di Piero Vassallo
Effedieffe, battagliera casa editrice attiva in Proceno di Viterbo, pubblica, nella traduzione curata con perizia da Daniela Tosi e Lorenzo De Vita, un eccellente e tragicamente attuale saggio di don Michel Schooyans, “Il complotto dell’Onu contro la vita“.
Cuore dell’accusa rivolta dall’autorevole teologo contro l’ideologia professata dalla potente lobby onusiana e dalla gang plutocratica e anticattolica, è la puntuale analisi del positivismo giuridico, sofistico e micidiale ingranaggio, inventato dagli ingegneri dell’eversione neopagana, per abbassare/infangare la tradizione giuridica al disconoscimento della sacralità della vita umana e in ultima analisi alla dolce eliminazione delle vite inadatte o eccedenti.
Ora non è possibile resistere efficacemente alla degradazione antivitale/antiumana del diritto, oggi in atto nell’assemblea malthusiana detta Onu e nelle sedi dei parlamenti nazionali e sovranazionali a conduzione liberale e iniziatica, senza risalire alle sue remote e influenti cause scientifiche.
Al proposito è citato dall’autore una penetrante sentenza di Alexandr Solzenicyn, il più scomodo e censurato degli oppositori ai replicanti errori/orrori della modernità: “nella nostra società, il diritto tende a fagocitare la morale”.
Il processo di capovolgimento della morale, infatti, ha inizio nel XVI secolo, quando Jean Bodin sostenne che non gli abusi consumati dalle monarchie assolute ma i riferimenti alla religione erano causa dei conflitti che insanguinavano l’Europa.
La demolizione del diritto naturale fu ultimata nel secolo XVII, allorché Ugo Grozio e Samuel Pufendorf concepirono un “diritto naturale” indipendente dalla legge di Dio.
L’impavido Schooyans, inoltre, osa accusare il liberalismo, ideologia strutturalmente cadaverica ma portata in trionfo e incensata dagli architetti della pubblica opinione quale medicina universalmente efficace contro gli orrori minacciati dalle criminogene rivoluzioni ultramoderne e/o antimoderne.
Di qui la puntuale definizione della logica perversa, che governa i progetti intesi a misurare il diritto alla vita e a controllare severamente le nascite: “A cominciare da un’etica individualistica caratteristica del liberalismo originario, la violenza s’insinua nel diritto e vi si iscrive. In una prima fase la violenza si manifesta in campo economico, dove la libera concorrenza deregolamentata si assume il compito di emarginare i concorrenti sfortunati“.
Se non che l’errore obbedisce a un dinamismo inesorabile, che lo trascina agli esiti più insensati e nefasti: “Già in Malthus, e più avanti in Darwin e Galton, l’idea di libera concorrenza dall’ambito economico si riversa nella sfera dell’esistenza degli individui, diventando selezione naturale, poi artificiale, con l’eliminazione dei meno idonei”.
Particolarmente insistita infine è la critica alle tesi di Hans Kelsen (1881-1973), il filosofo del diritto che ha portato alla conseguenza estrema e paradossale le premesse della giurisprudenza d’ispirazione laicista e antitradizionale: “la legge deve essere rispettata perché è la legge, senza alcun riguardo ad un qualunque riferimento ai diritti che l’uomo ha per natura”.
Kelsen seguì la sua mostruosa teoria senza provare vertigine davanti alle sue conseguenze pratiche ed affermò, quasi dimenticando la sua esperienza di perseguitato, che “dal punto di vista della scienza giuridica, il diritto stabilito dal regime nazista è diritto. Ce ne possiamo rincrescere, ma non possiamo negare che si tratti di un diritto. Il diritto dell’Unione Sovietica è diritto! Possiamo esecrarlo avendo orrore di un serpente velenoso, ma non possiamo negare che esiste, il che vuole dire che ha diritto di fare quello che fa”.
Di conseguenza Schooyans afferma che “secondo il rigido positivismo giuridico concepito da Kelsen è possibile emanare delle norme che sottopongono la vita e la morte, nella loro stessa definizione ad atti di diritto. … Non solo non c’è più posto per il riconoscimento da parte dello Stato di un diritto inalienabile di qualsiasi essere umano alla vita, ma anche la dignità dell’essere umano può variare a seconda delle norme, cancellando così a priori le idee di universalità e di pari dignità degli uomini”.
Legittimamente Schooyans conclude che “questa concezione positivista del diritto si trova oggigiorno in tutti i sistemi giuridici architettati dai totalitarismi di ogni genere: dichiarati, annunciati o striscianti; ed è in fase avanzata di introduzione nelle relazioni internazionali”.
E’ da sottolineare che Schooyans riconosce apertamente la dipendenza del suo pensiero dalle lezioni dispensate dai protagonisti della scuola ispanica del diritto naturale.
Tale ammissione offre ai lettori l’opportunità di rammentare le fondamentali opere di Francisco de Vitoria, di Antonio Aparisi y Guijarro, di Francisco Elias de Tejada y Spinola, di Juan Vallet de Goytisolo e di Miguel Ayuso y Torre, protagonisti della strenua e illuminata resistenza ispanica all’eresia europea. E di rammentare le magistrali confutazioni del giusnaturalismo contraffatto da Grozio e Pufendorf, contestazioni formulate dai continuatori italiani dell’opera di Giambattista Vico: Antonio Rosmini, Luigi Tapparelli D’Azeglio, Giorgio Del Vecchio, Antonio Messineo, Roberto Lucifredi, Gabrio Lombardi, Nicola Petruzzellis e Paolo Pasqualucci.
Le opere di questi coraggiosi antagonisti del mondo moderno rammentano ai cattolici fedeli alla tradizione che la loro strenua opposizione all’abortismo non è un’ossessione bigotta, come è stato insinuato durante una chiacchierata autorevolmente piaciona, ma un atto dell’illuminata guerra dello spirito contro l’animalesca barbarie.
Schoquyans rammenta, tempestivamente, che l’antiabortismo è un’insorgenza animata dalla fede in Dio legislatore e nella fedeltà al diritto naturale, “bastione contro l’arbitrio, e straordinario strumento al servizio dei diritti umani e della giustizia”.