La gigantesca operazione commerciale, infrastrutturale e geopolitica chiamata Via della Seta (One Road, One Belt), ha riportato alla luce il Grande Gioco, la complessa partita dai due livelli- uno visibile e l’altro sotterraneo, riservato- il cui obiettivo strategico è il controllo dell’area centrale del pianeta, l’immensa placca continentale chiamata Eurasia. Dal punto di vista politico, può essere un mezzo per far uscire l’Europa dal cono d’ombra dell’egemonia atlantica americana attraverso un’alleanza – non solo economica – con le potenze asiatiche e la Russia.

Contemporaneamente, oltre alle tradizionali aree di crisi del Medio Oriente, osserviamo le fratture geopolitiche in Ucraina, nei Balcani e la complessa partita che si gioca in Sudamerica attorno al Venezuela. Il rovinoso fallimento del regime bolivariano non interesserebbe se il paese non possedesse immense riserve di idrocarburi, oro e uranio.

L’analisi politica deve partire da un elemento di fondo: dimenticare ideologie e principi, prendere atto che il Grande Gioco ha un unico scopo: il potere, fine e credo fondamentale di tutte le alleanze e inimicizie internazionali. Il suo conseguimento, mantenimento, ampliamento determina una particolare morale capovolta alla base della politica reale, che determina l’economia, il diritto e per estensione l’ordine mondiale. Il mezzo degli attori internazionali è la geopolitica, ovvero il controllo economico territoriale in vista di obiettivi strategici. È sempre difficile trattare questi temi con il distacco, il realismo e l’approccio di lungo periodo richiesto dalla materia. Assai più semplice è il ricorso alle sirene dell’ideologia o agli imperativi dell’etica corrente, inadatta a spiegare gli eventi, come comprese Nicolò Machiavelli, primo scienziato della politica.

Per questo la geopolitica, scienza introdotta dal geografo svedese Rudolf Kjellen, non ha mai raggiunto il grande pubblico. L’eurasiatismo culturale teorizzò con Piotr Savitzky il concetto di spazio sviluppo, inteso come luogo in cui in cui accadono fatti specifici e si determinano condizioni per ragioni geografiche, ambientali e culturali. Il pensatore tradizionalista René Guénon chiamò spazio qualificato ogni luogo potenzialmente in grado di essere teatro ed insieme artefice di eventi. In area tedesca Karl Haushofer, un generale di impronta prussiana, tematizzò lo “spazio vitale”, lebensraum, l’area di sviluppo delle genti germaniche. Il russo Alexsandr Dugin interpreta oggi il concetto in senso metapolitico, traducendolo come spazio della vita.

I grandi della geopolitica, alla luce delle cui acquisizioni possiamo interpretare gli accadimenti odierni, sono Sir Halford Mackinder, Nicholas J. Skypman e Alfred Thalvert Mahan. La loro influenza orienta tuttora la strategia delle potenze anglosassoni. Mackinder (1861-1947), tra i fondatori della London School of Economics, è il geografo più influente di sempre, padre della teoria geopolitica dominante. Studioso prolifico dai molteplici interessi, la sua opera capitale fu Il perno geografico della storia, pubblicato nel 1904, cuore della sua concezione del potere geopolitico.

Mackinder divise il pianeta in quattro grandi aree. La principale, vero e proprio asse planetario, la chiamò Isola-Mondo, l’enorme placca continentale formata dall’Eurasia e dall’Africa. Le altre erano le Americhe e l’Australia, anelli esterni (outlying islands),la costa dell’Eurasia l’anello intermedio (offshore islands) che incrocia i territori dell’Islam e include alcune importanti isole ed arcipelaghi (Gran Bretagna, Giappone) e fiancheggia un territorio continentale interno privo di coste navigabili per tutto l’anno. Mackinder lo definì Heartland, il cuore della Terra.

Esistono distinte rappresentazioni del territorio perno dell’isola-mondo eurasiatica. La migliore è quella che include l’immenso entroterra della Russia più la Bielorussia, parte dell’Ucraina – oggi contesa tra la Russia e gli interessi americani – l’Iran, l’Afghanistan, le repubbliche (ex sovietiche e prima zariste) dell’Asia centrale, la Mongolia e parte della Cina. Mackinder intese quest’area come capace di chiudersi agli attacchi esterni, dotata di risorse e forza sufficiente per determinare il dominio sul mondo. In Europa, le sue linee di confine toccano la Polonia e i Carpazi, dove la Nato a trazione americana ha stabilito basi e la Russia reagisce rafforzando i legami tradizionali con Bielorussia e Moldavia; più al centro include la Serbia, appendice del mondo ortodosso panslavo.

