IL NATALE VISTO DA SAN MASSIMO DI TORINO – di Don Marcello Stanzione

di Don Marcello Stanzione

 

 

Gennadio, prete marsigliese e storico, nell’opera “De viris illustribus” descrive Massimo come profondo conoscitore della Bibbia, abilissimo predicatore e autore di molte opere, di cui stila un elenco; la citazione termina dicendo che visse durante i regni di Onorio e Teodosio il Giovane. Sappiamo infatti che sopravvisse a entrambi. Si pensa sia stato il primo vescovo di Torino, e in quella veste abbia partecipato al sinodo di Milano nel 451, comparendo come uno dei firmatari di una lettera inviata a papa Leone Magno (1° nov.) dai presuli dell’Italia settentrionale; era stato inoltre presente al concilio di Roma nel 465. In un documento di questo concilio la sua firma compare subito dopo quella del papa Ilario (28 feb.): in queste occasioni la precedenza era determinata dall’età, elemento che porta a supporre che fosse molto anziano. Si pensa sia deceduto poco dopo.San Massimo di Torino

Massimo era nato nell’Italia del nord, quasi certamente a Vercelli oppure nella regione della Rezia. Scrisse che nel 397 fu testimone del martirio di tre vescovi missionari dell’Anaunia nelle Alpi Retiche. Sappiamo molto poco della sua vita, benché dai suoi scritti si possano ricavare alcuni elementi. Anche questi scritti debbono essere usati con cautela, e sono oggi sottoposti a un attento esame di autenticità: dall’edizione curata da Bruno Bruni nel 1784, che comprendeva 116 sermoni, 118 omelie e sei trattati, i bollandisti ne attribuiscono alcuni a S. Ambrogio; il prof. C. H. Turner ha curato l’edizione di alcuni scritti latini che attribuisce a Massimo, mentre dom Capelle inclina a pensare che siano opera del vescovo ariano Massimino. Il corpus principale delle opere è però innegabilmente di Massimo, e forma un complesso d’inestimabile interesse per gli storici della teologia.

L’opera riveste grande valore per quanto riguarda i costumi e le condizioni della popolazione in Lombardia durante le invasioni gotiche: in un’omelia celebra i martiri Ottavio, Avventore e Solutore, le cui reliquie (…) dimorano con noi, sia che ci custodiscano mentre viviamo nel corpo sia che ci accolgano quando lo abbandoniamo”. In due omelie di ringraziamento predica il dovere di dare lode a Dio quotidianamente e raccomanda a questo scopo l’uso dei salmi: ogni giorno bisogna recitare le preghiere del mattino e della sera, e ringraziare prima e dopo i pasti. Esorta i cristiani a farsi il segno della croce prima di ogni azione : “con il segno di Gesù Cristo (usato devotamente) ci può essere assicurata una benedizioni in tutte le cose”. In un sermone per le calende di gennaio condanna l’uso di fare regali ai benestanti senza fare elemosine ai poveri e denuncia l’ipocrita pretesa di amicizia che non sgorga dal cuore. Altrove c’è l’attacco “agli eretici che vendono il perdono dei peccati”, falsi preti che accettano denaro per assolverli invece di imporre loro penitenze.

