Con il Salmo 94 inizia la giornata di preghiera, i versetti sembrano correre (anche se un tempo questo Salmo rappresentava l’ultima chance per entrare in coro) poi al versetto nove la corsa si arresta un attimo: siamo di  fronte al diem tentationis in desérto, secondo il testo della Vulgata o, nel testo ebraico, come a Meribah. 

È possibile leggere il racconto biblico relativo a Meribah nel libro dei Numeri, cap. 20, 2-13. Gli ebrei usciti dall’Egitto sono da decenni nel deserto, si ripresenta il problema dell’acqua e ciò che ne consegue… Mosè e Aronne, i capi del popolo, chiedono il miracolo a Dio, sennonché invece di seguire la procedura indicata da Dio, Mosè decide di modificarla, di renderla più vicina alle esigenze. L’acqua sgorga lo stesso, ma arriva anche il castigo per i due; non entreranno nella terra promessa. Mosè potrà scorgere la Terra promessa solo da lontano…

Richiamando alla memoria ogni giorno questo episodio, è quasi naturale l’associazione tra quel diem tentationis/Meribah di allora con quello che sta succedendo adesso. La scelta compiuta da Mosè alle acque di Meribah potrebbe essere, in un certo qual modo, qualificabile come un peccato di “aggiornamento” per la cui comprensione è di aiuto l’acuta osservazione che propone sant’Agostino: “’Potremo forse fare sgorgare dell’acqua per voi da questa roccia?’ (Si domanda Mosè) Questa sua diffidenza sarebbe rimasta totalmente nascosta nel suo animo, se non fosse stata svelata dalla sentenza di Dio.” (Questioni sull’Ettateuco IV, 19).

Agostino ci offre una lettura finissima quando intende la punizione di Dio come la possibilità data a Mosè di accedere a qualcosa di nascosto dentro di sé, anche per lui (ab occultis meis munda me. Sal. 18, 13b). Non dimentichiamo: l’uomo abita nella regione del peccato originale che, tra le sue caratteristiche, ha il buio, una mancanza di luce che intacca la capacità di guardare con verità nel nostro mondo interno e osservare la nostra anima.

La cultura della nuova chiesa non tollera più l’espressione punizione di Dio. Fa parte, però, della realtà delle cose e, trattandosi di Dio, è sempre giusta perché proviene dal nostro Creatore che, conoscendoci fin là dove noi non riusciamo a conoscerci, ci permette con la sua punizione di venire a contatto con dimensioni di noi che ci sono ignote, ma che condizionano profondamente la nostra vita.

Si possono compiere i grandi miracoli attribuiti a Mosè, ma quello scarto rappresentato dalla diffidenza di cui parla sant’Agostino è la vera cartina tornasole che svela ciò che alberga nel profondo dell’anima: la mancanza/titubanza della Fede.  

Ecco cosa ha spinto a spogliare la liturgia romana bimillenaria dei suoi simboli per ridurla in un manufatto da ricostruire à la carte per contenere la paura derivata dal nostro vuoto di Fede. La riforma della liturgia ha determinato il collasso della chiesa che oggi sembra quasi avviata alla follia.

Riflettiamo sulla storia recente. Quando agli inizi degli anni ’60 partì il treno conciliare dell’aggiornamento, venduto come l’apertura delle cataratte dello Spirito Santo, mentre si è rivelato come annebbiamento della centralità di Dio. In quel momento molto avrebbe aiutato una piccola riflessione sul passato recente, foriera di una maggiore prudenza e un minore ottimismo.

Non si stava inventando nulla con l’aggiornamento; già gli ebrei in Germania all’inizio dell’800 lo avevano ricercato e praticato con estrema solerzia. Ciò che aveva preso piede nel loro cuore al posto dell’osservanza della Torah, era stato il fascino della cultura tedesca (Bildung) con cui sembrava imprescindibile entrare in dialogo. 

Il fascino era diventato rapidamente desiderio e poi sforzo perseguito con estrema tenacia per esserne accolti a pieno titolo. Niente era sentito come troppo costoso per raggiungere quell’obiettivo. Ecco così che nel 1866 avvenne l’inaugurazione a Berlino della famosa Neue Synagoge sulla OranienburgerStraße, esempio del nuovo ebraismo riformato.

Le tradizioni antiche della liturgia furono eliminate, per la prima volta s’introdusse l’organo e il coro; nel servizio sinagogale l’ebraico fu sostituito con il tedesco, le preghiere addomesticate e di più immediata comprensione, le liturgie diventarono ben presto solo incontri conviviali, i precetti della Tradizione, che avevano conservato e preservato il popolo ebraico in duemila anni di persecuzione, furono messi tra le anticaglie del museo e, nella preghiera, il nome sacro di Gerusalemme sostituito con quello di Berlino.

