Il dio-denaro: sotto il vestito, niente

Si fa tanto parlare oggi del dio-denaro. Nel subconscio collettivo esso certamente ha sostituito il vero Dio, ormai relegato al ruolo di soprammobile, da aggiungersi all’arredamento generale in occasione delle principali festività o di qualche importante celebrazione, ma poi subito da riporre nell’ombra di una religiosità intimistica svuotata di ogni significativo impatto sul reale od al ruolo subalterno ed ancillare di portavoce della gioiosa propaganda mondialista e globalista.

Ebbene, questo dio-denaro è un dio particolare, che affascina con le sue tentazioni, che ammalia con il suo luccicare, che attrae con le sue lusinghe, ma che, a uno sguardo più ravvicinato, svela immediatamente il suo vero volto, quello di maschera tragica dietro cui si cela il nulla.

L’uomo ricerca il denaro perché lo associa a una serie senza fine e tra loro molto varia di fantasie/possibilità che lo attraggono: il potere di acquistare oggetti di consumo, il potere di elevare attraverso questi stessi beni il proprio rango sociale e il proprio prestigio, il potere di controllare il comportamento degli altri, il potere di non essere più condizionato dal lavoro e dai limiti del reale in generale, il potere di imporre la propria visione politica sugli altri, il potere di conquistare facilmente partner sessuali molto appetibili, il potere di raggiungere la tranquillità d’animo. A volte anche il potere di fare del bene al nostro prossimo.

In sintesi, il denaro viene vissuto e percepito come quello strumento magico il cui possesso può assicurare la soddisfazione ultima di tutti i nostri desideri, il famoso “tessoro” divenuto noto a tutti con Il Signore degli Anelli.

Il problema quindi non sta tanto nell’aspirazione che è alla base della divinizzazione del denaro – il soddisfacimento delle aspirazioni del cuore dell’uomo – ma nel fatto che il denaro – essendo fondamentalmente, come vedremo, il nulla – non è in grado di dare alcuna direzione rispetto ai contenuti di tali desideri. Anzi, in un drammatico gioco di specchi, può solo rimandare ad altre realtà, parziali e limitate, dell’universo mondo, da cui si pretende l’impossibile, cioè appunto che siano in grado di dare una risposta alla profonda domanda di felicità dell’essere umano.

La divinizzazione del denaro, in questo senso, non è altro che una enorme menzogna e una tragica illusione che sopravvive solo con i giochi di prestigio dei suoi sacerdoti – i banchieri e a catena tutti coloro che a questi sono asserviti – che sono forzati a sostituire la realtà vera con una pseudo-realtà, basata sulla tecnica e la tecnologia, del tutto auto-referenziale (messianesimi politici e sociali, realtà virtuale, intelligenza artificiale, farmaci che modificano gli stati mentali, pornografia).

In questo senso il dio-denaro è intrinsecamente legato alla necessità di ricreare una nuova realtà, secondo il classico spirito gnostico cabalistico. Il legame tra gnosi cabalistica e divinizzazione del denaro è ancora più forte se si pensa al mito antichissimo della pietra filosofale, della formula cioè per trasformare le pietre in oro.

Che cosa è il denaro se non lo strumento che rende possibile tale magia, cioè quell’entità mercuriale e trasformatrice in grado, attraverso la sua riproduzione per mezzo dell’interesse e attraverso la sua creazione dal nulla da parte dei banchieri, di generare valore da pezzi di carta o input di computer, appunto sostituendosi all’attività creatrice divina?

Ciò spiega anche la radicale opposizione del pensiero aristotelico tomista all’impero del denaro: come può una visione filosofica che si basa sul rispetto e la scoperta dell’essere – e dell’ordine che lo presiede – incensare un ente creato dal nulla per trasformare e dominare il reale, un ente che, alla fine, condanna se stesso e l’intero universo all’interno della dimensione del finito e del transeunte, condito solo da qualche aspetto magico.

Il denaro infatti, preso per se stesso al di fuori di ogni contesto, è il nulla. Infatti esso è mera convenzione umana, è un valore spirituale – quindi prodotto dalla parte incorporea della persona – legato ad un simbolo fisico (carta, scritture, input di computer).