Massimo è uno dei patroni di Torino. Abbiamo diversi sermoni di san Massimo in cui il vescovo parla del Natale. Nel sermone LX il vescovo dà indicazioni sul come prepararsi al Natale e afferma: “ Fratelli, gli uomini di questo mondo per il desiderio di vantaggi e onori terreni fanno grandiosi preparativi per festeggiare il genetliaco dei loro sovrani; con quanto maggior fervore dovremmo noi prepararci al Natale dell’eterno nostro re Gesù Cristo? In premio della nostra devozione egli ci elargirà una gloria non temporale ma eterna, ci darà non una carica che frutta terreni onori e poi passa ad un successore, ma una dignità dell’impero celeste imperitura! E quale debba essere la nostra futura ricompensa, lo dice il Profeta: “Occhio non vide mai, né orecchio udì, né cuore umano immaginò ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano!”. Di quali abiti è doveroso adornarci! Intendo dire ornare le anime nostre, poiché il nostro re Cristo non cerca l’eleganza dei vestiti ma l’affetto delle anime; non bada agli ornamenti del corpo, ma la fortezza della castità che frena la libidine. Cerchiamo dunque di presentarci a lui graditi per la fede, adorni di misericordia, accurati nei costumi! E chi ama più fedelmente il Cristo s’adorni più elegantemente con l’osservanza dei suoi precetti; possa Egli constatare che crediamo veramente in lui dal fatto che in tal modo ci adorniamo per la sua festa; e sia tanto più lieto quanto più ci troverà puri!. Incominciamo pertanto molti giorni prima a mortificare le nostre passioni, a mondare la coscienza, purificare lo spirito, per andare immacolati ed ornati incontro all’immacolato Signore che viene: egli ebbe i natali da una immacolata Vergine, festeggino il suo natale servi immacolati! Colui che in quel giorno si trovasse macchiato ed impuro mancherebbe di rispetto al natale del Cristo; sebbene sia fisicamente presente alla festa del Signore, spiritualmente ne sarebbe molto lontano. Nulla possono avere in comune il santo e l’immondo, il misericordioso e l’avaro, il corrotto e il vergine; anzi, intromettendosi, l’indegno commette irriverenza anche maggiore, non riconoscendo la propria indegnità: vuole essere ossequente e invece risulta irrispettoso. Come quel tale della parabola evangelica che, invitato a nozze, osò venirci senza l’abito nuziale; e mentre gli altri splendevano per la loro giustizia, illuminavano con la loro fede, corruscavano per la loro castità, egli solo, contaminato dalla cattiva coscienza fra tanta gente così splendida, stonava per la sua bruttezza; e quanto più riluceva la santità degli altri felici invitati, tanto più appariva la stonatura dei suoi peccati: non avrebbe fatto tanto guasto se non si fosse intrufolato affatto nella compagnia dei santi, è buttato fuori nelle tenebre: non soltanto perché era peccatore, ma perché, essendo peccatore, pretendeva il premio della santità. Dunque, o fratelli, per prepararci al natale del Signore liberiamoci da ogni scoria di peccato! Colmiamo le sue dispense con molte varietà di offerte affinché in quel santo giorno i pellegrini ricevano doni, le vedove ristoro, i poveri indumenti! Che festa sarebbe se nella stessa casa tra i servi dello stesso padrone l’uno se la godesse vestito di seta, l’altro si estenuasse tra i cenci; l’uno fosse gonfio di cibo, l’altro soffrisse la fame e la sete; quello ruttasse l’indigestione e la crapula del giorno innanzi, questi non potesse rompere il digiuno della vigilia? E quale effetto possono avere allora le nostre preghiere se chiediamo di essere liberati dai nemici, mentre non vogliamo essere liberati dai nemici, mentre non vogliamo essere liberati con i fratelli? Siamo imitatori del nostro padrone! Se egli volle che i poveri ci siano nella grazia celeste, perché non dovrebbero esserci pari nelle sostanze terrene? Non devono esserci estranei agli alimenti questi che ci son fratelli nei sacramenti; che anzi più validamente tratteremo i nostri interessi davanti a Dio se nutriremo a nostre spese qualcuno che gliene renda grazie. Quando il povero rende grazie a Dio di qualche cosa, ciò giova a colui che gliene ha dato motivo. E come sta scritto: “Guai a colui che per colpa del quale si bestemmia il Signore”, così anche sta scritto: “Pace a colui per merito del quale è benedetto il nome del Salvatore”. E quale è la ricompensa del donatore? Eccola: egli da solo compie l’opera buona nella sua casa, e molti pregano per lui nella chiesa; e quanto egli forse neppure osava chiedere a Dio, l’ottiene insperatamente per l’intercessione di molti. E’ di tale intercessione che parla il beato apostolo quanto scrive: “Affinché da molti si rendano grazie per noi” e ancora:”Affinché la vostra offerta sia accetta e santificata nello Spirito Santo”.

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