IL MECENATISMO ECCLESIASTICO IN CAMPO MUSICALE – di Cristian Usai

di Cristian Usai

 

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Il monaco benedettino Guido D’Arezzo, ideatore della moderna notazione musicale, con l’adozione del tetragramma

 

 

Con il termine mecenatismo si suole indicare il sostegno ad attività artistiche e culturali e, in particolare, nei confronti dei medesimi artisti coinvolti in suddette attività. In passato il mecenatismo era lo strumento di sostegno economico e materiale da parte di sovrani, signori, aristocratici, Papi, ecclesiastici e possidenti, nei confronti di artisti (letterati, pittori, scultori, musicisti). Con questo breve contributo, si cercherà di mostrare l’apporto che la Chiesa Cattolica Apostolica Romana ha dato a quella che oggi viene definita “la musica colta”. Ma perché la musica è sempre stata considerata importante dalla Chiesa? La musica sacra ha sempre avuto e tuttora possiede lo scopo di partecipare al fine della Sacra Liturgia, che è quello di rendere gloria a Dio e di santificare i fedeli. Il grande Pontefice San Pio X di venerata memoria, a tal proposito ebbe a scrivere nel Motu Proprio Tra le sollecitudini (punto1):

“La musica sacra, come parte integrante della solenne liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione e edificazione dei fedeli. Essa concorre ad accrescere il decoro e lo splendore delle cerimonie ecclesiastiche, e siccome suo officio principale, è dì rivestire con acconcia melodia il testo liturgico che viene proposto all’intelligenza dei fedeli, così il suo proprio fine è di aggiungere maggiore efficacia al testo medesimo, affinché i fedeli con tale mezzo siano più facilmente eccitati alla devozione e meglio si dispongano ad accogliere in sé i frutti della grazia, che sono propri della celebrazione dei sacrosanti misteri.”.

Da ciò si evince la ragione dell’importanza della musica nella missione della Chiesa. Procediamo ora all’excursus storico musicale, che ci consentirà di affrontare il tema in argomento.

Per quanto concerne la cultura musicale delle civiltà precristiane, non si posseggono altre testimonianze oltre a quelle iconografiche e scultorie; per la musica della Grecia classica, si possiedono anche testimonianze provenienti dalle fonti filosofiche.

La musica colta occidentale iniziò il suo sviluppo durante il Medioevo (una delle quattro grandi epoche: antica, medievale, moderna e contemporanea in cui viene abitualmente articolata la storia dell’Europa. Il Medioevo va dal V secolo al XV secolo).

La polifonia vocale iniziò a svilupparsi nel IX secolo e raggiunse la sua vetta proprio nel Rinascimento. Polifonia indica il canto a più voci che si muovono ciascuna secondo una propria linea, creando così degli intrecci tra le varie voci spesso molto complesse: tutto questo molte volte si contrappone alla concezione usuale della musica vocale, comprendente una linea prevalente che viene semplicemente accompagnata dagli altri elementi. La tecnica della polifonia è basata sul conto, l’antica tecnica di scrittura in più parti che si adattano nota contro nota, o “punto contro punto” (contra punctum). Il canto liturgico fu il vero punto di partenza per lo sviluppo della polifonia: esso (canto piano) si componeva di una singola linea melodica, cantata all’unisono, senza accompagnamento strumentale. Il canto gregoriano è il corpus di questi canti, codificati nel VI secolo da papa Gregorio Magno. La prima elaborazione del canto piano è del IX secolo (o forse addirittura antecedente), e partiva da un andamento parallelo per intervalli di ottava, quinta e quarta: venne chiamata “organum”, forse perché l’organo usava allora gli stessi parallelismi. Sopra alla melodia (il “cantus”) successivamente venne sovrapposta una voce libera e talvolta improvvisata (il “discantus”). La prima forma di polifonia trovò il massimo splendore del XII secolo ed all’inizio del XIII con la Scuola di Nòtre Dame: le forme più importanti del periodo, oltre all’organum già citato, furono il motetus ed il conductus. Il motetus (mottetto) era caratterizzato da una melodia di canto piano, tenuta in note lunghe da una voce appunto chiamata “tenor”, cui si aggiungevano altre parti, con un andamento più veloce. Il conductus, più semplice, faceva invece parte della musica profana. Contemporaneo alla nascita della polifonia fu lo sviluppo della notazione musicale: per indicare le note, i greci usavano, infatti, le lettere dell’alfabeto. Boezio (470-525 circa) ne introdusse l’uso nel primo Medioevo in Europa, mentre intorno al VII secolo si cominciò ad usare il sistema dei neumi, segni corrispondenti a note o gruppi di note. Non veniva data però un’indicazione sugli intervalli: nell’XI sec. fu il monaco Benedettino Guido d’Arezzo a dare ad ogni nota della scala un nome con una sillaba, formando così la base del solfeggio. Guido d’Arezzo, introdusse il tetragramma aggiungendo delle linee all’unica linea che veniva utilizzata in precedenza, sopra il testo liturgico.[….] La polifonia del tardo Medioevo, a partire dal teorico Marchetto da Padova, venne detta Ars Nova, in contrapposizione all’Ars Antiqua del XII e XIII secolo: il contrappunto dei compositori dell’Ars Nova raggiunse vette di notevole complessità, con movimenti delle voci più indipendenti rispetto al passato. Il maggiore tra i maestri dell’Ars Nova fu sicuramente Francesco Landini, della prima metà del secolo XIV, eccellente organista (cieco dalla nascita, fu chiamato anche “Il cieco degli organi” e compositore di molti madrigali e ballate.”[1]

