Il digitale minaccia l’intelligenza. Ce lo fa sapere il Ministero dell’Istruzione. E allora che ne facciamo della “Scuola 4.0”?

Questa settimana, riguardo la scuola, sono successe cose bizzarre (questioni legate a quelle che abbiamo già affrontato in un articolo del 14 dicembre e in un articolo del 16 dicembre). Per esempio, il 20 dicembre scorso è stata protocollata una circolare del Ministero dell’istruzione e del merito avente ad oggetto: “Indicazioni sull’uso dei telefoni cellulari e analoghi dispositivi elettronici in classe”: indicazioni volte a contrastare, di questi, gli utilizzi impropri e non consentiti.

La circolare merita una breve disamina e una sommaria scomposizione, perché il suo contenuto, peraltro piuttosto contraddittorio, verosimilmente non ne esaurisce il senso: il senso emerge dalla lettura del suo testo in combinato disposto con il testo di un interessante allegato. Il tutto costituisce, almeno in parte, una sorpresa.

Il contenuto espresso della circolare si delinea soprattutto per relationem: il ministro Valditara ha recuperato infatti una circolare risalente al 2007 a firma del suo predecessore Fioroni e ne ha confermata la vigenza, evincendo da essa la permanenza, in via generale, del divieto di utilizzo in classe di telefoni cellulari. Il vecchio documento viene citato nel nuovo laddove stabilisce che «l’uso del cellulare e di altri dispositivi elettronici rappresenta un elemento di distrazione sia per chi lo usa sia per i compagni, oltre che una grave mancanza di rispetto per il docente configurando, pertanto, un’infrazione disciplinare sanzionabile attraverso provvedimenti orientati non solo a prevenire e scoraggiare tali comportamenti ma anche, secondo una logica educativa propria dell’istituzione scolastica, a stimolare nello studente la consapevolezza del disvalore dei medesimi».

In apparente contraddizione con questo richiamo testuale, nel terzultimo capoverso della circolare il ministro Valditara prevede, viceversa, come sia «consentito l’utilizzo di tali dispositivi in classe, quali strumenti compensativi di cui alla normativa vigente, nonché, in conformità al Regolamento di Istituto, con il consenso del docente, per finalità inclusive, didattiche e formative, anche nel quadro del Piano Nazionale Scuola Digitale e degli obiettivi della c.d. “cittadinanza digitale” di cui all’art. 5 L. 25 agosto 2019, n. 92». Tana libera tutti.

Per la cronaca, la legge 92 richiamata è quella istitutiva della c.d. nuova educazione civica (alias Agenda 2030). Durante questo passaggio della sua circolare, il ministro fa un tuffo nell’universo lessicale scolastico deteriore, infilando una serie di formule di ordinanza che ben si attagliano alla apertura che dispone.

Sta di fatto, comunque, che questo capoverso mitiga e parzialmente smentisce l’affermazione generale enunciata nella prima parte della circolare, perché di fatto attribuisce alle singole scuole e, di più, ai singoli docenti, una piena discrezionalità nel consentire, pur formalmente “in deroga”, l’uso degli strumenti telematici.

Dunque, è posta prima una regola di ordine generale, che suona come raccomandazione – da trasfondere nei regolamenti e nei patti di corresponsabilità – e poi una riserva illimitata che disinnesca la spinta pedagogica della regola.

E però. C’è ancora un però. Ciò che alla fine colora l’intervento del ministro in carica è l’allegato alla circolare. Un allegato che si può definire esplosivo per quello che contiene e che, se il suo contestuale invio in tutte le scuole d’Italia ha un significato, dovrebbe esprimere l’orientamento ideale di questo governo in materia di uso e abuso della tecnologia digitale da parte dei più giovani.

Si tratta della Relazione finale della indagine conoscitiva condotta dalla Settima Commissione Permanente del Senato “Sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento”, ed esposta nella seduta del 9 giugno 2021 dall’allora senatore Andrea Cangini. I lavori della commissione, conclusi in quella data, erano cominciati nell’aprile 2019, prima dell’inizio dell’era pandemica, nonché prima della adozione della legge 92 di cui sopra.