Con gran smania e ressa quegli ebrei diedero l’assalto al treno dell’aggiornamento, dell’assimilazione (interpretato come desiderio irrinunciabile di dialogo!); salirono sul treno convinti di viaggiare in prima classe con i tedeschi, sappiamo dalla storia che il capolinea di quel treno era Auschwitz.

La differenza tra gli ebrei di allora e i cattolici di oggi è che loro scelsero quella strada, noi nell’aggiornamento conciliare ci siamo finiti dentro. Non siamo, però più innocenti di loro. Passivamente (per obbedienza) siamo saliti su quel treno senza riflettere perché, lentamente, al centro della nostra Fede al posto di Cristo avevamo messo e mettiamo il papa.

Ecco il nostro diem tentationis in desérto; la nostra punizione l’ha ben descritta Dante con dure parole di condanna, poste in bocca a san Pietro per come (allora e adesso) è ridotto il luogo del suo sepolcro (Paradiso XXVII, 22-24): Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, 
il luogo mio, il luogo mio, che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio.

Di fronte al continuo mescolare ciò che è vero con ciò che è ambiguo e interpretabile in modi diversi, alle frasi buttate qua e là per colpevolizzare chi tenta di ancorarsi alla retta Fede; a pronunciamenti che sembrano riconducibili alle verità della Fede, ma sono immediatamente seguiti da azioni opposte e contrarie, siamo ogni giorno di più avviluppati in una trama di confusione e smarrimento.

Quale essere umano (o istituzione) sottoposto a tale attacco continuo potrebbe rimanere sano mentalmente?Sembra di vivere in una pastorale di guerriglia che in fondo è banale se non fosse tragica; assistiamo a un’eccezionale partita a scacchi giocata con calcolata seduzione e lo scacco matto, rendere il divino liquido, è perseguito con una tattica precisa e tempestiva di calibratura nell’immettere parole confondenti per ottenere il massimo effetto soverchiante sull’anima degli ascoltatori.

Tenere sempre sotto pressione con messaggi contrastanti è una prova terribile per l’anima, sospinta verso l’alienazione da se stessa e dal Mistero, provocando una lacerazione continua fino al punto in cui la Fede si sgretola, la Speranza viene meno e la Carità diventa buonismo da pubblicità.

Tutt’altro che prossimi al termine della notte (si pensi all’atteggiamento privo di scrupoli nei confronti del mondo LGBT, prima sedotto, poi (apparentemente) cacciato: da ultimo usato; e così via per tutto quello che si è visto in questi anni).  

Ci addentriamo nell’orrore più solenne: la Chiesa ridotta a una maschera di follia, una tomba vuota invece del corpo di Cristo. Assumiamoci la responsabilità di quello che sta succedendo perché abbiamo preferito abbeverarci al divino attraverso una maschera di argilla.

Un tempo l’insieme della Liturgia antica innestata nella Tradizione ci guidava con rispetto e timore reverenziale esclusivamente al cospetto della maestà di Dio.  Quella Liturgia, a chi ha il coraggio di frequentarla, permette ancora oggi di prendere atto di quanto siamo isolati nella mente e comprendere che le angosce che ci attanagliano sono gli indizi dell’assenza di dimestichezza con la nostra anima. 

Sembra ora che un mantello d’impostura stia travolgendo la chiesa, in molti è pregnante la percezione di vivere in una condizione di sfollati che non sanno ancora dove si fermerà il loro treno. La nostra è una “tempesta interiore”, un dramma profondo che dovrebbe scuoterci e in cui sarebbe pericoloso continuare a farci crogiolare e sciogliere dentro. Dobbiamo scuoterci dall’impostura nella quale respiriamo e che, fino a qualche anno addietro, poteva ancora essere confusa con delicatissime e fragili sfumature della Fede, ora è diventata un male dentro di noi che dobbiamo affrontare e combattere.

Non ripetiamo l’errore dei nostri padri che hanno lasciato fare; dobbiamo conoscere il male che ci affligge e saper resistere per non correre il rischio di ritrovarci tra le mani un pugno d’illusioni che non trovando sfogo nella realtà daranno alla nostra Fede connotazioni irrisorie, proprio il risultato atteso.

L’orrore, frutto dell’ambiguità e della confusione create ad arte, dovrà essere attraversato fino a quando non si ammetteranno gli errori compiuti in questi decenni, mentre, però, si cammina e a ogni passo qualcosa intorno a noi è distrutto dalla tempesta non limitiamoci a piangerne, ma traiamone il maggior numero di memorie.