Mackinder fissò la massima secondo la quale chi governa l’Europa Orientale ha l’egemonia sull’area perno, l’Heartland; ciò chiarifica le strategie americane e la tenace resistenza russa, estesa alla proposta di un nuovo eurasiatismo politico-culturale. Ai tempi di Mackinder la Cina non faceva ancora parte del grande gioco, se non come preda e scenario di guerre coloniali. Il professore britannico propose la seguente teorizzazione, una sorta di effetto domino geostrategico: chi governa l’Europa Orientale comanda l’Heartland, chi governa l’Heartland comanda sull’Isola-Mondo, chi governa l’Isola-Mondo comanda il pianeta.

La distinzione tra governare e comandare rimanda ai ruoli di potenze regionali e potenze mondiali, include la differenza tra influenza e decisione diretta. C’è un divario tra comandare e governare e il Grande Gioco si dispiega su tale lama sottile, uno dei cui momenti più intensi fu l’avventura coloniale in Asia Centrale che mise di fronte gli imperi russo e britannico per il controllo dell’area-perno. La variante fu che gli inglesi agivano non dalla Cina, ma attraverso l’India.

Oggi, l’impulso per il dominio dell’Heartland proviene dalla Cina con la sua iniziativa di infrastrutture terrestri che esclude il subcontinente indiano, il cui inizio, sotto Mao, fu l’occupazione e la sostituzione etnica del Tibet, “tappo” nei confronti dell’India, protezione della grande pianura centrale, area chiave della nazione, con l‘ ulteriore obiettivo del controllo del mondo buddista, tanto influente nell’ Oriente asiatico.

La Cina sembra riprodurre l’antico schema delle potenze “di terra”, contrapposte a quelle di mare, talassocratiche, Gran Bretagna e poi Stati Uniti, uno schema metastorico caro a Carl Schmitt, sviluppato in concreto dal pensiero dello statunitense Nicholas J. Skypman, le cui origini olandesi spiegano la preferenza accordata al dominio dei traffici e delle rotte marittime.

Skypman accetta le tesi di Mackinder ma non ritiene necessario controllare strettamente il perno (Heartland), bensì mantenere l’egemonia sull’anello intermedio, l’area geografica di cui è parte anche il nostro pezzo di Europa. Introduce così il concetto di Rimland, o zona costiera dell’isola-mondo eurasiatica, enfatizzando la dimensione geopolitica oceanica, con tutto ciò che la cultura marittima implica in termini politici, economici e militari rispetto a quella continentale.

È una riedizione, l’ennesima, della contrapposizione millenaria tra terra e mare, risalente al conflitto tra ateniesi e spartani, espressa nei termini di imperialismo contro egemonia, due termini chiariti efficacemente, rispetto al ruolo storico degli Stati Uniti, da Octavio Paz, il poeta messicano premio Nobel, diplomatico professionista.

Skypman resta uno scenarista di primaria importanza, giacché le sue analisi furono alla base della politica americana di contenimento del comunismo e della strategia di schieramento delle forze armate, ma sembra altresì orientare una parte delle scelte cinesi, che continuano ad evitare l’India nella parte marittima della via della seta. Gli investimenti cinesi in Kenya (Africa orientale affacciata all’oceano Indiano) possono essere visti come un elemento contemporaneo dell’” anello centrale” di Mackinder. La penetrazione cinese nel continente nero è fortissima e coinvolge tutte le aree, con sistemi di appoggio nell’Africa centrale e occidentale, più la fondazione di città dotate di moderne infrastrutture, destinate a coloni e classi dirigenti della madrepatria.

L’Europa, in tutto questo, è la grande assente. Si ha la sensazione che la sua dissoluzione biologica sia tra gli obiettivi del Grande Gioco, a partire dalla diffusione massiccia di correnti di pensiero orientate alla distruzione demografica degli europei di sangue (la razza “caucasica”), dedite alla diffamazione sistematica della nostra storia e cultura. Nulla nasce dal caso, si tratta di fenomeni di lungo periodo alimentati ad arte, con la complicità di ascari al servizio di potenze concorrenti ed interessi opposti ai nostri.

Come sempre, divide et impera; se non puoi eliminare i nemici dal centro, devi controllare la periferia e sovvertirla con conflitti artificiali in grado di determinare dure contraddizioni, debilitando il sistema. Potremmo chiamarla teoria Soros, dal nome dello speculatore finanziatore di tutte le cause anti europee. Non solo per il sostegno all’immigrazione massiccia dall’Africa, ma anche per l’interesse nei confronti di movimenti separatisti e, specularmente, di correnti orientate a creare un super Stato europeo al servizio del potere finanziario e degli interessi atlantici. Non si dimentichi che il potere, ai livelli massimi, confina con la più rovinosa sociopatia, talora con deliri di onnipotenza dalle imprevedibili conseguenze.

