamente la definizione dell’uomo come animal rationale, sostanza vivente materiale animata da un’anima spirituale, come concezione dell’uomo volgare e grossolana, incapace di cogliere veramente la dignità spirituale, infinita e divina della persona umana.
Tuttavia è chiaro che un idealismo puro non esiste ed è impraticabile, anche perché all’idealista, per la verità, il sesso interessa molto e come. Solo che non vuol darlo ad intendere ed allora ecco le lodi sperticate dello spirito, della ragione, della coscienza, del “soggetto”, del pensiero, della volontà, della libertà e della mistica. Esiste bensì un idealismo rigorista, appartenente piuttosto al passato, come lo troviamo per esempio in Oriente nel brahmanesimo o nel buddismo o in Occidente cristiano nella tradizione monastica origeniana, i cui influssi più o meno accentuati è possibile rintracciare nel sottofondo di tutta una concezione tradizionale della castità consacrata che giunge sino ai nostri giorni, nonostante la correzione evangelica proposta dal recente Concilio Vaticano II, col suo richiamo all’unità della persona umana composta di anima e di corpo ed in particolare insegnando che “Dio non creò l’uomo lasciandolo solo: fin da principio « uomo e donna li creò » (Gen1,27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone” (Gaudium et Spes 12).
Tuttavia l’idealismo di maggior successo, che è quello moderno, – e ciò è molto comprensibile, data la pesantezza della carne umana – non è tanto quello dell’uomo come puro spirito, come res cogitans, come autocoscienza o come trascendentale o Dasein o come “pastore dell’essere” o come “sguardo su Dio” o teofania divina, abitante in un iperuranio fatto di astrazioni sussistenti o di disumane privazioni e macerazioni, ma è quello del piccolo borghese il quale, senza affatto rinunciare alla sua divinità, si trova molto bene in questo mondo, non ne disprezza affatto i piaceri, sino a concepire una visione dell’uomo nella quale lo spirito non è affatto distinto dalla materia, né l’anima è distinta dal corpo (questo sarebbe dualismo greco!), ma bensì lo spirito – per usare un’espressione di Rahner – non è che materia fluidificata, mentre il corpo non è che spirito solidificato.
Infatti, se, come afferma esplicitamente l’idealista, l’essere è pensiero, e la materia è spirito, non è difficile fare l’operazione opposta – anche se lo non lo riconosce esplicitamente ma lo pratica nei fatti -, ossia quella di materializzare l’essere, l’idea, il pensiero e lo spirito, riducendo l’astratto al concreto, l’essere al divenire, l’intelletto al senso, la volontà all’istinto e l’anima al corpo.
Ed ecco che il gioco è fatto: dal superspiritualismo dell’uomo angelicato, salta fuori l’uomo–bestia di Marx, Darwin e Freud. Dall’uomo–spirito salta fuori l’uomo–sesso. Meraviglioso gioco di prestigio che associa sapientemente le altezze della superbia con le bassezze della sensualità e della libido. Ma il soggetto continua a considerarsi e ad essere considerato il grande genio dell’intelligenza, della scienza e della sapienza, per non parlare della mistica. Non osa però parlare di “santità”, questo forse sarebbe troppo.
A questo punto bisogna dire che sono più franchi i libertini e i debosciati di ogni tempo, i quali dichiarano apertamente la loro idolatria del sesso, senza fare tanti giri di falso spiritualismo e senza tanti preamboli di elevatissima metafisica che scompare tra le nuvole di incomprensibili astrazioni. Per lo meno non hanno l’ipocrisia degli idealisti. Più tollerabili, a questo punto, gli eredi del gaudente empirismo liberale anglosassone, per esempio David Hume, come oggi appare nella linea della sessuologia libertaria dei Pannella e Bonino.
Tuttavia la questione del sesso è effettivamente una questione molto seria. L’idealista è uno che non è riuscito a risolverla. Quindi non è sempre detto che sia cattiva volontà o ipocrisia. A volte nell’idealista c’è un dramma o un tormento nascosto che egli solitamente non ci rivela pubblicamente – quando mai i grandi filosofi idealisti si fermano a trattare di etica sessuale? -. Deduciamo il loro tormento dalle contorsioni del loro stesso pensiero: una mescolanza di fango e sublimità, di demonismo e di angelismo, di bestialità e di spiritualità. Vogliono essere spirituali, ma non sanno divincolarsi dalla prepotenza della carne. Qui ci potrebbe venire in mente Lutero. La torbida spiritualità hegeliana è qui sulla linea del Riformatore.
Quale sarebbe la soluzione? Una sana antropologia, che, sulle orme di Aristotele, di san Tommaso e della Sacra Scrittura, vedesse l’uomo come unica sostanza animale informata da un’anima spirituale e considerando la questione del sesso, avesse la chiara consapevolezza e certezza della dimensione sessuale della persona umana, come costitutivo della stessa persona, salvo il dovere da parte della persona di regolare sapientemente i moti della propria sessualità.
La chiave risolutiva fondamentale di questa grave e perenne questione, che spesso ci assilla tutti, è contenuta in quelle semplicissime ma profondissime parole del Genesi, c.1: “maschio e femmina li creò”, con tutto quello che è successivamente insegnato anche nel c.2. Su ciò mi sono diffuso ampiamente in una mia recente pubblicazione commentando anche i preziosi insegnamenti in proposito del Beato Giovanni Paolo II (1).
Qui il concetto fondamentale è che l’esser uomo e l’esser donna sono voluti da Dio in vista dell’eterna beatitudine; per questo per il cristiano, in questa luce, la sessualità va posta in armonia con la spiritualità e non messa in opposizione quasi le fosse nemica. Le pur necessarie e lodevoli, rinunce ed astinenze ascetiche devono in fin dei conti garantire la pacificazione tra “spirito” e “carne” che non sono affatto voluti da Dio, ma non sono altro che una conseguenza del peccato originale.
Occorre raggiungere una posizione equilibrata, lontana tanto dall’angelismo quanto dalla bestialità. L’uomo non è una bestia la cui massima aspirazione sia il piacere sessuale, ma non è neppure uno spirito puro asessuato o un angelo alloggiato in una bestia, per cui l’esser maschio e femmina non sono qualcosa di avventizio o di accidentale, o, peggio ancora, conseguenza del peccato originale; non sonno neppure qualcosa di convenzionale o di arbitrario, estraneo al campo della morale, del quale ognuno possa disporre come gli pare, ma sono componenti naturali ed essenziali della persona umana, tali quindi, se ben vissuti, da influenzare positivamente la stessa vita spirituale, una volta che la retta ragione ispirata alla fede si prende cura di questa dimensione rispettandone leggi e finalità poste dal Creatore e la indirizza ai suoi fini e significati più sublimi tesi a simboleggiare il vertice dell’amore ed in particolare l’unione mistica con la divinità.
Bologna, 16 novembre 2011
NOTE
1) Cf il mio libro La coppia consacrata, edizioni Vivere In, Monopoli (BA), 2008.