Il testo, redatto sulla scorta, oltre che di una copiosa letteratura scientifica internazionale, anche delle audizioni di psichiatri, neurologi, psicologi, pedagogisti, grafologi, esponenti delle forze dell’ordine, enumera i gravissimi danni fisici e psicologici che discendono, incontrovertibilmente, dall’uso/abuso della strumentazione digitale (smartphone, videogiochi, tablet), ma soprattutto afferma come tale uso/abuso comporti la «progressiva perdita delle facoltà mentali essenziali», ovvero delle «facoltà che per millenni hanno rappresentato quella che sommariamente chiamiamo intelligenza».

Per avere una visione prodromica del disastro annunciato, la relazione suggerisce di guardare agli effetti che la sbornia digitale ha prodotto sulle giovani generazioni in Cina, Giappone, Corea, modelli avanzatissimi quanto alla diffusione della tecnologia e perciò anticipatori delle sue devastanti ricadute, dove da anni proliferano i centri di disintossicazione.

«In Cina i giovani “malati” sono 24 milioni», si legge. «Quindici anni fa è sorto il primo centro di riabilitazione, naturalmente concepito con logica cinese: inquadramento militare, tute spersonalizzanti, lavori forzati, elettroshock, uso generoso di psicofarmaci. Un campo di concentramento. Da allora, di luoghi del genere ne sono sorti circa 400. Analoga situazione in Giappone, dove per i casi più estremi è stato coniato un nome: “hikikomori“. Significa “stare in disparte”». Gli hikikomori «vegetano chiusi nelle loro camerette, perennemente connessi con qualcosa che non esiste nella realtà». «In Giappone sono circa un milione. Un milione di zombie».

I dispositivi – diventati una sorta di “appendice del corpo” portatrice di algoritmi programmati per adescare e trattenere i possessori del corpo medesimo – generano dipendenza e riducono la neuroplasticità del cervello – dice la relazione. Il cervello infatti agisce come un muscolo, si sviluppa in base all’uso che se ne fa e, se una determinata facoltà non sia esercitata, si atrofizza. «Niente di diverso dalla cocaina – si legge nel documento – stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche».

In conclusione, «dal ciclo delle audizioni svolte e delle documentazioni acquisite non sono emerse evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato all’insegnamento. Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate dimostrano, numeri alla mano, il contrario». Dunque, «rassegnarsi a quanto sta accadendo sarebbe colpevole. Fingere di non conoscere i danni che l’abuso di tecnologia digitale sta producendo sugli studenti e in generale sui più giovani sarebbe ipocrita. Come genitori e ancor più come legislatori avvertiamo il dovere di segnalare il problema, sollecitando Parlamento e Governo a individuare i possibili correttivi». Per non rendere i nostri figli drogati e decerebrati.

In pratica, insomma, il ministro Valditara riesuma dalla naftalina un documento prodotto nella legislatura precedente, allo scopo di esprimere una propria sacrosanta linea di indirizzo in chiara rotta di collisione con la frenesia tecnologica coessenziale al PNRR. O forse, per mettere una buona volta tutti – politici, burocrati assortiti, insegnanti, genitori – di fronte alla propria immane responsabilità. Almeno così pare, a meno che non sia una finta.

Resta da vedere quale reale deterrenza questa posizione possa esercitare davanti all’onda d’urto della rivoluzione digitale in agenda per il mondo della scuola, legata ai finanziamenti stratosferici del Piano che sappiamo. Quando le scuole cadono a pezzi. Quando gli insegnanti sono sottopagati. Quando il decoro, la cura e la bellezza sono programmaticamente banditi dai luoghi di studio per fare largo ai deliri di Schwab, di Draghi e di Cingolani, del quale ultimo ricordiamo commossi in chiusura l’indimenticato epitaffio: «Non serve studiare quattro volte le guerre puniche, occorre cultura tecnica: serve formare i giovani per le professioni del futuro, quelle di digital manager per esempio». Bip.

3 commenti su “Il digitale minaccia l’intelligenza. Ce lo fa sapere il Ministero dell’Istruzione. E allora che ne facciamo della “Scuola 4.0”?”

  1. Si, tutto vero. Manca un particolare: i docenti sono dipendenti dagli smartphone ancor più degli studenti e utilizzano lo strumento durante l’orario di servizio per questioni extrascolastiche.

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