L’eredità di Luigi Sturzo
di Piero Vassallo
Nei giorni segnati dal verdetto elettorale, che ha frantumato e dissolto gli equivoci intorno alla destra polifrenica, esce dai torchi intrepidi di Marco Solfanelli “I fondamenti della filosofia politica di Luigi Sturzo“, pregevole saggio di Giulio Alfano, docente di Filosofia politica e di Etica politica nell’Università Lateranense.
Il testo di Alfano inaugura tempestivamente il dibattito sulle fonti di un pensiero politico adeguato alla tradizione italiana e perciò capace di ristabilire la giustizia cui aspira il popolo del disagio economico e dell’alienazione sociale.
L’autore possiede in grado eminente le doti personali e le conoscenze necessarie a tracciare un cammino finalizzato alla rinascita della politica d’ispirazione cristiana e di indirizzo popolare: la salda fede in Dio, l’eccezionale padronanza della letteratura politologica, l’equilibrio nel giudicare i fatti della storia, la preziosa memoria delle testimonianze udite durante la frequentazione di protagonisti della recente storia cattolica, quali, ad esempio, il cardinale Angelini, e i professori Luigi Gedda, Aldo Moro, Raimondo Spiazzi, Antonio Livi, Francesco Mercadante.
Finalità della riflessione proposta da Alfano è la riforma della cultura politica “che fa dei partiti ideologici un sistema di diseguali ove il diverso tenore di vita dei dirigenti porta a un loro imborghesimento e a un allontanamento dalla base, con la conseguente difficoltà a comprendere e rappresentare le esigenze di questi ultimi”.
Il risultato di tale anomalia è la trasformazione dei partiti in partiti pigliatutto, organizzazioni autoreferenziali, nelle quali i vantaggi della casta sono regolarmente anteposti al bene comune.
La degenerazione partitocratica, peraltro, è il risultato del “passaggio da una società omogenea, con appartenenze ben definite, ad una altamente differenziata e caratterizzata dal moltiplicarsi delle appartenenze e degli interessi”, un fenomeno che causa la frammentazione del tessuto sociale e complica la politica intesa alla ricerca del bene comune.
Di qui l’obbligo di risalire alle fonti tomasiane e vichiane del cattolicesimo politico, operante nell’età moderna e di conseguenza di rivisitare le coerenti interpretazioni proposte da Luigi Sturzo in vista di un rinnovamento da attuare nel solco della nobile tradizione, che la provvidenza aveva intanto liberato dagli ingombranti gravami costituiti dall’assolutismo monarchico e del potere temporale dei papi.
Ragione della scelta d’iniziare il rinnovamento della politica da una riflessione sul pensiero di don Sturzo è “l’attualità del suo progetto e, soprattutto, della sua idea della politica, consistente nel fatto che si confrontava, già allora, col rifiuto moderno dell’idea di diritto naturale e comprendeva che tale rifiuto derivava da una malintesa idea della natura stessa dell’uomo, che viene concepita come qualcosa di esteriore alla libertà stessa, che è esasperata e posta come valore assoluto di fronte al quale vi è una sorta di vuoto ontologico e di nulla etico”.
La sfida lanciata da don Sturzo al positivismo giuridico quale fondamento della politica moderna contempla un puntuale giudizio sul mondo moderno “che ha raggiunto la sua apparente unità negando il fine naturale dell’uomo e dimenticando di subordinare la politica alla virtù“.
La proposta neotomista del sacerdote di Caltagirone contempla, invece, la persona quale fine della società civile, “che per sua natura e origine non può non avere altra finalità se non quella di rendere possibile il perfetto sviluppo della persona umana, dato che questa, a ragione della sua natura specifica, non sarebbe in grado di perseguire altrimenti la perfezione della sua vita”.
Sulla traccia segnata da don Sturzo, Alfano approfondisce le obiezioni alla macchina legislativa attivata in conformità al mutilante pregiudizio laicista: “Il contrattualismo che sovente anima la giustificazione della legge, postula una situazione originaria senza doveri, esigendo, viceversa, che le regole vengano stipulate con accordi esclusivamente fondati su interessi. Fondamentalmente, c’è la concezione di una limitata razionalità come risultato di un confronto tra cittadini, considerando la politica come semplice accettazione delle procedure per la produzione delle leggi o regole, il cui contenuto va definitivo attraverso la comunicazione consensuale”.
Si costituisce in tal modo un circolo vizioso, nel quale la libertà assoluta è la fonte della legge cui essa stessa dovrà obbedire.
La via d’uscita da un tale perpetua rotazione è la fiducia nella libertà concepita come dono di Dio e perciò finalizzata all’attuazione della legge naturale.
Opportunamente Alfano ricorda che “don Sturzo si confrontava anche con le diseguaglianza economiche proprie del passaggio dal vecchio al nuovo secolo e con la diffusione dell’ideologia socialista e massimalista e la contemporanea evoluzione di quello liberale nello Stato democratico, i cui obiettivi erano lo sviluppo dei valori di solidarietà e cooperazione”.
Da tale presa di coscienza discende l’affermazione del principio di solidarietà, che diventa il terzo pilastro dell’autentica democrazia, accanto a quello di libertà e uguaglianza.
In vista di una riforma dell’ideologia liberale, dominante nei primi anni del xx secolo, il pensiero di Sturzo accoglie, infatti, l’insegnamento di Leone XIII (che propone una convergenza tra capitale e lavoro) e i commenti del Beato Giuseppe Toniolo alla lezione del grande pontefice.
Attuale è altresì il contributo di don Sturzo al chiarimento del concetto di nazione termine “che indica una popolazione che abbia sperimentato per parecchie generazioni una comunanza di territorio, lingua, cultura, economia e storia tale che i membri ne abbiano una coscienza precisa”.
Pertanto il carattere di vero risorgimento prima che all’impresa liberale compete “alla partecipazione vera delle masse popolari ai processi storici, da protagonista”
Negli scritti di don Sturzo, infine, si possono cogliere i criteri di una ragionevole opposizione all’assistenzialismo statale, incautamente promosso da La Pira e condiviso dai principali esponenti dalla sinistra democristiana.
Il fondatore del partito popolare, non era per principio contrario all’intervento dello stato nell’economia ma “poneva alla base di ogni comportamento umano un’estrema moralità, che non sempre si sarebbe mantenuta in seguito: la partitocrazia … induceva alla corruzione e quindi all’immoralità, che non è caratterizzata solo dallo sperpero del denaro pubblico ma da ingiusti sistemi fiscali, da clientelismo, dall’abuso della propria influenza politica nel ruolo che si occupa nell’esame dei concorsi pubblici o anche nell’assegnazione di appalti“.
La fecondità del pensiero sturziano e il suo possibile contributo alla riabilitazione della politica d’ispirazione cristiana sono certificati dall’avvenuto trasferimento nella seconda repubblica dei vizi della prima repubblica e dalla simultanea desuetudine delle virtù praticate perfino dai banditori democristiani (ad esempio La Pira) di discutibili opinioni.
Riconosciuta nell’immoralità la causa della crisi in atto, la dottrina di don Sturzo insegna che il rimedio deve essere cercato, prima che nelle riforme dell’economia, nella restaurazione della morale pubblica e privata.