In queste settimane assistiamo, come capita da alcuni decenni, a un vero e proprio sequestro del Natale. La celebrazione, va ribadito per gli immemori, esercito sterminato e scervellato, ha radici cristiane. Si deve a una nascita (Natale, oh…) avvenuta in un remoto angolo della Palestina. Il bimbo avrebbe cambiato il mondo per due millenni, prima di diventare un fastidioso profeta archeologico, una sorta di convitato di pietra, simile al Cavaliere di Don Giovanni il libertino, muto simbolo della cattiva coscienza. 

Il Natale Neo (ogni cosa è nuova, nel mondo progressivo in corsa verso il Meglio) è tutto fuorché la festa per la nascita di chi fondato la nostra civiltà e, incidentalmente, ha redento l’umanità rivelando il piano di Dio su di essa. Il Neo Natale è il pretesto per le cose più sconcertanti. Proliferano le immagini augurali con villaggi innevati (e il riscaldamento globale?) candele che non fanno luce e frasi fatte grondanti buoni sentimenti che sembrano uscire dalla carta velina dei Baci Perugina. Già da settimane le città si son riempite di luci rutilanti che evocano qualsiasi cosa tranne l’annuncio cristiano. Panettoni, dolciumi, spumanti e altre leccornie ingombrano i supermercati dalla metà di novembre. 

Non ci sono stelle comete, pastori né altro che distingua questo tempo una volta sacro da una fiera qualunque, con autoscontri, tiro a segno, ricchi premi e cotillons.  I presepi, che orrore, il critico d’arte sinistrissimo Tomaso Montanari ha definito la preparazione del presepe “inaudita violenza”. Il nostro consiglio è di cambiare psicanalista e fornitore di pillole. Natale, insomma, è stato sequestrato dal vero Onnipotente, il Mercato. Non resta che seguire la saggezza della filastrocca napoletana, fatta canzone da Renato Carosone: Mo’ vene Natale, nun tengo denare, m’appiccio ‘na pippa e me vago a cucca’. Meglio coricarsi e risvegliarsi a cose fatte, magari senza accendere la pipa per non incorrere nelle ire dei salutisti, diciamo dopo la Befana; Epifania è parola difficile, nessuno sa che cosa significa, mentre la vecchina con la scopa mette i regali nella calza.  

È come se in Francia o negli Usa, dove hanno sentite feste nazionali- all’Italia manca anche questo, una data che unisca tutti i casuali abitatori del Belpaese – si festeggiasse il 14 luglio o il 4 luglio senza mostrare la bandiera, evitando di nominare la patria e di cantare l’inno nazionale. Questo è il Natale al tempo dei nuovi dei, consumo, mercato, vacanza. Natale è la festa di un Assente, il bambino di Betlemme dalla cui nascita misuriamo il tempo. Avanti Cristo e dopo Cristo: ecco un’altra anticaglia da abolire. Un bel concorso a premi potrebbe individuare il nuovo inizio, l’Alfa del Mondo nuovo. 

Avanziamo una proposta risolutiva: abolire il Santo Natale, per sostituirlo con una festa più alla moda, più inclusiva e felice. Potrebbe essere una vera e propria fiera del Mercato, da protrarre per settimane, in modo da permettere a tutti di svuotare la tredicesima al Luna Park dell’acquisto. Del resto, in Italia la mensilità in più natalizia fu introdotta da un esecrato regime del passato che non osiamo nominare. Anche il Black Friday, il venerdì degli sconti inventato da un grande semidio, Jeff Bezos di Amazon, dura ormai un’intera settimana. Non è mai troppo tardi per svuotare, insieme con il cervello, le tasche di Homunculus. Abrogato per legge il Natale, finiranno le ridicole polemiche sul presepe nelle scuole e nei luoghi pubblici, non avremo più timore di offendere atei, agnostici, stranieri, liberi pensatori e seguaci di Zoroastro. Non dovremo più fingere che sia la festa della famiglia (Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi), altra istituzione scomparsa, retaggio del buio passato, per rintracciare la quale non resta che una puntata speciale di “Chi l’ha visto? “. 

