di Carla D’Agostino Ungaretti
Sinceramente non avrei mai creduto che a me, cattolica “bambina”, sarebbe toccato, pochi giorni fa in un salotto di irriducibili laicisti, il compito di assumere, storicamente e spiritualmente, le difese di un Papa! E soprattutto di dover constatare – con dispiacere, perché si trattava di amici di vecchia data – che il loro anticlericalismo, ormai di antico stampo ma ancora tanto diffuso in questa nostra strana epoca, si basa su una totale ignoranza del Catechismo della Chiesa Cattolica e dei fondamenti di quella fede nella quale anch’essi sono stati educati. Tutti loro sono stati battezzati, quasi tutti si sono sposati in chiesa e hanno fatto battezzare i loro figli. Tutti hanno ricevuto un’istruzione superiore e hanno conseguito una laurea. Donde viene allora tanto risentimento contro il cattolicesimo e, nel caso specifico, tanta ignoranza della storia?
La prima risposta che mi viene in mente, ma non so se è quella giusta, è che anche essi siano stati travolti dall’onda lunga del ’68, che – a distanza di più di 40 anni – continua a far danni; ma non è di questo che voglio parlare, piuttosto dell’argomento di conversazione che in quell’occasione mi ha tanto coinvolto perché riguardava un Papa: Pio IX, da loro ritenuto “bigotto, retrivo, oscurantista, antidemocratico e rapitore di bambini” e, di conseguenza, Giovanni Paolo II “colpevole” di aver beatificato, il 3 settembre 2000, un simile predecessore, autore anche del famigerato “Syllabus Errorum“.
L’episodio che tanto scandalizzava i miei amici e – a distanza di 150 anni, ancora suscita scandalo e scalpore in chi si ostina a giudicare la storia con le categorie moderne e attraverso il pregiudizio ideologico – è il caso Mortara che il 13 aprile 1986 Giovanni Paolo II, durante la famosa visita alla Sinagoga di Roma, si sentì ricordare dal Presidente delle Unioni delle Comunità Israelitiche, a dimostrazione del fatto che esso rappresenta ancora un nervo scoperto, non solo per gli Ebrei di tutto il mondo, ma anche per gli anticattolici in genere, che non hanno esitato a gratificare Pio IX dei peggiori epiteti.
Molti ricorderanno l’episodio, anche perché Vittorio Messori gli ha dedicato un interessante studio[1]. Nel 1852 a Bologna, allora facente parte dello Stato Pontificio, una servetta cristiana, che lavorava presso la famiglia Mortara, di religione ebraica, battezzò di nascosto il loro bambino in fin di vita, Edgardo, di circa undici mesi. Dopo pochi giorni il piccolo moribondo si riprese con la gioia di tutti, ma dopo qualche tempo si venne a sapere anche del battesimo impartito dalla ragazza, e la Diocesi di Bologna dovette necessariamente applicare le disposizioni previste dal Diritto Canonico per la disciplina di questa fattispecie giuridica. L’indagine durò otto mesi e si concluse come necessariamente doveva concludersi, vale a dire, con la sottrazione del bambino ai genitori ebrei per essere allevato ed istruito cristianamente.
Il fatto suscitò una valanga di inorridite proteste in tutta Europa e fu ampiamente sfruttato da tutti i governi, da Cavour a Bismarck, che esercitarono pressioni pesantissime sul Papa, per gettare il discredito sulla Chiesa cattolica e, in particolare, su Pio IX, descritto come un rapitore di bambini, e anche dodici anni fa ci si è tornati sopra per criticarne la beatificazione e per attaccare la Chiesa in omaggio alla “political correctness”. Per Benedetto Croce, di certo non cattolico, il vero peccato mortale è giudicare gli eventi del passato con le categorie moderne. Ma giudicando i fatti con obiettività e con il metro dell’epoca (come dovrebbero fare tutti gli storici seri) si deve riconoscere che il Papa, come capo di uno stato temporale – quale era allora lo Stato Pontificio – si era comportato esattamente come molti altri governi europei di quei tempi: gli anglicani inglesi rinchiudevano gli orfani dei caduti irlandesi cattolici nei loro collegi, ove quei ragazzi venivano educati rigorosamente nella Confessione Anglicana; gli ortodossi russi sequestravano i bambini polacchi e li sradicavano dal cattolicesimo costringendoli a diventare ortodossi; l’Impero turco sottraeva i figli alle minoranze cristiane per arruolarli, a forza, nel corpo dei giannizzeri rigorosamente islamici. Sicuramente questa prassi non doveva piacere molto all’opinione pubblica neppure allora ma, in questo caso, la protesta avrebbe dovuto essere rivolta a tutti i governi che la praticavano: perché l’Europa “importante” se la prese solo con Pio IX?
Il Papa rispose che quel provvedimento era stato assunto ai sensi delle leggi vigenti e non poteva essere lui, il Papa, a trasgredire 1800 anni di dottrina cristiana e almeno mille di Diritto Canonico. Senza contare che tutto era nato da una illegalità commessa dai Mortara. Infatti le leggi dello Stato Pontificio proibivano agli ebrei di assumere alle proprie dipendenze lavoratori cattolici e non certo per motivi razziali, come avrebbero fatto in seguito nazisti e fascisti, ma per evitare che in simili casi si verificassero situazioni drammatiche come quella di Bologna, oltre che pericoli per la fede dei lavoratori cristiani.