Per conservare retta la Fede ed evitare di essere fagocitati non ci resta forse che scendere in una catacomba una specie di Chiesa inconscia dove troveremo poche persone, ma molti Angeli che, inesausti, offrono pensieri di Fede ormai divenuti eversivi a quanti accettano di dar loro alloggio dentro di sé. Valgano a sprone le parole non equivoche del papa san Leone Magno: (Nello) studio della virtù dovete tutti darvi reciproco aiuto, affinché possiate risplendere, come figli della luce, nel regno di Dio a cui si giunge con la Fede retta e con le opere buone : per Gesù Cristo, nostro Signore, il quale con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. (Discorso 33,5).

3 commenti su “Il mantello dell’impostura”

  1. Don Ettore Barbieri

    Certamente, vi fu una mancanza di fede da parte di Mosè, ma il suo gesto mi pare dettato soprattutto dalla stizza di fronte alle pretese del popolo; un altro salmo dice “Mosè fu punito per causa loro, poiché avevano inasprito l’animo suo ed egli disse parole insipienti”.
    Il suo articolo è molto profondo; anche Baget Bozzo, nel suo libro “L’Anticristo”, vede nell’idea di rendere “comprensibile” il mistero una grande tentazione.
    Tuttavia, la banalizzazione della fede ha radici più “antiche” degli anni ’60.
    Già negli anni Quaranta/Cinquanta vi erano parroci la cui preoccupazione era quella di procurarsi il biliardino o di installare la televisione per i parrocchiani: erano già all’inseguimento del mondo.
    L’Azione cattolica stessa, pur prevedendo molti impegni di preghiera, era tutta volta all’attività: anche questo ha creato, sia pure a fin di bene, una mentalità: fare, fare, fare.
    Don Giuseppe De Luca, in una lettera all’allora Mons. Montini, contestava proprio questa impostazione della vita cristiana, contrapponendole la pietà popolare che lui stesso aveva sperimentato da bambino in Lucania: ci si alzava prestissimo, prima dei lavori agricoli, e si andava in chiesa per ascoltare delle meditazioni; Don De Luca scoprì da adulto che si trattava di scritti di S. Alfonso Maria de’ Liguori.
    Sarebbe un discorso da approfondire, ma credo che la pietà popolare autentica, quella che appunto orienta la vita, tanto da alzarsi alle quattro e mezza del mattino per andare in chiesa, sia morta, in molti luoghi, ben prima degli anni ’60, anche se, indubbiamente, da quel tempo in poi certi fenomeni si sono ingigantiti e hanno trovato pieno appoggio nella gerarchia.
    Il problema, come lei giustamente osserva, è la perdita progressiva del primato di Dio, fino alla sua cancellazione.

  2. Non è che al centro della nostra fede al posto di Cristo abbiamo messo il papa. È che ci siamo fidati e un conto è fidarsi di chi ritieni sia maestro di verità, un conto è mettere il papa al posto di Cristo. È stato questo il.grande inganno in cui nella nostra ingenuità siamo caduti. Parlo personalmente: subito dopo il concilio, quando fece il suo ingresso la nuova messa, ero troppo giovane per pormi interrogativi e i miei genitori troppo attaccati alle loro guide spirituali per immaginare un possibile tradimento, Addirittura credevamo che quella messa fosse la traduzione in italiano di quella di prima Poi, come penso la maggior parte dei fedeli, ci siamo abituati, finché abbiamo percepito un certo scricchiolare e da lì in poi un vero e proprio crollo. Ora, negli anni ultimi della nostra vita siamo qui a cercare risposte e vie d’uscita che è difficile trovare (neanche le catacombe scorgiamo all’orizzonte, tanto è arido l’ambiente che ci circonda), ma c’è una cosa che grazie a Dio è rimasta intatta e immutata: la nostra intoccabile fede, non disgiunta dalla speranza che la Madonna Santissima, mediatrice di tutte le grazie, ascolti il nostro grido di aiuto e attraverso i modi che solo Lei e il Suo Beato Figlio conoscono, ci consenta alfine di lasciare questa terra spiritualmente rasserenati. Tutto affidiamo alle loro mani.

  3. Rischio di andare fuori tema (ma le risposte all’impostura possono variare), proponendo la lettura del bell’articolo che Maurizio Blondet si è “azzardato” a scrivere proprio ieri, giorno di Pasqua. Ma credo che in un certo qual modo possa allacciarsi efficacemente all’ammonizione del Grande Leone qui di sopra riportata: “Nello studio della virtù dovete tutti darvi reciproco aiuto, affinché possiate risplendere, come figli della luce, nel regno di Dio a cui si giunge con la Fede retta e con le opere buone”.
    Che la luce del Signore Risorto ci illumini sempre.

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