Aristotele lo aveva già capito nel IV secolo a.C., tanto è vero che aveva chiarito che, per mantenere la propria funzione e non essere snaturata, la moneta non può altro che essere priva di interesse, priva cioè della capacità di generare da sé valore o beni, come possono fare solo gli esseri viventi, la natura o Dio. Se alla moneta fosse concesso di autoprodursi attraverso l’interesse, essa immediatamente verrebbe sfigurata nella propria essenza ed incomincerebbe a essere fonte di grave malessere per il corpo sociale, sostituendosi al lavoro umano e alla natura nella produzione di valore e causando così gravi ingiustizie, sperequazioni, disequilibri di ordine economico e sociale.

Questa deriva gnostico cabalistica si realizzò progressivamente a partire dal tardo medioevo con il graduale cedimento di fronte alla proibizione dell’usura o prestito a interesse – bandita ancora con fermezza dal Concilio di Vienna del 1312 – e si consolidò poi in maniera devastante nel 1694 con la fondazione della Banca d’Inghilterra – prototipo di tutte le future banche centrali – quando la moneta privata bancaria carica di debito fu autorizzata a diventare moneta a corso legale.

L’energia propulsiva del capitalismo si può dire con certezza che fu basata su questo fenomeno magico cabalistico chiamato “moneta debito”, generata dal nulla dai banchieri ed emessa come debito nei confronti di terzi, Stati, cittadini e imprese. Fu basata quindi in sostanza sul nulla e questo nulla fece sentire da allora periodicamente la sua presenza, travolgendo più volte nella polvere le economie di intere nazioni quando la realtà tornò a far pagare il suo conto, a bussare alla porta degli imprenditori e dei tanti lavoratori, ricordando loro che tale denaro era stato tutto emesso come debito e doveva pertanto prima o poi essere restituito e che la moneta per pagare i relativi interessi semplicemente non esisteva.

Allo stesso modo il mondo incominciò a dividersi in due schiere, la piccola minoranza dei seguaci di questo culto magico – coloro che creavano il denaro e ne traevano conseguenze vantaggiose – e la grande massa dei paria che erano obbligati ad accettare tale denaro per le proprie transazioni, a guadagnarlo con il sudore della propria fronte e ad essere sottomessi al carico tanto artificiale quanto pesante di un debito in inevitabile ed esponenziale ascesa.

Numerose volte nel corso della storia – a partire dal XVIII fino ad oggi – si verificarono crisi sistemiche che mostrarono l’insostenibilità del sistema stesso. Ma i presbiteri del “denaro debito”, che avevano acquisito posizioni di potere in quasi tutte le sfere dell’agire umano, furono sempre abilissimi nel rilanciare e utilizzare ogni crisi come opportunità per razziare ulteriormente il corpo sociale con la speculazione e per affinare e consolidare il meccanismo del “denaro debito” stesso, concentrando sempre di più ricchezze e potere nelle loro mani, fino ad arrivare alla situazione attuale in cui i primi 28 super-ricchi del mondo hanno un patrimonio pari a quello della metà degli abitanti di questa terra.

Concludendo, si può a buon diritto dire che viviamo in un’epoca di paradossi, in cui siamo dominati da un dio sotto il cui vestito non c’è il niente!

La via d’uscita è basata sulla retta ragione e la ragionevolezza illuminate dalla Fede: è la strada di un sano ritorno al reale – anche e soprattutto dal punto di vista monetario – e del rigetto, convinto e motivato, della magia gnostico-cabalistica del denaro-debito bancario. Riprendendo il pensiero aristotelico-tomista, si tratta semplicemente di introdurre una moneta creata dai legittimi poteri politici, priva di debito e di interesse, finalizzata al finanziamento di opere e iniziative orientate al bene comune, in quantità corrispondente alla disponibilità di beni e servizi reali.

Il dio-denaro ritornerà così ad essere quello che avrebbe sempre dovuto essere: uno strumento umano limitato ma indispensabile per l’effettuazione degli scambi e dei gesti di solidarietà – e quindi per la prosperità – di ogni società civile.

(Matteo Mazzariol è Presidente del Movimento Distributista Italiano)

1 commento su “Il dio-denaro: sotto il vestito, niente”

  1. Bellissimo articolo e profondo nelle riflessioni, con una conclusione condivisibilissima per chi ancora è nell’esiguo mondo degli esseri ragionevoli e rispettosi dell’umanità che è stata loro data; tuttavia, alla luce della realtà, l’auspicio appare tristemente irrealizzabile, specie ora che tutto ci è contro e l’inferno è liberamente allo scoperto senza che i più se ne accorgano. Il Signore Dio è troppo stanco dell’umana protervia e, a diritto, non può più trattenere i suoi terribili castighi. Ma Lei, la Stella del Cielo, mediatrice di tutte le grazie, abbia pietà di noi.

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