La Chiesa ha sempre proibito che i figli minorenni di ebrei fossero battezzati contro la volontà dei genitori: l’autorità paterna e l’obbligo di onorarla quale che sia la fede della famiglia discendono direttamente dal IV Comandamento, sono un principio del diritto naturale tra i fondamentali del sistema cattolico e sono recepiti dal diritto canonico. Si fa eccezione solo in due casi: l’abbandono di neonati e il pericolo di morte, allorché la medicina escluda la possibilità di un ritorno alla vita e alla salute. Qualora un cristiano, con zelo deplorevole, avesse amministrato il Sacramento al di fuori di queste condizioni, il Battesimo si considerava illecito e il responsabile incorreva in sanzioni penali. Ma nel caso del piccolo Edgardo il battesimo era perfettamente lecito e in più anche valido, perché esso – come sanno o dovrebbero sapere tutti i cristiani – effonde la Grazia santificante e conferisce all’anima un carattere permanente che nessun peccato può cancellare. Come dice S. Paolo, gli occhi della carne non scorgono questo mistero, percepibile solo agli occhi dello spirito.
La disposizione di Pio IX era perfettamente conforme al diritto positivo della Chiesa, perciò è un peccato che i nostri “fratelli maggiori” – che ricollegano la loro speranza di salvezza all’osservanza della Legge – fossero (e sono tutt’ora) incapaci di comprendere il potere coercitivo del diritto canonico ancora vigente, anche se il Concilio Vaticano II ha praticamente impedito che episodi come quello del caso Mortara si ripetano ancora.
Comunque – a differenza di quanto usavano fare i governi che sottraevano i figli ai loro genitori – Pio IX, facendo educare Edgardo in un istituto religioso di Bologna, non proibì mai ai suoi genitori di vederlo ogni qual volta lo avessero desiderato. Poi, una volta raggiunta la maggiore età, il ragazzo avrebbe potuto decidere liberamente del suo futuro, anche abiurare il cristianesimo e tornare all’ebraismo, se questo fosse stato il suo desiderio. Ma l’irriducibile opposizione dei genitori, sostenuti anche da Cavour, dalla Massoneria e da altri governi, indussero il Papa a trasferire il ragazzo a Roma, dove fu accolto nel Collegio dei Canonici Regolari Lateranensi di S. Pietro in Vincoli, sempre nella piena libertà per i genitori di visitarlo quando volevano.
Ma le pressioni da parte di Autorità, stampa e intellettuali dell’epoca, per il ritorno di Edgardo in famiglia, continuarono e, con il raggiungimento della sua maggiore età, furono rivolte direttamente all’interessato. Ma il giovane deluse tutti i suoi “difensori” – mossi più da ragioni politiche che umanitarie – non solo rifiutandosi sempre di aderire ai loro pressanti inviti, ma anche abbracciando la vita consacrata, con il nome di Padre Pio Maria, nell’Ordine dei Canonici Regolari Lateranensi che lo aveva accolto ed educato e manifestando, perciò, con le parole e con i fatti una sconfinata gratitudine nei confronti di quel Papa dipinto all’opinione pubblica come suo carnefice. Questo esito della vicenda, che forse nessuno si aspettava e indispettisce ancora i laicisti, è spiegabile solo in un’ottica di fede. L’unico commento possibile è quello del Salmo 118, 23: “Ecco l’opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi”.
Padre Pio Maria Mortara, morto a 90 anni in Belgio nel 1940, scrisse un memoriale sulla sua vicenda finalizzato a far tacere una volta per tutte le illazioni sul suo conto. Quest’opera, conservata nell’archivio del suo Ordine è stata pubblicata qualche anno fa, ma pur essendo densa di fede cattolica e di devota gratitudine verso Pio IX, non è stata sufficiente a far tacere le calunnie su questo Papa che si sono rinverdite in occasione della sua beatificazione. Come se la Chiesa dovesse chiedere il permesso del “mondo” per fissare i criteri in base ai quali proclamare la santità di un suo figlio. Ma oggi la cultura occidentale, caduta sotto il dogmatismo imposto e controllato dalla “political correctness” pretenderebbe anche questo e infatti agisce con ogni mezzo per incoraggiare il pregiudizio contro il Cattolicesimo e, in particolare, contro quegli uomini che, al suo interno, si sono mostrati più coerenti con la dottrina millenaria della Chiesa. Pio IX è fra questi e il caso Mortara è tra le sue colpe più imperdonabili.
Contra facta non valent argumenta, ma la forza del pregiudizio è enorme e i miei amici sono rimasti della loro opinione.
[1] Cfr. “Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX, Il Memoriale inedito del protagonista del caso Mortara”, LE SCIE MONDADORI 2005.
3 commenti su “IL “CASO MORTARA”. IN DIFESA DEL BEATO PIO IX – di Carla D’Agostino Ungaretti”
Non si rispetta il diritto naturale, sottraendo un bambino di sette anni agli amorevoli genitori! e come avrebbe potuto a sette anni resistere alle lusinghe dei suoi carcerieri?
sarebbe andato all’inferno se fosse rimasto ebreo?
la chiesa si erge a paladina del diritto naturale, ma al contrario il caso Mortara dimostra ampiamente che e’ il favor fidei a prevalere sul diritto naturale stesso.