IL DIBATTITO SUL CONCILIO. UN INTERVENTO DEL PROF. ROBERTO DE MATTEI. In calce il testo della Costituzione Apostolica “PASTOR AETERNUS”

Il dibattito che si è riaperto sul Concilio, dopo la pubblicazione dell’articolo di Paolo Pasqualucci (IL “DISCORSO CRITICO” CHE LA GERARCHIA NON VUOL FARE. Recensione a: BRUNERO GHERARDINI, “Concilio Vaticano II . Il discorso mancato. Ed. Lindau”) e i successivi interventi di Mons. Brunero Gherardini, di P. Giovanni Cavalcoli e di Cristina Siccardi, si arricchisce ora del contributo del prof. Roberto de Mattei, che ci ha inviato la seguente lettera, che volentieri pubblichiamo:

 

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Concilio Vaticano I  (8 dicembre 1869 – 20 ottobre 1870)

 

Caro direttore,

associandomi ai recenti interventi di Mons. Brunero Gherardini e della dott.ssa Cristina Siccardi nel dibattito da Lei aperto su Riscossa Cristiana, osservo:

Il rev. padre Giovanni Cavalcoli è un valente teologo, ma sul punto continua a produrre articoli e lettere in cui ripete un unico ritornello: quello secondo cui i documenti del Concilio Vaticano II che hanno come oggetto la fede (o la morale) sono infallibili, o quasi, a causa dell’autorità da cui promanano e della materia di cui trattano. Non basta però ripetere mille volte un’opinione perché sia vera. E l’opinione teologica di padre Cavalcoli è in contrasto con l’insegnamento della buona teologia.

Nessun Concilio, infatti, si occupò di questo argomento come il Vaticano I. La promulgazione del dogma dell’infallibilità avvenuta con la costituzione Pastor Aeternus del 18 luglio 1870, fu preceduta da un’ampia discussione e da una lunga relazione finale in cui mons. Vincenzo Gasser, vescovo di Bressanone, chiarì bene requisiti e limiti dell’infallibilità di un Papa e, di conseguenza, di un Concilio a Lui unito[1].

Perché una dottrina possa essere considerata infallibile – spiegò il Relatore – devono verificarsi tre requisiti, nel soggetto, nell’oggetto e nel modo d’insegnamento:1) che il Papa, con o senza il Concilio a lui unito, parli come capo della Chiesa universale; 2) che la materia in cui si esprime riguardi la fede o i costumi; 3) che su quest’oggetto intenda pronunziare un giudizio definitivo.

Con queste precisazioni mons. Gasser intendeva rispondere alle numerose obiezioni, soprattutto di carattere storico, dei Padri conciliari “anti-infallibilisti”. Essi citavano i casi dei Papi Onorio e Liberio, o del Concilio di Costanza, che, di fatto, si allontanarono dalla fede ortodossa per negare con ciò il dogma dell’infallibilità. Ma ad essi venne opportunamente risposto che i Papi e i Concili che avevano errato non lo avevano mai fatto “ex cathedra“, esercitando la prerogativa della infallibilità. In questi casi, non si verificarono dunque tutte le condizioni richieste per l’infallibilità[2]. Se nei casi dei Papi Liberio ed Onorio, nei documenti, suggellati da approvazione pontificia del Concilio Costantinopolitano I o di Costanza, vi era stato errore, ciò era dovuto appunto alla fallibilità (o non infallibilità) di quei documenti.

Non è sufficiente l’autorità che promana un documento (Papa e/o Concilio), e l’oggetto del Magistero (fede e morale) per definirlo infallibile (o quasi): è necessario anche un terzo elemento, il modo di insegnamento. È sufficiente che manchi uno dei tre requisiti indicati dalla costituzione Pastor Aeternus perché il Magistero non possa essere considerato infallibile, ma fallibile senza che questo significhi necessariamente sbagliato. Coloro che vogliono “infallibilizzare” gli atti del Magistero ragionano esattamente come i negatori dell’infallibilità. Tra questi sembra essere anche  il rev. padre Cavalcoli.


Roberto de Mattei


 


[1] Mansi, vol. 52, coll. 1204-1232; cfr. in particolare col. 1214.