Mackinder e Spykman non potevano immaginare la denatalità occidentale; non era possibile, al tempo loro, il controllo delle nascite né pensabile l’esplosione demografica del Terzo e Quarto Mondo. Un epigono fu Samuel Huntington, il teorico dello scontro delle civiltà, la cui opera ha come nucleo il mantenimento del dominio americano nell’ambito di un’alleanza diseguale con l’Europa occidentale.

Mackinder e Spykman non furono in grado di intuire il ruolo crescente che avrebbe assunto la Cina. Oggi, anche a limitarci a valutare l’avanzata asiatica in termini di PIL, un’alleanza “costiera” del tipo di quella consigliata da Spykman, condanna l’Europa, priva di forza militare, con armamenti nucleari scarsi e obsoleti, moralmente incapace di reazioni vitali, in ritardo nel controllo delle reti di comunicazioni e debitrice tecnologica degli Usa, a un vassallaggio nei confronti dei protagonisti globali mascherato da interesse commerciale e da un pacifismo alla Don Abbondio.

Distinta è l’impostazione di Alfred T. Mahan (1840-1914), ufficiale di marina americano, padre della teoria del potere navale e protagonista dello sviluppo della U.S. Navy come marina globale, dispiegata in ogni angolo strategicamente rilevante del pianeta per proteggere l’espansione imperiale Usa, negandola ai nemici. Non ebbe il tempo di intuire la potenza straordinaria delle portaerei, capaci di assicurare agli Usa un doppio dominio, cielo e mare, né la corsa allo spazio per le telecomunicazioni e il controllo della biosfera, ma le sue idee chiariscono alcune strategie a lungo termine, in parte ricalcate dalla nuova superpotenza cinese.

Lo storico francese Fernand Braudel, caposcuola degli Annales e teorico della relazione tra i fenomeni storici e la loro persistenza nel tempo, affermò che “la struttura è la realtà durevole che permane al di sotto degli avvenimenti politici”. La sua longue durée è una delle invarianze della geopolitica, disciplina il cui oggetto è il potere esaminato nelle sue interazioni con la geografia e la storia.  In generale, le alleanze tra potenze marittime tendono a essere contingenti e quelle tra potenze continentali più stabili, a comprova della correttezza delle conclusioni di Schmitt nel Nomos della terra in ordine ai concetti di legge e diritto internazionale.

Sarà interessante verificare la tenuta dell’alleanza tattica tra Cina e Russia, che rischia di danneggiare gli interessi russi, già in crisi dopo la dissoluzione delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale e non in grado di equilibrare la crescente superiorità tecnologica del Dragone. L’accordo, se terrà, sarà basato sulla divisione tra zone di influenza, Europa e Vicino Oriente per la Russia, Asia e resto del mondo per la Cina, nonché sul contenimento del comune avversario americano.

La longue durée cinese risale addirittura a Sun Tzu. La celeberrima Arte della guerra, studiata nelle accademie militari e persino nella teoria dei giochi, può essere letta anche in chiave geopolitica, con affermazioni come “il più grande condottiero è colui che vince senza combattere”, e “un risultato superiore consiste nel conquistare intero e intatto il paese nemico. Distruggerlo costituisce un risultato inferiore”.

L’anello intermedio del “perno” è la posta geopolitica in palio, lasciato a stati vassalli, mentre l’anello esterno sta diventando zona di sfida diretta nell’ambito tecnologico (si vedano il caso Huawei in Nordamerica e la lotta per la realizzazione delle connessioni in fibra 5G) e per il controllo delle risorse naturali e minerarie in America latina e Africa. Questo sembra dedursi dalle azioni visibili sviluppate dalle grandi potenze nel Grande Gioco, la cui unica morale è il potere di lungo periodo. Le ideologie non sono che maschere per distrarre le opinioni pubbliche; non vale alcun principio diverso dall’interesse geopolitico e strategico.

Mancano all’appello gli attori di sempre, le antiche potenze europee, ridotte a ruoli di secondo piano (Francia e Gran Bretagna), vassalle dal potere economico regionale tenute al guinzaglio dagli Usa (Germania), periferie impegnate a sopravvivere come entità statuali unitarie (Spagna). Italia non pervenuta, fuoriuscita dalla storia dal 1945 tra gli applausi di un popolo privo di progetti comuni, il cui destino è diviso tra Disneyland e il museo.

1 commento su “Il Grande Gioco della geopolitica”

  1. Yes, notevole !
    Spero che il Dio di Abramo il Dio di Isacco il Dio di Giacobbe il Padre di Gesù il Cristo si manifesti e ponga al comando uomini retti che si sono meritati una grande ricompensa durante la loro vita.
    Se non ricordo male, la terra verrà ereditata dai miti.
    Buon lavoro.

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