IL CULTO DEL SUICIDIO – di Piero Vassallo

Il vento di antiche superstizioni soffia sull’umana fragilità dei moderni

 

di Piero Vassallo

 

 

 

sddEra dettata dalla sana prudenza e non da una deplorata ideologia liberticida la norma, che vietava la pubblicazione,  nella cronaca dei quotidiani, di notizie concernenti i suicidi.

Secondo il diritto naturale e la sana psicologia, infatti, “cooperatori morali e remoti del suicidio sono gli autori di cronache nere e di rappresentazioni demoralizzanti“. Prima della recente svolta libertina, nessuno poteva negare seriamente la nefasta, suggestione esercitata dalla lettura di notizie riguardanti i suicidi su soggetti fragili/impressionabili e predisposti all’imitazione fatale.

Filosofemi intorno all’illimitato potere dell’uomo sulla propria vita e sociologismi intorno al sacro diritto di pubblicizzare il suicidio, ossia il più funesto esito dell’ateismo moderno, hanno legittimato e stanno alimentando la speculazione del giornalismo necrofilo intorno a eventi atroci, che purtroppo destano curiosità morbosa e malsano apprezzamento nei soggetti predisposti all’autodistruzione.

La legittimazione di una libertà falsa e strutturalmente nociva ha accompagnato la corsa al capovolgimento della morale e alla trasformazione, nelle pagine di giornali sciacalleschi, del colpevole di suicidio in martire da consacrare sull’altare del Progresso, della Protesta Civile, della Dignità umana, del Socialismo, della Tenerezza e ultimamente dell’Omofilia.

La giustificazione del suicidio rivela la tendenza del pensiero ultra moderno, socialista e/o liberale, di sinistra e/o di destra, neofrancofortese e/o neonazista, a regredire fino ad attingere i fantasmi di furori antivitali e di gnosi eiettate da una tristezza pagana potenziata dal delirio teologico.

Nel medioevo, ad esempio, la superstizione degli albigesi contemplava l’endura, un lugubre “sacramento”, che aveva per oggetto il digiuno prolungato fino alla morte del santo immaginario.

Guarda caso, i neognostici albigesi furono oggetto di ammirazione da parte dei necromani nazisti, pellegrini a Mont Ségur; dei francofortesi, che rivendicavano la proprietà della dottrina a parer loro usurpata dai teologi nazisti, e della mistica Simone Weil, banditrice di una teologia “decreazionista” e cultrice dell’endura catara.

La verità celata dalle manfrine intorno alla libertà di stampa è che il pensiero moderno apprezza il suicidio in ragione della sua (inavvertita?) dipendenza da eresie  generate dal “mistico” disprezzo del creato e dall’odio cieco verso il Creatore. La dolce morte è un’impresa ultra rivoluzionaria e ultra-antica, indirizzata all’abisso, al nirvana, inteso come mistico rifiuto dell’essere partecipato da Dio. E’ la perfetta realizzazione dell’ateismo predicato dai padri filosofanti della sciagura moderna.

Nonostante l’avvertimento tempestivo lanciato dal cardinale Giuseppe Siri negli anni Cinquanta, l’impetuoso vento dell’eresia nascosta ha soffiato sulla contraffatta pietà, facendo entrare nell’area del progressismo cattolico un’ambigua e rugiadosa valutazione del suicidio.

E’ pertanto doveroso ripetere l’insegnamento del Magistero, secondo cui non è lecito riversare sul suicidio la pietosa sospensione del giudizio sul qualunque suicida.

L’evangelico obbligo di non giudicare riguarda il destino eterno della la persona, non l’azione perversa. Allorché il Santo Curato d’Ars rivelò che un suicida si era salvato pentendosi durante l’attimo del volo mortale, confermò l’obbligo di sospendere il giudizio sulla persona, non sull’atto disordinato e perciò condannabile.

La dignità religiosa della scelta finalizzata alla libera morte è un vaneggiamento generato da una disgraziata e assurda eresia anticristiana. La pietà che obbliga il viatore verso la persona del suicida non è comunicabile al peccato, che è detestabile e in sé rovinoso. L’idea di un paradiso per i suicidi, in ultima analisi, deve essere rispedito al giornalismo liberal-necrofilo, alla  patetica canzonetta teologica dell’ateo Fabrizio De André e alla teologia al rosolio avvelenato da Karl Rahner.

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