[2] Umberto Betti, La costituzione dommatica Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I, Pontificio Ateneo Antoniano, Roma 1961, pp. 644-646.

 

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COSTITUZIONE APOSTOLICA

“PASTOR AETERNUS”

DEL SOMMO PONTEFICE PIO IX “SULL’INFALLIBILITÀ DEL ROMANO PONTEFICE ”


AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI,

PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI

AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE

PACE E COMUNIONE

PIO PP. IX

SERVO DEI SERVI DI DIO

VENERABILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

 

Il Pastore eterno e Vescovo delle nostre anime, per rendere perenne la salutare opera della Reden- zione, decise di istituire la santa Chiesa, nella quale, come nella casa del Dio vivente, tutti i fedeli si ri- trovassero uniti nel vincolo di una sola fede e della carità. Per questo, prima di essere glorificato, pregò il Padre non solo per gli Apostoli, ma anche per tutti coloro che avrebbero creduto in Lui attraverso la loro parola, affinché fossero tutti una cosa sola, come lo stesso Figlio e il Padre sono una cosa sola. Così dunque inviò gli Apostoli, che aveva scelto dal mondo, nello stesso modo in cui Egli stesso era stato in- viato dal Padre: volle quindi che nella sua Chiesa i Pastori e i Dottori fossero presenti fino alla fine dei secoli.

Perché poi lo stesso Episcopato fosse uno ed indiviso e l’intera moltitudine dei credenti, per mezzo dei sacerdoti strettamente uniti fra di loro, si conservasse nell’unità della fede e della comunione, ante- ponendo agli altri Apostoli il Beato Pietro, in lui volle fondato l’intramontabile principio e il visibile fondamento della duplice unità: sulla sua forza doveva essere innalzato il tempio eterno, e la grandezza della Chiesa, nell’immutabilità della fede, avrebbe potuto ergersi fino al cielo [S. LEO M., Serm. IV al. III, cap. 2 in diem Natalis sui]. E poiché le porte dell’inferno si accaniscono sempre più contro il suo fondamento, voluto da Dio, quasi volessero, se fosse possibile, distruggere la Chiesa, Noi riteniamo ne- cessario, per la custodia, l’incolumità e la crescita del gregge cattolico, con l’approvazione del Sacro Concilio, proporre la dottrina relativa all’istituzione, alla perennità e alla natura del sacro Primato Apo- stolico, sul quale si fondano la forza e la solidità di tutta la Chiesa, come verità di fede da abbracciare e da difendere da parte di tutti i fedeli, secondo l’antica e costante credenza della Chiesa universale, e re- spingere e condannare gli errori contrari, tanto pericolosi per il gregge del Signore.


Capitolo I – Istituzione del Primato Apostolico nel Beato Pietro

Proclamiamo dunque ed affermiamo, sulla scorta delle testimonianze del Vangelo, che il primato di giurisdizione sull’intera Chiesa di Dio è stato promesso e conferito al beato Apostolo Pietro da Cristo Signore in modo immediato e diretto. Solamente a Simone, infatti, al quale già si era rivolto: “Tu sarai chiamato Cefa” (Gv 1,42), dopo che ebbe pronunciata quella sua confessione: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo“, il Signore indirizzò queste solenni parole: “Beato sei tu, Simone Bariona; perché non la carne e il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli: e io ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra io edifi- cherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: qualunque cosa avrai legato sulla terra, sarà legata anche nei cieli, e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli” (Mt 16,16-19). E al solo Simon Pietro, dopo la sua risurrezione, Gesù conferì la giu- risdizione di sommo pastore e di guida su tutto il suo ovile con le parole: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore” (Gv 21,15-17). A questa chiara dottrina delle sacre Scritture, come è sempre stata interpretata dalla Chiesa cattolica, si oppongono senza mezzi termini le malvagie opinioni di coloro che, stravol- gendo la forma di governo decisa da Cristo Signore nella sua Chiesa, negano che Cristo abbia investito il solo Pietro del vero e proprio primato di giurisdizione che lo antepone agli altri Apostoli, sia presi in- dividualmente, sia nel loro insieme, o di coloro che sostengono un primato non affidato in modo diretto e immediato al beato Pietro, ma alla Chiesa e, tramite questa, all’Apostolo come ministro della stessa Chiesa.

