“Il Natale nella vita e negli scritti di mistici e di santi”, di Don Marcello Stanzione – recensione di Antonio Ferrisi

di Antonio Ferrisi

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Un viaggio di venti secoli sul Natale, da Agostino (IV secolo) a Carlo Maria Martini (XX secolo). L’autore di “Il Natale nella vita e negli scritti di mistici e di santi” (edito da Mimep-Docete, 320 pagine con 52 immagini artistiche sul Natale – euro 14,00) è il parroco di Campagna (SA) don Marcello Stanzione, che ci conduce per mano nella vita di mistici e santi che hanno scritto sul mistero del Natale. Accompagnati dalle immagini della storia dell’arte, cinquantadue storie di uomini e donne che hanno fatto del mistero dell’incarnazione il centro della loro vita.

Veniamo così a scoprire che Bernardo di Chiaravalle, Francesco d’Assisi e Antonio di Padova ebbero la visione della nascita di Gesù. E, in estasi, Brigida di Svezia vide il parto indolore della Vergine Maria. Tra la fitta schiera di mistiche, Edith Stein, convertita dall’ebraismo al cristianesimo e Maria Valtorta, che ha scritto il Poema dell’uomo-Dio.

La bellezza del Natale risplende nell’arte in forme e colori. Alla vita del vescovo Ambrogio si accompagna l’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano. Il Natale di Antonio da Padova viene illustrato da una Natività del Beato Angelico. A padre Pio da Pietrelcina si accosta un’Adorazione di Orazio Gentileschi. Per Faustina Kowalska, la Natività del pittore francese Paul Gauguin. Nel giorno di Natale, la Chiesa commemora tutto ciò che è avvenuto a Betlemme, ma non si limita al lato esteriore degli avvenimenti. Contempla il mistero del Figlio di Dio, che “nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero”, per “noi uomini e per la nostra salvezza” discese dal cielo. Dio, che in modo meraviglioso inizia l’opera della sua salvezza. Cristo diventa l’uomo simile a noi in tutto eccetto il peccato. Si giunge ad un “meraviglioso scambio”: Cristo accolse la nostra natura umana, debole e limitata, per farci partecipare alla sua natura divina.

Che cos’è la venuta di Cristo per l’uomo? L’uomo ha visto Dio in forma visibile, Cristo ha portato agli uomini la nuova vita, li ripristina nella dignità di figli di Dio, introduce l’uomo mortale nella vita eterna, libera l’umanità dalla vecchia schiavitù del peccato e le dona la libertà. Il Natale, così concepito, si collega inseparabilmente con il mistero della Morte e della Resurrezione di Cristo. Benché allora per molti cristiani il Natale è un gioioso ricordo della venuta di Cristo che porta la pace e la fraternità, la Chiesa vede questa festa in stretta relazione con la sua futura morte; Gesù deposto nella mangiatoia viene chiamato nelle preghiere il Redentore. Celebrare il Natale significa esprimere nella vita la nuova realtà dell’uomo, rendersi simile al Figlio di Dio, aprirsi all’azione della grazia, cercare le cose di lassù, crescere nell’amore fraterno. Alcuni mistici  hanno goduto il privilegio che, secondo l’Evangelista San Luca, fu concesso a Simeone: quello di stringere fra le braccia il bambino Gesù. San Francesco non ottenne questo privilegio, di cui godette invece S. Antonio, ma sentì come pochi il fascino della divina infanzia; e realizzò, a Greccio, il Presepe. Nella sua scia, la poesia francescana s’impadronì di questo tenero, devoto argomento e lo innalzò con Jacopone a sublimi altezze. Non di meno, se il privilegio fu eguale, ben diversa è la posizione dei Santi rispetto al Divino Infante. Il sentimento di Simeone – come appare dal testo evangelico – dovette essere di profonda emozione, ma soprattutto di gratitudine per l’Altissimo, che aveva mantenuto la promessa, inviando il  Messia atteso e invocato da tante generazioni, e gli aveva concesso il privilegio di contemplarlo prima di chiudere i suoi occhi mortali: ora sì che poteva morire in pace! Ma egli non arrivò a sospettare la divinità di quel pargoletto. Se intravide, secondo la profezia fatta a Maria, il suo tragico destino, non poteva immaginare ed anzi nemmeno concepire, data la sua mentalità ebraica, che Dio si era umiliato fino al punto d’incarnarsi.

Insomma, leggendo il testo di S. Luca, si ha l’impressione che Simeone comprese solamente, per rivelazione dello Spirito Santo, che quel piccino era l’Unto del Signore, l’atteso Liberatore d’Israele. I Santi, invece, guardano al bambino Celeste con altro spirito in cui, alla tenerezza struggente, si unisce un più vivo sentimento d’adorazione, di gratitudine e d’indegnità. Il velo della Promessa è caduto per l’avvenuta Incarnazione; il mistero è stato rivelato dallo stesso Gesù, ed essi sanno quel che Simeone ignorava – e si sarebbe rifiutato d’ammettere, come un’offesa al dio Unico – cioè che quel Bambino era lo stesso Dio fatto uomo, la Seconda persona della Trinità Divina. Quindi misurano l’immensità dell’amore di Dio per gli uomini e la distanza incommensurabile che separa la creatura dal suo Creatore. Nello stesso tempo essi vedono in quel tenero Infante indifeso la vittima destinata al sacrificio, la cui posta è la redenzione del genere umano. Chi potrà esprimere il sentimento complesso e ineffabile ispirato ai Santi da questa visione beatifica, che per essi è più reale di qualunque realtà?

Il libro di don Marcello Stanzione si presenta come una meravigliosa strenna di Natale da regalare alle persone più care che certamente resteranno entusiasti di tale pubblicazione che in un modo eccellente unisce arte e spiritualità.

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