Da quanto scritto sopra, si deduce che Papa Gregorio I Magno codificò il Canto che poi avrebbe preso il suo nome e che può essere considerato la radice della musica colta d’occidente. Il monaco benedettino Guido d’Arezzo ebbe la protezione di Papa Giovanni XIX, al quale espose il suo sistema di notazione su tetragramma applicato al Canto Gregoriano. Se Guido d’Arezzo può essere considerato il padre della teoria musicale, è fuor di dubbio che tutti i musicisti del mondo devono ringraziare Papa Giovanni XIX, per aver sostenuto Guido d’Arezzo, che ha permesso loro di apprendere la tecnica di scrittura e lettura della musica.  Le innovazioni teorico-musicali di Marchetto da Padova, maestro del coro voci bianche ed insegnante alla cattedrale di Padova dal 1305 al 1306 e quindi “dipendente della Santa Madre Chiesa”, furono determinanti per lo sviluppo dell’Ars Nova italiana. Come già detto, “La prima forma di polifonia trovò il massimo splendore del XII secolo ed all’inizio del XIII con la Scuola di Nòtre Dame: le forme più importanti del periodo, oltre all’arganum già citato, furono il motetus ed il conductus.”. I maggiori esponenti di questa celebre Scuola parigina (al servizio della Santa Madre Chiesa) alla quale va un profondo ringraziamento per aver sviluppato la polifonia, furono Magister Leoninus e Magister Perotinus.

Nel periodo medievale nacque un altro genere di composizione musicale: la Lauda, cioè una canzone spirituale extraliturgica in lingua italiana (a differenza del Canto Gregoriano, cantato in latino). Il più importante compositore di laudi, fu il frate francescano Iacopone da Todi (1230 – 1306). Per quanto concerne Francesco Landini, v’è da rammentare che egli fu cappellano nella Chiesa di San Lorenzo dal 1365, fino alla morte! Tra il XVII ed il XVIII secolo l’Italia fu il centro dello sviluppo musicale, nonostante l’emergere, nel primo Rinascimento, di autori come Dunstable e Josquin Despres: in particolare fu Despres a fare da legame tra il primo ed il tardo Rinascimento, ed il suo contributo fu fruttuoso soprattutto nel tardo Rinascimento, con i maestri Giovanni Pierluigi da Palestrina, di Lasso, e William Byrd[2]. La stagione del mecenatismo vero e proprio, fu inaugurata dai Duchi di Borgogna e fu seguita dalla nobiltà e dall’alto clero. Il Concilio di Trento (1545 – 1563) fu convocato dalla Chiesa Cattolica Apostolica Romana per fronteggiare l’eresia protestante e riaffermare la Sacra Tradizione perpetuata dalla Chiesa fin dal periodo apostolico. La musica più importante del Rinascimento, è sempre quella vocale.  Il più grande compositore di musica vocale sacra del Rinascimento fu Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525 – 1594), che lavorò nelle Cappelle musicali Pontificie di Roma.

Naturalmente, nel periodo rinascimentale non vi fu solo la produzione musicale cattolica: anche le eresie luterana e anglicana produssero musica sacra (corali luterani e anthem anglicani), tuttavia la musicologia considera G.P. da Palestrina il più illustre compositore del Rinascimento. Egli scrisse: 105 messe, 375 mottetti, Magnificat, Lamentazioni di Geremia, 42 madrigali spirituali, 91 madrigali profani, 68 offertori. Tra il 1750 e il 1827, si sviluppò il classicismo e la figura del musicista cambiò profondamente, si passò dal musicista al servizio dei potenti al professionista indipendente. Ciò rese inutile la figura del mecenate.

Nel presente articolo si è scelto di non parlare della produzione musicale profana, relativa alle epoche considerate, non perché essa non sia da considerarsi fondamentale nella storia della musica, ma piuttosto perché urgeva fornire un contributo, di lotta apologetica, che riguardasse l’imponente contributo che la Chiesa ha dato alla musica colta, con buona pace del popolo anticlericale detentore della “grande verità” secondo cui il progresso dell’umanità non è in debito con la Chiesa di Roma. Naturalmente, non si ha la presunzione che questo contributo sia sufficiente a rinsavire queste menti ottenebrate ed è per questo che, ancora una volta dopo 2000, anni si sente il bisogno di chiedere al Padre: «Perdona loro, perché non sanno quello che fanno…..o forse si!».


 


[1] Tratto da: http://www.parodos.it/musica/brevi_cenni_di_storia_della_musi.htm

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