Se qualcuno dunque affermerà che il beato Pietro Apostolo non è stato costituito da Cristo Signore Principe di tutti gli Apostoli e capo visibile di tutta la Chiesa militante, o che non abbia ricevuto dallo stesso Signore Nostro Gesù Cristo un vero e proprio primato di giurisdizione, ma soltanto di onore: sia anatema.


Capitolo II – Perpetuità del Primato del Beato Pietro nei Romani Pontefici

Ciò che dunque il Principe dei pastori, e grande pastore di tutte le pecore, il Signore Gesù Cristo, ha istituito nel beato Apostolo Pietro per rendere continua la salvezza e perenne il bene della Chiesa, è ne- cessario, per volere di chi l’ha istituita, che duri per sempre nella Chiesa la quale, fondata sulla pietra, si manterrà salda fino alla fine dei secoli. Nessuno può nutrire dubbi, anzi è cosa risaputa in tutte le epo- che, che il santo e beatissimo Pietro, Principe e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ricevette le chiavi del regno da Nostro Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redento- re del genere umano: Egli, fino al presente e sempre, vive, presiede e giudica nei suoi successori, i ve- scovi della santa Sede Romana, da lui fondata e consacrata con il suo sangue [Cf. EPHESINI CONCILII, Act. III]. Ne consegue che chiunque succede a Pietro in questa Cattedra, in forza dell’istituzione dello stesso Cristo, ottiene il Primato di Pietro su tutta la Chiesa. Non tramonta dunque ciò che la verità ha disposto, e il beato Pietro, perseverando nella forza che ha ricevuto, di pietra inoppugnabile, non ha mai distolto la sua mano dal timone della Chiesa [S. LEO M., Serm. III al. II, cap. 3]. È questo dunque il motivo per cui le altre Chiese, cioè tutti i fedeli di ogni parte del mondo, dovevano far capo alla Chiesa di Roma, per la sua posizione di autorevole preminenza, affinché in tale Sede, dalla quale si riversano su tutti i diritti della divina comunione, si articolassero, come membra raccordate alla testa, in un unico corpo [S. IREN., Adv. haer., I, III, c. 3 et CONC. AQUILEI. a. 381 inter epp. S. Ambros., ep. XI] .

Se qualcuno dunque affermerà che non è per disposizione dello stesso Cristo Signore, cioè per dirit- to divino, che il beato Pietro abbia per sempre successori nel Primato sulla Chiesa universale, o che il Romano Pontefice non sia il successore del beato Pietro nello stesso Primato: sia anatema.


Capitolo III – Della Forza e della Natura del Primato del Romano Pontefice

Sostenuti dunque dalle inequivocabili testimonianze delle sacre lettere e in piena sintonia con i de- creti, chiari ed esaurienti, sia dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, sia dei Concili generali, riba- diamo la definizione del Concilio Ecumenico Fiorentino che impone a tutti i credenti in Cristo, come verità di fede, che la Santa Sede Apostolica e il Romano Pontefice detengono il Primato su tutta la terra, e che lo stesso Romano Pontefice è il successore del beato Pietro, Principe degli Apostoli, il vero Vicario di Cristo, il capo di tutta la Chiesa, il padre e il maestro di tutti i cristiani; a lui, nella persona del beato Pietro, è stato affidato, da nostro Signore Gesù Cristo, il pieno potere di guidare, reggere e governare la Chiesa universale. Tutto questo è contenuto anche negli atti dei Concili ecumenici e nei sacri canoni.

Proclamiamo quindi e dichiariamo che la Chiesa Romana, per disposizione del Signore, detiene il primato del potere ordinario su tutte le altre, e che questo potere di giurisdizione del Romano Pontefi- ce, vero potere episcopale, è immediato: tutti, pastori e fedeli, di qualsivoglia rito e dignità, sono vinco- lati, nei suoi confronti, dall’obbligo della subordinazione gerarchica e della vera obbedienza, non solo nelle cose che appartengono alla fede e ai costumi, ma anche in quelle relative alla disciplina e al go- verno della Chiesa, in tutto il mondo. In questo modo, avendo salvaguardato l’unità della comunione e della professione della stessa fede con il Romano Pontefice, la Chiesa di Cristo sarà un solo gregge sotto un solo sommo pastore. Questa è la dottrina della verità cattolica, dalla quale nessuno può allontanarsi senza perdita della fede e pericolo della salvezza.