Scomparso dal calendario Natale – del resto questa è l’era della liberazione, disfiamoci anche del Fondatore- dovremo abolire anche Pasqua. A ben guardare, si tratta di una ricorrenza ancora più equivoca. Cade in date incerte, rievoca un evento che la sensibilità moderna deride e dileggia. Un tizio, lo stesso del Natale, sarebbe risorto dopo essere stato crocifisso. Ha girato la Palestina ancora per un po’, mostrandosi a Emmaus, agli apostoli e anche al buon Tommaso che volle toccare per credere, per poi ascendere al cielo. Tutte favolette anti scientifiche, non la danno a bere al cittadino razionale, liberato e istruito del secolo XXI. In più, non si recherà più offesa al popolo ebraico, cui è stata attribuita per secoli la colpa collettiva della condanna del sedicente Redentore. È gente importante, meglio chiudere la questione e approfittare del consenso di una vecchia ditta in disarmo, la Chiesa Cristiana s.p.a., anch’essa incredula della resurrezione, in mancanza di telecamere. 

Quanti vantaggi da un semplice atto amministrativo, una leggina che abolisce non la festività, ci mancherebbe, dobbiamo comprare, consumare e divertirci, ma la sua obsoleta intitolazione. Fiera dei Mercati ci sembra la soluzione più sensata. D’altronde, i siti locali della nostra città offrono da alcuni anni la guida ragionata ai mercatini dell’area metropolitana. Sono tantissimi, si trova di tutto, alcuni sono tematici, libri, oggetti fabbricati da “diversamente abili” (la bontà è un must, semel in anno, una volta l’anno), artigianato, dolciumi, sino alla biancheria intima di colore rosso, imperdibile per la notte di san Silvestro. Ci tengono alle tradizioni gli untermenschen, purché stupide e commerciali.

Al posto della Bibbia e del Vangelo, verranno letti brani significativi degli autentici profeti: l’Indagine sulla Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith, in particolare il brano in cui si afferma che non è dalla benevolenza del macellaio e del fornaio che avremo pane e carne, ma dal loro desiderio di guadagno. Un autentico memento per l’Uomo Nuovo. Non mancheranno i Principi di Economia Politica di David Ricardo, a maggior gloria della globalizzazione e della legge ferrea dei (bassi) salari. Nuovo e vecchio testamento. Al posto dei canti di Natale, verranno suonati i migliori jingle della pubblicità, la musica che accompagna dolcemente all’acquisto di merci, scopo della vita, quindi delle nuove feste comandate. 

Nessuna Santa Messa, ma gite collettive nei centri commerciali, con parcheggio gratuito e concorsi a premi per chi spende più di una certa cifra. Assai gradite le carte di credito dei principali circuiti finanziari, sostitute post moderne delle immagini dei santi. L’iconografia potrebbe spaziare dai quadri fiamminghi dei cambiavalute alle scatole Campbell di Andy Warhol, per finire con Vucciria di Renato Guttuso, raffigurante il brulicare di vita in un popolare mercato palermitano. Qualunque quadro del Cristo morto sarà proibito come immagine raccapricciante. A richiesta, per scopi scientifici, potranno essere esposte copie della Lezione di anatomia di Rembrandt. La Pietà di Michelangelo diventerà il simbolo dell’accoglienza e della cura. 

Babbo Natale non recherà più doni, ma girerà con il POS e rilascerà scontrini fiscali: una bella lezione etica agli evasori fiscali. È triste ricordare che nell’infanzia di chi scrive i doni li portava Gesù Bambino, il presepe era un atteso rito familiare da vivere l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione. Reputata ora una menzogna moralista retaggio di un pensiero magico, l’Immacolata Concezione richiama invece la purezza del cuore e del corpo, tanto disprezzata al tempo della contaminazione, del meticciato obbligatorio, di un materialismo greve, dispotico. 

