La verità cattolica e il controcanto della pastorale
di Piero Vassallo
Padre Giovanni Cavalcoli o. p. ha esposto una condivisibile tesi sull’infallibilità delle dottrine insegnate dal Concilio Vaticano II. L’affermazione di padre Cavalcoli ha fondamento incrollabile nella dichiarazione di Paolo VI, secondo il quale “la dottrina cattolica non è messa in dubbio dal Concilio o sostanzialmente modificata, ché anzi il Concilio la conferma, la illustra, la difende e la sviluppa con autorevolissima apologia”.
La tradizionale teologia del diritto naturale, ad esempio, è stata solennemente confermata dal Vaticano II.
La Costituzione dogmatica Gaudium et spes, nel capitolo De dignitate conscientiae moralis, contrasta l’ingannevole e rovinosa teoria di Kant e dei kantiani di scuola e di sacrestia, dimostrando che “nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa questo, fuggi quest’altro”.
Con chiarezza magistrale, don Dario Composta precisava che il Concilio predica uno iustum e non di una facultas soggettiva; più un ordine naturale oggettivo e meno una invenzione degli uomini, un ordine e non un ordinamento positivo, che dipende dalla natura e, nella sua purezza istituzionale, dalla storia.
Disconoscere la fedeltà del Vaticano II alla dottrina di sempre, almeno in questo caso, non è seriamente possibile. La Gaudium et spes, affermando un ordine naturale derivante da Dio, indica la via d’uscita dalle illusioni intorno all’uomo legislatore supremo, chimere che dalle empiamente pie pagine di Kant si discendono nelle statolatrie, che hanno offuscato l’età moderna.
E’ quasi inutile rammentare che da tali dottrine dipendono le mostruosità giuridiche (aborto, eutanasia, famiglia pederastica, procreazione eterologa, manipolazioni genetiche ecc.) che oggi avviliscono e tormentano le società sedicenti libere e progredite.
Purtroppo alcuni autorevoli e ufficiali protagonisti del Vaticano II interpretarono a modo loro il chiaro insegnamento del Concilio e in tal modo fecero cadere sul dogma l’ombra della perdente modernità.
Negli agitati e roventi anni del post-concilio, don Composta ha dimostrato che il gesuita Karl Rahner, insieme con un’effervescente risma di teologi modernizzanti, sosteneva, con allarmato e forse finto candore, che l‘uomo d’oggi non si convince facilmente che si diano realtà e norme immutabili.
Allarme che continua ad essere gridato ipocritamente dalle velette della navi teologiche fuori rotta.
Fine nascosto nel tormentoso grido di allarme, infatti, è dimostrare la necessità di modernizzare e addolcire la dottrina cattolica ossia renderla adatta al pensiero dell’uomo da bar e da giornale, che si definisce adulto e vaccinato.
[Se non fosse nota la tartuferia dei teologi modernizzanti sarebbe il caso di rammentare agli scopritori del dubbio nella coscienza dell’uomo contemporaneo, che la difficoltà a riconoscere realtà e norme immutabili fu dichiarata anche da pensatori pre-moderni, ad esempio sofisti, epicurei, gnostici, catari, averroisti, frankisti e libertini].
Imperterriti Rahner e i teologi della sua scuola insinuavano che in metafisica occorre riferirsi a deduzioni trascendentali e non a dati empirici (Cfr.: Dario Composta, Teologia del diritto naturale, Brescia 1972, pag. 53).
Fatta cadere dalla finestra del Vaticano II, la fuorviante filosofia morale di Kant è rientrata in chiesa dalla porta della teologia postconciliare.
E rientrando ha seminato gli stati d’animo confusionari che attualmente agitano i teologi e i prelati ostili all’insegnamento di Benedetto XVI sui princìpi non negoziabili.
A questo punto sorgono spontanee alcune domande: perché il buon grano seminato dal concilio, negli scritti di alcuni eminenti padri conciliari e di molti pastori si è trasformato nel loglio delle teologie avventurose e delle prediche senza sale?
E’ possibile che l’ammirazione per la modernità, in corsa senza controllo tra le righe della pastorale, abbia oscurato le verità dogmatiche solennemente affermate dal Vaticano II?
Si può escludere che gli avventurosi annunci di una splendida primavera cattolica abbiano incoraggiato le tesi sulla chiesa che si adegua alla modernità trionfante in mezzo a fumi satanici?
Perché Kant gode di tanto prestigio nei circoli del progressismo cattolico, quando la filosofia kantiana è ridotta a orticello coltivato solo da appassionati dell’antiquariato? Paolo Pasqualucci, in un saggio edito dalla Fondazione Capograssi, ha demolito le colonne portanti della filosofia kantiana: perché nel mondo cattolico circolano ancora pensieri ispirati dalla pia e infantile soggezione nei confronti del criticismo?
Per quale breccia i rottami del pensiero moderno sono penetrati nella teologia postconciliare per generare errori datati, dubbi senza fondamento, immotivata sfiducia nella tradizione e false attese?
In definitiva, come si può abbattere la confusione imperversante nella Chiesa senza mettere a rischio il primato petrino?
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