Questo potere del Sommo Pontefice non pregiudica in alcun modo quello episcopale di giurisdizione, ordinario e immediato, con il quale i Vescovi, insediati dallo Spirito Santo al posto degli Apostoli, come loro successori, guidano e reggono, da veri pastori, il gregge assegnato a ciascuno di loro, anzi viene confermato, rafforzato e difeso dal Pastore supremo ed universale, come afferma solennemente San Gregorio Magno: “Il mio onore è quello della Chiesa universale. Il mio onore è la solida forza dei miei fratel- li. Io mi sento veramente onorato, quando a ciascuno di loro non viene negato il dovuto onore” [Ep. ad Eulog. Alexandrin., I, VIII, ep. XXX].

Dal supremo potere del Romano Pontefice di governare tutta la Chiesa, deriva allo stesso anche il diritto di comunicare liberamente, nell’esercizio di questo suo ufficio, con i pastori e con i greggi della Chiesa intera, per poterli ammaestrare e indirizzare nella via della salvezza. Condanniamo quindi e re- spingiamo le affermazioni di coloro che ritengono lecito impedire questo rapporto di comunicazione del capo supremo con i pastori e con i greggi, o lo vogliono asservire al potere civile, poiché sostengono che le decisioni prese dalla Sede Apostolica, o per suo volere, per il governo della Chiesa, non possono avere forza e valore se non vengono confermate dal potere civile.

E poiché per il diritto divino del Primato Apostolico il Romano Pontefice è posto a capo di tutta la Chiesa, proclamiamo anche ed affermiamo che egli è il supremo giudice dei fedeli [PII VI, Breve Super soliditate, d. 28 Nov. 1786] e che in ogni controversia spettante all’esame della Chiesa, si può ricorrere al suo giudizio [CONC. OECUM. LUGDUN. II]. È evidente che il giudizio della Sede Apostolica, che detiene la più alta autorità, non può essere rimesso in questione da alcuno né sottoposto ad esame da parte di chicchessia [Ep. Nicolai I ad Michaelem Imperatorem]. Si discosta quindi dal retto sentiero del- la verità chi afferma che è possibile fare ricorso al Concilio Ecumenico, come se fosse investito di un po- tere superiore, contro le sentenze dei Romani Pontefici.

Dunque se qualcuno affermerà che il Romano Pontefice ha semplicemente un compito ispettivo o direttivo, e non il pieno e supremo potere di giurisdizione su tutta la Chiesa, non solo per quanto ri- guarda la fede e i costumi, ma anche per ciò che concerne la disciplina e il governo della Chiesa diffusa su tutta la terra; o che è investito soltanto del ruolo principale e non di tutta la pienezza di questo su- premo potere; o che questo suo potere non è ordinario e diretto sia su tutte e singole le Chiese, sia su tutti e su ciascun fedele e pastore: sia anatema.