La festa, poi, ha sempre ricevuto sapore nell’attesa, il fervore di chi si prepara a qualcosa di unico, eccezionale. L’inizio del Signore degli Anelli, il capolavoro fantasy di John R.R. Tolkien, scrittore cattolico, è un capitolo intitolato Una festa a lungo attesa. Si tratta dei compleanni di Frodo e Bilbo, i due Hobbit di casa Baggins. Tolkien vuole fin dal principio accentuare il contrasto tra la vita felice degli Hobbit e le ombre del mondo esterno. La festa è un tempo sospeso, in cui valgono regole distinte, in cui si pensa e agisce diversamente. Lo sapeva la saggezza della Chiesa, lo ha capito, purtroppo, anche l’infernale meccanismo del Mercato misura di tutte le cose. Eppure, Natale è una festa cristiana e Gesù non è venuto al mondo per far da pretesto a regali e giorni di ferie. 

La nascita del Signore è una chiamata alla speranza per tutta l’umanità (“tu solo hai parole di vita eterna”). Il tentativo, pienamente riuscito, di scristianizzarla e riempirla, oltreché di acquisti, anche di vecchietti barbuti di rosso vestiti, carri trainati da renne, elfi, rivela qualcosa di profondo e preoccupante: Natale è stato sottratto al cristianesimo. Gesù, il bambino di Nazareth redentore è il grande assente, l’Innominato delle feste, un vecchio attore che ha dovuto cedere il ruolo di protagonista, accontentandosi di una particina di rincalzo. Vanno di moda i sogni; un’associazione commerciale ha lanciato la campagna “Realizza i sogni”, con slogan del tipo hai il potere di sognare, vivi i tuoi sogni. Inutile rammentare che si tratta di desideri di consumo, nuovi acquisti. 

Eppure, è, sarebbe, il tempo della memoria di una nascita, quella di chi ha redento il mondo e riempito di senso la vita di ciascuno. Questo si celebra, non le illusioni o le aspettative immediate, regolarmente frustrate dopo l’epifania, che tutte le feste si porta via. Dovrebbe, Dio mio, essere il tempo della speranza che non si esaurisce e dell’amore che solo un Dio può dispensare. Natale esiste, in Italia, Europa, Occidente e altrove, perché le nostre civiltà si possono comprendere solo a partire da radici e tradizioni che hanno oltre duemila anni e si rispecchiano negli effetti di quella nascita dimenticata. Rinunciarvi non è solo un’apostasia religiosa, ma gettare nell’immondizia l’intera identità nostra. 

Nell’era del rifiuto e dell’assenza, fa paura la chiusura al sacro, alla trascendenza, all’attribuzione di una direzione alle nostre esistenze, personali e comunitarie. È di lì che vengono parole svuotate, come il rito stanco degli auguri, il cui significato era desiderare sinceramente il bene altrui, riflesso di comunità che si riconoscevano nella fede nel bambino della mangiatoia. Buon Natale aveva, ha un senso, al posto dell’ambiguo, ipocrita buone feste. Quali feste, perché ci fermiamo, perché ci stringiamo la mano con maggiore o minore ipocrisia, se non in quanto ci unisce l’identità nata con il cristianesimo? Già, sappiamo di pronunciare parole in gran parte incomprensibili, nel clima di fiera, frenesia del consumo e intossicazione di frasi “new age”

L’introito –inizio- della messa gregoriana di Natale proclama “puer natus est nobis”. È nato un bambino per noi, colui che cambia il destino mio, tuo, di ognuno. Non è speranza qualsiasi, ottimismo da venditori, narrazione mitologica. Natale è la speranza che ha forgiato noi e trasformato la vita. Se non ci interessa, se preferiamo i ritornelli del carosello consumista e ci accontentiamo della tredicesima e di qualche giorno di vacanza (assenza…) abbiamo perduto, è finita ogni civiltà, non solo questa. Si vive trascinandosi da una finta festività a un’altra. 

Dopo i diavoli e gli scheletri di Halloween, Babbo Natale. La vigilia, in spagnolo, ha il poetico e cristianissimo nome di Nochebuena, notte buona. Subito dopo, l’allegria forzata del tempo che passa di Capodanno, l’anno vecchio che se ne va, da esorcizzare come la nostra vita scandita dal ritmo inesorabile del tempo caduco, e avanti così, San Valentino per gli innamorati, Pasqua, il giorno della mamma e quello del papà. Avanti, si compra, ci si rimpinza e si dimentica. Non sappiamo neppure più chi è l’Assente di Natale. Ce lo hanno rubato e abbiamo collaborato al furto. Anzi, ci siamo liberati di un fardello, un altro. Emancipati, sciolti da vincoli e credenze, navigli senza timone e senza remi, festeggiamo il Natale in assenza di chi è nato. 

