IL MISTERO DEL MARTIRIO – di P. Giovanni Cavalcoli, OP

di P. Giovanni Cavalcoli, OP

 

Le notizie che ci giungono dal mondo ci dicono che il cristianesimo è tra le diverse religioni, quella più perseguitata. Questo fatto può essere per noi cattolici l’occasione per riflettere sulla natura, le finalità e le cause del martirio.

Confesso che il fenomeno del martirio è sempre stato per me oggetto di meravigliata e quasi incredula considerazione. Spesso mi sono chiesto: ma come è possibile avere tanto odio per dei santi, per delle persone che non cercano altro che la verità, la giustizia, la pace, il bene degli altri e la gloria di Dio? Persone che più fan del bene e più si attirano l’odio dei nemici di Cristo, fino a spingerli a toglier loro la vita e magari in mezzo a crudeli tormenti? Come mai una persona così mite e dolce come il martire attira su di sé un odio così feroce? Come è possibile giungere a questo punto?

La straordinaria fortezza dei martiri non può non suscitare in noi una grande ammirazione, considerando quante sono le seduzioni degli uomini, le sottili insidie che tendono ad allontanarci dalla verità, le minacce che ci vengono dai nemici di Cristo, della Chiesa, della religione, le ardue rinunce che richiede una vita cristiana fervorosa, la difficoltà di raggiungere una fede salda ed operosa. Eppure i martiri riescono impavidi a superare tutte queste difficoltà sino ad esser pronti a lasciare la vita per Cristo e per i fratelli.

martirioIl martirio è altissimo e raro dono dello Spirito Santo, spesso desiderato dal futuro martire e da lui chiesto nella preghiera, frutto, come dice S.Tommaso d’Aquino, di un’ardentissima carità e coronamento finale di un crescendo di santità, della quale il martirio è testimonianza suprema ed estremamente persuasiva, anzi a volte trascinatrice. Soprattutto chi ha vissuto con un martire in clima di persecuzioni, come attesta la storia, è portato con entusiasmo a seguirlo nel martirio. E questo fenomeno straordinario frutta a sua volta, come diceva Tertulliano, nuove schiere di credenti convinti, autentici e coraggiosi.

Il martirio è connesso con la lotta apocalittica della Donna contro il Drago, ossia della Chiesa contro le potenze sataniche, che percorre tutta la durata della storia. Il martire può sembrare al mondo uno sconfitto, ma in realtà egli ha la sua rivincita generalmente dopo la morte e certamente all’avvento finale di Cristo. Capita che spesso pochi comprendano il valore di un martire, anche tra i fratelli di fede.

I martiri canonizzati sono solo la punta di un iceberg di una immensa schiera nascosta, della quale conosceremo l’entità solo quando saremo in paradiso. Pensate per esempio alla storia quasi millenaria degli ordini eremitici, come i Certosini, i quali per regola rifiutano ai loro membri di essere ufficialmente canonizzati. Ma ciò non toglie che essi abbiano nelle loro fila grandissimi santi martiri, non necessariamente uccisi fisicamente, ma aspramente provati dalle tentazioni del demoni, che essi hanno gloriosamente vinto offrendo il frutto di queste imprese eroiche per la salvezza dell’umanità.

Il martirio è un’impresa che non si improvvisa. Normalmente esso è preparato da un lungo esercizio della virtù cristiana nel quotidiano, spesso in circostanze oscure e ignote agli uomini, ma con l’animo infiammato da una grande carità. Esistono tante forme di martirio inferiori al dono della vita, ma che ne hanno la stessa motivazione e che preparano alla sua forma suprema ed eroica: quelle che S.Teresa di Gesù Bambino chiamava “punture di spillo”, che riceviamo dal prossimo, magari dal confratello, dal familiare, dall’amico, dal collega di lavoro, dal parroco.

Ci sono poi le passioni da dominare, i dolori da sopportare, le tentazioni del demonio da cacciare: tutte occasioni per rafforzarsi in quella carità che dovrà essere, se Dio vorrà, la forza propulsiva e la ragione di quel “grande amore”, del quale parla Cristo, per il quale doniamo la nostra vita per gli amici ed anche per i nemici, perché Dio li perdoni.