Capitolo IV – Del Magistero Infallibile del Romano Pontefice

Questa Santa Sede ha sempre ritenuto che nello stesso Primato Apostolico, posseduto dal Romano Pontefice come successore del beato Pietro Principe degli Apostoli, è contenuto anche il supremo potere di magistero. Lo conferma la costante tradizione della Chiesa; lo dichiararono gli stessi Concili Ecume- nici e, in modo particolare, quelli nei quali l’Oriente si accordava con l’Occidente nel vincolo della fede e della carità. Proprio i Padri del quarto Concilio di Costantinopoli, ricalcando le orme dei loro antenati, emanarono questa solenne professione: “La salvezza consiste anzitutto nel custodire le norme della retta fede. E poiché non è possibile ignorare la volontà di nostro Signore Gesù Cristo che proclama: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”, queste parole trovano conferma nella realtà delle cose, perché nella Se- de Apostolica è sempre stata conservata pura la religione cattolica, e professata la santa dottrina. Non volendo quindi, in alcun modo, essere separati da questa fede e da questa dottrina, nutriamo la speranza di poterci mante- nere nell’unica comunione predicata dalla Sede Apostolica, perché in lei si trova tutta la vera solidità della religio- ne cristiana” [Ex formula S. Hormisdae Papae, prout ab Hadriano II Patribus Concilii Oecumenici VIII, Constantinopolitani IV, proposita et ab iisdem subscripta est]. Nel momento in cui si approvava il se- condo Concilio di Lione, i Greci dichiararono: “La Santa Chiesa Romana è insignita del pieno e sommo Pri- mato e Principato sull’intera Chiesa Cattolica e, con tutta sincerità ed umiltà, si riconosce che lo ha ricevuto, con la pienezza del potere, dallo stesso Signore nella persona del beato Pietro, Principe e capo degli Apostoli, di cui il Romano Pontefice è successore, e poiché spetta a lei, prima di ogni altra, il compito di difendere la verità della fede, qualora sorgessero questioni in materia di fede, tocca a lei definirle con una sua sentenza”. Da ultimo il Concilio Fiorentino emanò questa definizione: “Il Pontefice Romano, vero Vicario di Cristo, è il capo di tutta la Chiesa, il padre e il maestro di tutti i Cristiani: a lui, nella persona del beato Pietro, è stato affidato, da nostro Signore Ge- sù Cristo, il supremo potere di reggere e di governare tutta la Chiesa“.


Allo scopo di adempiere questo compito pastorale, i Nostri Predecessori rivolsero sempre ogni loro preoccupazione a diffondere la salutare dottrina di Cristo fra tutti i popoli della terra, e con pari dedi- zione vigilarono perché si mantenesse genuina e pura come era stata loro affidata. È per questo che i Vescovi di tutto il mondo, ora singolarmente ora riuniti in Sinodo, tenendo fede alla lunga consuetudi- ne delle Chiese e salvaguardando l’iter dell’antica regola, specie quando si affacciavano pericoli in or- dine alla fede, ricorrevano a questa Sede Apostolica, dove la fede non può venir meno, perché proce- desse in prima persona a riparare i danni [Cf. S. BERN. Epist. CXC]. Gli stessi Romani Pontefici, come richiedeva la situazione del momento, ora con la convocazione di Concili Ecumenici o con un sondag- gio per accertarsi del pensiero della Chiesa sparsa nel mondo, ora con Sinodi particolari o con altri mezzi messi a disposizione dalla divina Provvidenza, definirono che doveva essere mantenuto ciò che, con l’aiuto di Dio, avevano riconosciuto conforme alle sacre Scritture e alle tradizioni Apostoliche. Lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede. Fu proprio questa dottrina apostolica che tutti i venerabili Padri abbracciarono e i santi Dottori ortodossi venerarono e seguirono, ben sapen- do che questa Sede di San Pietro si mantiene sempre immune da ogni errore in forza della divina pro- messa fatta dal Signore, nostro Salvatore, al Principe dei suoi discepoli: “Io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede, e tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli“.

Questo indefettibile carisma di verità e di fede fu dunque divinamente conferito a Pietro e ai suoi successori in questa Cattedra, perché esercitassero il loro eccelso ufficio per la salvezza di tutti, perché l’intero gregge di Cristo, distolto dai velenosi pascoli dell’errore, si alimentasse con il cibo della celeste dottrina e perché, dopo aver eliminato ciò che porta allo scisma, tutta la Chiesa si mantenesse una e, appoggiata sul suo fondamento, resistesse incrollabile contro le porte dell’inferno.

Ma poiché proprio in questo tempo, nel quale si sente particolarmente il bisogno della salutare pre- senza del ministero Apostolico, si trovano parecchie persone che si oppongono al suo potere, riteniamo veramente necessario proclamare, in modo solenne, la prerogativa che l’unigenito Figlio di Dio si è de- gnato di legare al supremo ufficio pastorale.

Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cri- stiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel defi- nire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono im- mutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa.

Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio non voglia!: sia anatema.

Dato a Roma, nella pubblica sessione celebrata solennemente nella Basilica Vaticana, nell’anno 1870 dell’Incarnazione del Signore, il 18 luglio, venticinquesimo anno del Nostro Pontificato.


PIO PP. IX

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