Quante cose sono diventate incomprensibili all’uomo di oggi in ragione delle troppe assenze. Ci vergogniamo di ciò che siamo, non sappiamo chi eravamo, evitiamo di chiederci dove andremo. Il finale è senza speranza, una morte rapida, una raggelante sparizione, l’assenza di sé come metafora di quell’altra assenza, che sperimentiamo con tristezza, noi pochi, o forse non così pochi, ma dispersi, abbandonati nel tempo di Avvento che porta al Natale, parola sconosciuta, sinonimo di panettoni, pranzi e regali. Nel Don Chisciotte vi è il racconto di una bella, giovane moresca, Zoraide, che fugge da Algeri per vivere in Europa una nuova fede e farsi cristiana. Chi l’accompagna, la presenta con il suo nome, che essa rifiuta e grida “Maria, Maria, non più Zoraide!”, rivelando la sua devozione per la madre del Redentore. Incomprensibile scelta, per l’uomo nuovo senza identità, a cui interessa il marchio degli abiti, la firma dello stilista, il week-end sulla neve, tanto suggestivo con il costume di Babbo Natale.  

Nel mondo frenetico in cui viviamo, dove alcuni corrono dallo psicanalista e altri si affidano alla sfera di cristallo o all’oroscopo del giornale del mattino, occorre riaprire lo spirito al soprannaturale, alla meraviglia stupefacente di un bambino che nasce per noi, per salvare me, proprio me. Diceva Chesterton che pensare che i dogmi dei secoli passati non servano nel presente è come pensare che una filosofia è certa il lunedì, ma non il martedì. Proprio questo pretende l’odiernità: affermare che nulla è vero, tranne ciò che si tocca. Lo stupore dinanzi al sacro è la vibrazione più umana che esista nel cuore dell’uomo, affermava Goethe. Quante divisioni ha il Papa, chiese beffardo Stalin, ma per spronare alla “grande guerra patriottica” fece portare in volo su Mosca l’effigie della Madonna. Il Rosario è un’arma potente, compendio di tutto il Vangelo, ma sembra infastidire non pochi membri della Neo Chiesa. Segno del passato, come se l’Eterno avesse relazione con il tempo degli uomini. 

L’immagine di Maria con il Bambino in braccio, benedicente con serena maestà, rende l’uomo che la osserva più umano e più divino. Uno scrittore disse che una religione con un bimbo nelle braccia della madre deve essere necessariamente una religione per l’Uomo. Per questo duole l’Assente di Natale: è la mancanza non solo di Dio, ma della parte migliore di noi stessi. Non lasciamo spazio all’Assenza, riempiamola con il cuore e lo spirito. Meno panettoni, via babbo natale, pochi auguri, ma sinceri; spegniamo le luci artificiali e riaccendiamo quelle del cuore, recuperando la Presenza, ovvero la dimensione più profonda dell’uomo: il senso della trascendenza, il desiderio di Dio.

3 commenti su “Il Natale dell’Assente”

  1. Un’assenza che si protrae da anni, prima percepita da molti, poi notata sempre meno e neppure sofferta là dove più dovrebbe esserlo. Se ne può fare benissimo a meno, visto il successo e l’onore tributato ai suoi succedanei in legno intagliato o in carne e ossa seguaci del terribile profeta, stoltamemte nei secoli respinti e ultimamente accolti a porti e a braccia spalancate.
    Si riduce sì questo insignificante natale a un colossale giro di affari da una parte e da un obbligatorio svuotamento di tasche dall’altra.
    Da bambine per fare “scena” incartavamo scatole di cartone e coi loro bei fiocchi colorati le depositavamo ai piedi de nostro scintillante albero , ma il pezzo forte era il più bel presepe del mondo che papà costruiva con tutto il suo cuore e la sua perizia.

  2. Tutto vero,che tristezza,che malinconia.Condivo tutto,Aveva ragione Chesterton:”Un Natale senza Gesù è una novità impazzita”

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