La strada verso il martirio, senza che sia detto che vi si giunga, è fatta della sopportazione, per amore di Cristo, di contrarietà, ostacoli, difficoltà, derisioni, scherni, dispetti, furti, violenze, carcerazioni, minacce, diffamazioni, calunnie, maldicenze, emarginazioni, disprezzo frapposti sulla sua strada da parte non solo di nemici dichiarati della Chiesa, ma anche, ed è quello che fa maggiormente soffrire il martire, da fratelli di fede e da superiori. Sai tratta di quelli che S.Caterina da Siena chiama “strazi, obbrobri, vituperi”, cose che lei conosceva bene. A volte chi ci fa soffrire sono persone buone ma limitate. S.Teresa d’Avila diceva che le maggiori sofferenze le vennero proprio da persone di questo tipo.

C’è poi, come è avvenuto per Cristo, l’invidia dei farisei, dei sommi sacerdoti e dei dottori della legge. Infatti il martire denuncia ingiustizie, scandali, scismi, eresie, apostasie, soprusi e malefatte soprattutto dei potenti e degli idoli del mondo. Così egli finisce per restare isolato persino tra i buoni e i confratelli di fede, i quali hanno paura e non osano esporsi per non avere guai, e tra costoro capita che ce ne siano di tanto vili, che non solo non lo difendono, ma si mettono dalla parte dei nemici.

Per questo la Chiesa vaglia con attenzione la voce di martirio che può diffondersi attorno ad un credente che è stato ucciso. Un buon prete che viene ucciso da un ladro introdottosi in canonica, un politico cattolico che viene ucciso da un avversario politico, un religioso che disturba un governo dittatoriale per la sua azione a favore degli oppressi, non è ancora detto che sia formalmente martiri eventualmente meritevoli di essere beatificati.

Bisogna accertarsi che chi l’ha ucciso l’abbia fatto per odio a Cristo, alla fede o alla Chiesa, in odium fidei, come recita la formula tradizionale.  Non devono esserci motivi personali o sociali o economici o politici. E il martire non deve offrire occasioni per una certa sua condotta intemperante, imprudente o provocatoria. Quanto all’uccisore, può essere anche che non si renda conto di quel che ha fatto, al limite potrebbe anche essere stato in buona fede, per esempio il fanatico di una setta religiosa. Tuttavia deve obbiettivamente risultare che ha agito in odium fidei catholicae. Certo possono esistere anche martiri non cattolici. Paolo VI, quando beatificò i martiri dell’Uganda, ebbe parole di ammirazione anche per i martiri anglicani. Tuttavia è evidente che la Chiesa cattolica non può che beatificare dei cattolici.

Il martirio è effetto dell’odio verso il martire da parte del mondo, e del fatto che lo stesso martire ha odiato il mondo, secondo il precetto dello stesso Vangelo, soprattutto S.Giovanni. Il martire è uno che non scende a compromessi col mondo, non cerca di ingraziarselo per non avere noie, per non essere osteggiato. Il che non significa che il martire non abbia amato il mondo, imitando il Padre celeste creatore e salvatore del mondo, il quale “ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio per la salvezza del mondo”. Il martire odia il mondo non in se stesso, ma in quanto al servizio del peccato, di Satana, e schiavo dell’ingiustizia e della morte.

Alcuni considerarono il Concilio Vaticano II interpretandolo come un messaggio di connivenza con gli errori del mondo moderno, come permesso di abbandonare la lotta contro il mondo per adagiarsi in esso o goderne dei piaceri e delle soddisfazioni. Ma questa è una falsa interpretazione. Il Concilio ha recuperato in una visione cristiana i valori del mondo moderno ed in tal senso stimola al dialogo con esso, ma non ha assolutamente abbandonato la tradizionale lotta evangelica contro il mondo del peccato e sarebbe assurdo, da un punto di vista cattolico, il solo pensarlo o sospettarlo, perché ciò vorrebbe dire che col Concilio la Chiesa ha abbandonato uno dei punti essenziali della sua predicazione, che costituisce le ragioni del martirio e che a tutt’oggi frutta una nuova schiera di martiri in tutto il mondo, che potremmo chiamare i “martiri frutto del Concilio”.

 

Bologna, 29 settembre 2011

 

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